25.5.19

Adriano. Ombre sul ritratto (Anna Ferrari)



“Ad un tempo serio e gioviale, affabile e contegnoso, sfrenato e controllato, avaro e generoso, schietto e simulatore, crudele e mite, e sempre in ogni cosa mutevole”: così l'Historia Augusta (Hadr., 14, 1), una delle due fonti che ci parlano di Adriano (l'altra è il libro 69 della Storia Romana di Dione Cassio) riassume le caratteristiche dell'indole dell'imperatore, una delle figure più affascinanti e insieme sfuggenti dell'antica Roma. Una personalità piena di contraddizioni, stando ai testi, per meglio comprendere la quale non aiutano neppure i ritratti: numerosi, levigati, opachi, di marmo o di bronzo, a ben guardare non rivelano davvero nulla di lui se non l'immagine convenzionale e classicheggiante del sovrano illuminato.
È perciò una sfida particolarmente stimolante proporre una biografia dell'imperatore che aiuti il grande pubblico a comprenderne le infinite sfumature del carattere: una sfida ancor più difficile se si pensa a quell'ingombrante macigno che incombe sulla strada di chiunque voglia cimentarsi con una biografia adrianea, rappresentato dalle Memorie di Adriano (1951) di Marguerite Yourcenar. Un masso meravigliosamente scolpito, non c'è dubbio, ma tale - per il suo peso letterario e la sua capacità di agire prepotentemente sull'immaginazione storica - da condizionare chiunque si proponga di imboccare quella strada, dettandone in qualche misura il passo e l'itinerario.
James Morwood, autore di un Adriano uscito in edizione originale inglese nel 2013 e ora tradotto da Biagio Forino per il Mulino, è tuttavia storico tale da non lasciarsi influenzare oltre il lecito. Il suo lavoro, calibrato sulle fonti più accreditate, è rigoroso ma insieme accessibile, come quasi sempre capita di constatare nelle letture di alta divulgazione anglosassone (e assai più di rado, purtroppo, nelle nostre).
E tuttavia, anche se, con eleganza, il masso rappresentato dal romanzo della Yourcenar viene scavalcato e lasciato da parte, un libro su Adriano destinato al vasto pubblico non può dare per scontati certi particolari a effetto, che certo minuzie non sono. Come la storia di Antinoo, per esempio: sulla quale, infatti, il libro si apre e sulla quale torna anche più avanti. Senza inutili fronzoli e maliziosi compiacimenti tutte le pedine sono disposte sulla scacchiera: c'è il giovane bellissimo Antinoo, amante dell'imperatore; c'è la passione di quest'ultimo per la caccia; c'è il problematico rapporto di Adriano con la moglie Sabina; c'è quella misteriosa “morte per acqua” del giovane, annegato nel Nilo nel 130 d.C. Indubbiamente quell'episodio può fungere da punto focale della complessità della figura imperiale, ed è a partire da qui che Morwood prende le mosse per la sua ricostruzione.
Una ricostruzione che non tralascia l'infanzia e la giovinezza del futuro imperatore in quella remota Spagna che aveva già dato i natali a personaggi illustri come l'imperatore Traiano o il filosofo Seneca, e la cui centralità per le sorti dell'impero viene messa in luce in un apposito capitolo. I primi passi di Adriano nella vita pubblica, che lo vedono al fianco di Traiano e impegnato sul campo durante le spedizioni daciche, sono l'occasione per indagare su Adriano soldato, sui rapporti tra il condottiero e i suoi uomini e sulla concatenazione di eventi che lo portarono a diventare imperatore, adottato da Traiano sul letto di morte come suo successore. Né, naturalmente, può mancare, in un discorso sui risvolti militari dell'operato adrianeo, qualche accenno al Vallo britannico e ai suoi tesori epigrafici.
La multiforme attività dell'imperatore non si limita però alle imprese militari (più di mantenimento che di conquista) e alle opere difensive: forse nessuno sul trono di Roma fu impegnato quanto Adriano in una così frenetica attività edilizia (che lo vide talvolta in aperto contrasto con il grande architetto Apollodoro di Damasco), nella costruzione di ville superbe come quella di Tivoli, e nel collezionismo d'arte, che contribuì al diffondersi di un gusto solitamente etichettato come “classicismo adrianeo”.
Lungi dal proporre una ricostruzione oleografica, Morwood non nasconde gli aspetti più sconcertanti della figura e dell'operato di Adriano, incantato dalla cultura greca ma di estrema durezza nei confronti della popolazione ebraica, attento a rinsaldare mediante frequenti viaggi i rapporti con le regioni più disparate dell'impero, ma pronto a usare la mano pesante contro gli stessi sudditi che fino al giorno prima lo avevano incensato. Alla fine di questo agile percorso, occorre riconoscere che le ombre continuano ad addensarsi sul ritratto di Adriano senza che la luce che pur vi viene proiettata copiosamente riesca a fugarle del tutto. Lo stesso Morwood si astiene dal trarre impossibili conclusioni. La chiave per capire questa figura seducente ed enigmatica resta, tutto sommato, quella dell'ambiguità. Intrinseca, forse, alla natura stessa dell'impero e alle sue più svariate forme e manifestazioni, come già Tacito aveva lapidariamente annotato in una sentenza memorabile messa in bocca al caledone Calgaco: “là dove fanno il deserto, gli danno il nome di pace”.

L'Indice, Aprile 2016

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