12.6.19

Emigrazione e storia. Le rimesse del Meridione (Maria Susanna Garroni)



Nella memoria collettiva, nella coscienza nazionale, nella riflessione sulle nostre condizioni attuali, c’è in genere poco spazio per la giusta collocazione di un fenomeno come quello dell’emigrazione che per l’Italia è stato di così ampie dimensioni. Ora un bel libro, dalla scrittura leggera e accattivante, ci ricorda che lo studio dettagliato, approfondito dell’emigrazione italiana induce a una miglior comprensione di grandi nodi della storia del paese.
Andreina De Clementi, in Di qua e di là dell’Oceano. Emigrazione e mercati nel meridione (1860-1930) (Carocci, 1999), si pone un duplice obiettivo. In primo luogo vuole individuare le cause più precise che portavano a decidere di emigrare, gli obiettivi che si intendeva perseguire, i modi per raggiungerli. In secondo luogo, quali ricadute, economiche, sociali e culturali abbia avuto l’esperienza migratoria. Un approccio che richiede la metodologia del cercatore di tartufi: cercare indizi, tracce, segnali sparsi in una grande quantità e varietà di fonti, e delimitare un terreno preciso per scandagliarlo in profondità. I confini della sua ricerca racchiudono il Mezzogiorno continentale, in un arco di tempo che va dai primi timidi tentativi di esplorare opportunità lontano da casa fino all’esaurirsi della tipologia migratoria che si era venuta formando con la crisi del ’29 e il fascismo.
Il meridione esce così da quella nicchia di semplicistica arretratezza in cui una sedimentata pubblicistica l’aveva collocato per mostrare una sua forma di modernità. Si popola di musicanti, ramai, suonatori ambulanti, ebanisti e modelli per pittori la cui intraprendenza e iniziativa porta notizie, informazioni, speranze e sogni che in assenza di strade e ferrovie viaggiano attraverso venditori ambulanti per fiere, mercati e tratturi impervi; di donne lasciate inoperose dalla inquietante deindustrializzazione di un sud arroccato in una protoindustria obsoleta a causa di un mercato asfittico che la nuova classe dirigente nulla aveva fatto per ammodernare. Varie sono le strategie messe in atto per mantenere status e autosufficienza economica a fronte di confische e lottizzazioni che distruggono patrimoni boschivi di Molise e Basilicata, eliminano pascoli e di un’agricoltura resa precaria da epidemie delle piante e fluttuazioni dei mercati internazionali che spingono a depauperare le terre con coltivazioni sbagliate, prima di ricorrere a quella che l’autrice chiama «insorgenza migratoria».
L’analisi critica e comparata dei dati statistici consente a De Clementi di individuare scarti di comportamento, cunei di difformità nei dati del Meridione continentale. Alcuni stereotipi si infrangono. Abitudini familiari, organizzazioni domestiche, valori e codici patriarcali, la sottomissione femminile, la solidarietà o la tanto sottolineata amoralità familistica del Sud si dimostrano essere non omogenei, ma legati a situazioni economiche di notevole diversità. L’autrice intreccia i dati tecnici con i dati culturali e sociali. La femminilizzazione della popolazione trasforma produzione e società. In alcune zone si rafforza l’autonomia femminile, in altre arretra. E tutto ciò incide sulla tenuta complessiva del tessuto sociale, sullo stimolo a partire, a tornare o a emigrare definitivamente. Bell’esempio, a tratti, di come l’attenzione per la storia delle donne possa e debba diventare storia di genere e storia sociale. In alcune zone si estende alle donne il lavoro dei campi anche dove non ve n’era la tradizione, in altre si valorizza il ruolo della sposa, delegata a tutelare i beni del marito emigrante.
A dimostrazione delle diverse strategie vi è uno studio dell’uso delle rimesse. Anche questo ha modalità diverse e una sua interna gerarchia. Se la prima preoccupazione è mantenere i familiari rimasti in patria e pagare debiti e imposte, segue subito dopo il desiderio di dimostrare il proprio successo. Solo dopo aver ottenuto questi primi obiettivi si investe in risparmi, non si disdegna di riproporre la piccola usura o si apre un piccolo commercio. L’acquisto della casa e della terra è l’ultimo dei desideri da soddisfare. Gli emigrati tornavano con una accresciuta coscienza di sé e maggior autostima, abbandonavano la deferenza e imparavano a trasformare comportamenti sottomessi in atteggiamenti di indipendenza e sicurezza di sé. Ma rimanevano soli e mai fu capitalizzato il loro patrimonio di esperienze. In realtà avevano guadagnato molto intellettualmente, come dimostra De Clementi, ma in un modo autodidatta, che avrebbe avuto bisogno di sostegno e strutture per diventare qualcosa di diverso. Da questo libro emerge un Sud non rassegnato e non del tutto estraneo alla modernità. Un Sud molto variegato, da approfondire in tutte le sue sfumature per poter capire meglio qualche perché della nostra «patria debole».

il manifesto, 4 novembre 1999

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