12.6.19

Anni 60, un dolce naufragio per tutti (Beniamino Placido)


Una paginetta del Placido critico televisivo e della sua capacità di usare le occasioni più varie per far passare, senza darlo a vedere, ardite riflessioni. Qui c'è anche una definizione della democrazia di Leonardo Sciascia. Memorabile. (S.L.L.)

Aldo Braibanti

Chi è Paquito Del Bosco? È un signore appassionato che ogni domenica mattina - estate e inverno, che piova o che nevichi - si reca all'alba - implacabile - a Porta Portese e lì, battendo sul tempo la concorrenza, rastrella vecchi dischi, vecchie foto, spartiti di vecchie canzoni, spezzoni di vecchi film. È insomma un collezionista: del nostro passato culturale (specie musicale) recente.
Che ce ne importa a noi di questo signore? Un momento, Paquito Del Bosco è anche un documentarista fine, un regista elegante. È lui che ha inventato questo "Abc degli Anni 60" che è andato in onda su RaiDue, all'interno della rubrica I giorni della storia di Arrigo Petacco, e di cui abbiamo visto la terza ed ultima puntata mercoledì sera.
Come lo ha costruito questo "Abc degli Anni 60" il collezionista - documentarista - regista Paquito Del Bosco? Come un Abc, per l'appunto. Come un dizionario, di cui abbiamo sfogliato la prima sera la "A", la seconda sera la "B". E l'altra sera sono passate davanti ai nostri occhi ventiquattro "voci" che avevano due cose in comune. Cominciavano tutte con la lettera "C", da "Calcio" a "Cuore" (come i capoversi di questo articolo che è stato evidentemente influenzato da quel felice esempio di inventiva grafico-espositiva) e si riferivano tutte agli "Anni 60". Che maratona!
Ventiquattro voci: sarà durato non meno di tre ore! Ma no, ma no. Era una trasmissione veloce, scorrevole, molto spesso brillante. Ogni "voce" era illustrata in modo rapidissimo. Qualche immagine, spesso preziosa ed inedita (grazie a Porta Portese) qualche testimonianza, qualche accenno musicale. E via, sotto con un altro "lemma" di questo dizionario, con un' altra lettera di questo Abecedario. Che non sia il caso di fare qualche esempio? Ma certo. Voce "Cause": ecco la faccia di Aldo Braibanti, filosofo solitario e solitario osservatore di formiche che venne accusato, processato, implicato in una "causa" clamorosa perché (adesso possiamo dirlo) destavano sospetto i suoi atteggiamenti (ma ci si può fidare di uno che osserva le formiche? Non sarà un sovversivo?). Gli Anni 60 erano anche questo. C'è una voce più emozionante delle altre? Sì, quella di Ugo Macera, questore di Roma ai tempi del delitto Martirano, che racconta il ritrovamento dei gioielli nell'officina di Raoul Ghiani, assassino prezzolato per conto del geometra Fenaroli Giovanni. C'è una voce più attuale delle altre? Sì, quella di Marco Sassano, studente del "Parini" di Milano al tempo dello scandalo della "Zanzara". Fa pensare ai costumi ed ai sospetti sessuali di allora, a riscontro dei costumi degli studenti di oggi. Che si muovono proprio in questi giorni per problemi - ci auguriamo - diversi. Non perché hanno fatto sul giornaletto di classe un'inchiesta sulla sessualità delle compagne di scuola (questa l'accusa di allora). C' è una voce più importante delle altre? Sì, quella di Leonardo Sciascia, per l' obiettiva importanza delle cose che dice. Illustra la voce "Caso". Parla del "caso Montesi", del "caso De Mauro", del "caso Mattei". Tutti e tre assorbiti (assieme a centinaia di altri "casi") dalla nostra democrazia. Una democrazia - dice Sciascia - dovrebbe essere insieme dura, trasparente e fragile: come il vetro. La nostra invece è una democrazia elastica. Avvolge ingloba mastica inghiotte assorbe neutralizza e digerisce tutto. Come un pitone che è sempre - si capisce - un po' sonnolento e stanco.
C'è qualcosa che manca, che non va in questo Abecedario degli Anni 60? Sì, qualcosa che non va c' è, c'è qualcosa che manca. C'è l'insoddisfazione, inevitabile, di ciascuno di noi, che avrebbe scelto altre cose ad illustrazione di un suo eventuale - e personale - "Abc degli Anni 60". Che cosa avrebbe dovuto fare l'autore per accontentare tutti? Nulla, assolutamente nulla. Non doveva tentare di giustificare l'arbitrarietà - inevitabile - delle scelte fatte. Al contrario, doveva sottolinearla e rivendicarla, questa arbitrarietà. Intervenendo in modo un tantino più personale. Dicendo: a me - che ho questi gusti e questa esperienza, che vado ogni domenica mattina a Porta Portese, ecc. -, gli anni 60 fanno venire in mente questo. Siete liberi di farvi venire, o tornare in mente qualcos'altro. Con quale autorità avrebbe potuto fare questo discorso? Con l'autorità massima - anzi unica -, in questo tipo di cose: l'autorità di chi racconta. Con l'autorità dell'Ishmael della Bibbia e di Melville ("Moby Dick") che vede la storia alle sue spalle come un naufragio (la storia da cui siamo emersi incolumi è sempre un naufragio) e si presenta dicendo: "...Ed io solo sono rimasto a raccontarla".

“la Repubblica” 16 novembre 1985

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