27.6.19

Camilleri comunista e terrone (Alfonso Maurizio Iacono)



L’ironia di Camilleri? 
Un messaggio d'intelligenza e umanità 
che rende stupida e innocua 
ogni possibile, inutile cattiveria

Dopo le feroci scritte circolate sui social nei confronti di Andrea Camilleri, avevo postato questo su Facebook: “Di Andrea Camilleri amo tanto la trilogia delle metamorfosi, anche se, come dice il mio amico Giovanni Taglalavoro, il Re di Girgenti è la sua opera più grandiosa. Un’epopea dove c’è tutto Andrea. Ma amo anche Montalbano. All’inizio aveva più o meno la nostra età e i nostri stessi problemi esistenziali. Poi l’ha fatto ringiovanire. La sua Marinella è quella della mia infanzia. La vedo, la riconosco. Camilleri ha la narrazione nel sangue. Tutte le volte che l’ho incontrato mi ha riempito di storie, bellissime, con quel modo di parlare che sentivo come un’aria di famiglia. Ebbe dalla mia Facoltà, me preside, la laurea honoris causa. Ne feci l’elogio, come accademicamente si usa fare e lui la lectio magistralis. Fu una bellissima giornata. E poi, da me presentato, venne a fare l’intervista impossibile al Galileo. A cose fatte, teatro strapieno, andammo a cena. E lì ancora storie. Mi sembrava di stare in un bar all’aperto a Porto Empedocle e per la verità una volta vi stetti. 
Alfonso Maurizio Jacono
Un’altra volta, dopo una lezione alla Scuola Normale, circondato da politici e sottosegretari di vario tipo, si mise ostentatamente e ironicamente a parlare in siciliano, anzi in agrigentino, con me, creando un piccolo, sottile, imbarazzato sconcerto in persone troppo abituate a essere ascoltate. Quello che hanno scritto sui social non lo sfiora minimamente. Non mi fa neanche rabbia, ma solo tristezza. La sua ironia è sempre stata un messaggio di intelligenza e di umanità che rende stupida e innocua ogni possibile, inutile cattiveria”.
Non avevo ancora letto Vittorio Feltri, al quale manca proprio l’ironia. Quel che si mostra come modo crudo e sincero di dire le cose, nasconde in realtà la mancanza di ironia. Apprezza Camilleri come scrittore ma lo detesta perché è comunista e terrone, due cose che non riesce a sopportare. Detesta anche Salvo Montalbano, un commissario di polizia che è anche un po’ comunista nel senso in cui lo erano i comunisti siciliani di un tempo, antimafiosi e uomini delle istituzioni e della legge. Ma soprattutto è terrone. Lo è nel modo di rispondere al telefono, in quel suo mettere prima il cognome e poi il verbo (“Montalbano sono!”), nel gusto sensuale della cucina siciliana, nell’attrazione verso le belle donne, specie se di carattere, che egli trattiene, ma che si scatena nel suo alter ego, il vicecommissario Mimì Augello, nel rapporto con il mare che sommerge la verità dei morti annegati, quello che sta al confine tra l’Europa e l’Africa, un confine così distante dal Nord.
Molti dicono che Montalbano è un prodotto di consumo. Alcuni critici letterari storcono il naso. Vincenzo Consolo se ne fece una malattia. Anche fosse? L’ironia di Camilleri allenta lo stereotipo del siciliano. Se è detestato da Feltri perché comunista e terrone, è, allo stesso modo, amato da mezzo mondo, perché questo comunista terrone, pieno di fragilità e di contraddizioni umane, tiene fermi i principi senza moralismo e non si gira dall’altra parte di fronte all’ingiusta morte dei migranti in mare. È popolare ed è ciò che dà fastidio a Feltri, il quale usa spesso, come anche in questo caso, la frase “ha rotto i coglioni”. In effetti “coglione” è un termine familiare nel bergamasco. Si dice perfino “coglione di Bergamo”. Il grande condottiero Bartolomeo Colleoni si chiamava in realtà Coglione. Allora questa parola era un vanto. Poi, come tutti sanno, divenne ed è sinonimo di stupido. Chissà perché. Il grande lombardo Dario Fo, il genio dello zanni, l’uomo di Mistero buffo, avrebbe potuto rispondere.
Andrea, mi piace essere comunista e terrone come te.

Da Il Tirreno, 25 giugno 2019

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