4.4.19

Antifemminismo e razzismo. Le due gambe del congresso pro-life (Guido Viale)



L’Al Baghdadi di casa nostra si è materializzato in questo fine settimana a Verona, la Raqqa dell’Occidente, nel Congresso mondiale della famiglia. La sua identità non è ancora certa; per ora ha fatto la sua comparsa solo sotto forma di consesso – di pope, ministri, maschi frustrati e cacciatori di streghe – ma non tarderà a rivelarsi; perché il suo spirito non contempla collegialità né mediazioni.
È sempre più chiaro che ad alimentare il fondamentalismo islamico che ha dato vita all’Isis, ad al Queda, ai Talebani – ma che tiene in vita anche il regime di Erdogan, quello saudita di Mohammed Bin Salman e lo stragismo islamista in tutto il mondo – è uno spirito di rivalsa contro la minaccia dell’emancipazione o della liberazione della donna e il tentativo di mantenerla o ricacciarla nella condizione della sua “naturale” sottomissione. Per questo l’autonomia e lo spirito di iniziative delle donne del Rojava, che hanno dato vita all’esperimento di democrazia più avanzato del mondo, rappresenta una minaccia mortale per tutti i fondamentalismi. E per questo il Rojava ha tutto il mondo contro: dalla Turchia di Erdogan alla Procura di Torino.
Ma per chi crede che il “civile” Occidente si sia liberato di questi fantasmi, ecco che il Congresso mondiale della famiglia lo riporta a fare i conti con la “dura realtà”: un’adunata dove la manifestazione più esacerbata di cultura e di spirito patriarcali, vecchi come il mondo, ma vero punto di convergenza tra opposti fondamentalismi, si sposa apertamente con il razzismo attraverso l’imperativo di “fare figli”. Anzi, “farli fare”, ovviamente, alle donne, chiudendole in casa. Più figli: per preservare la razza bianca e cristiana dalla contaminazione e dall’invasione di chi bianco e cristiano non è: cioè il migrante, a cui va fatta guerra per terra e per mare. Bisogna “salvare i feti” – ben rappresentati dal mostriciattolo di gomma distribuito ai convenuti – costringendo le donne a portare a buon fine tutte le loro gravidanze, ancorché indesiderate, e lasciar morire in mare o nel deserto quanti più profughi possibile, perché non ci vengano a invadere riempiendo le nostre scuole con i loro sgraditi figli.
Guai a considerare questa vicenda un “episodio” qualunque. Lo spirito che la anima avanza su due gambe: antifemminismo e razzismo, spesso entrambi non dichiarati o inconsapevoli (come lo sono tutte le principali manifestazioni del potere patriarcale). Dove uno vacilla, l’altro lo sostiene; e viceversa. E oggi la paura e la ripulsa del migrante, che avanzano in tutta Europa come negli Stati Uniti senza trovare grandi ostacoli, hanno sufficiente forza per rinfocolare gli animal spirits del patriarcato, non sempre sufficientemente in allerta. Per questo il convegno di Verona giunge a proposito per rafforzare reciprocamente gli uni e gli altri.
Per fortuna la mobilitazione promossa in contemporanea da nonunadimeno ha soverchiato e ridicolizzato quell’adunata di nemici della vita e dell’umanità, così come le manifestazioni NoTav e quelle per la salvaguardia del clima hanno sempre soverchiato le lugubri adunate pro Tav promosse dalle cinque inconsapevoli “madamine” della vecchia Torino. Ma basta uno sguardo ai giornali o ai notiziari TV (si distingue ancora una volta il Corriere della sera) per i quali “la notizia” è il convegno, non la manifestazione, per rendersi conto delle forze in campo. A partire dalla “conta” delle presenze e dalla dimensione di titoli e foto; ma senza trascurare il disprezzo malcelato con cui vengono ignorate – o “sorvolate”, o falsate, o confuse – le ragioni profonde e chiare dei manifestanti, a cui non è mai data la possibilità di far conoscere il loro punto di vista.
Di quell’informazione, di quella cultura servile verso i politici che la sottende, di quelle istituzioni dentro cui si svolgono le rese dei conti tra opposte camarille che sotto sotto la pensano tutte allo stesso modo, non sappiamo che farcene. Fino a che, per lo meno, la forza delle mobilitazioni popolari non riuscirà a piegarle, ad mandarle i pezzi, per lasciare prima un varco, e poi una faglia, e poi ancora una voragine a coloro, e sono in tanti, che hanno ancora la voglia e il coraggio, e ormai ce ne vuole parecchio, di mettere al centro del proprio agire il presente e il futuro di tutta l’umanità, femminile e maschile, nera e bianca; di tutto il vivente, animali ed ecosistemi; e della Madre Terra.

“il manifesto sardo”, 1 aprile 2019

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