24.6.19

Da Erodiade a Mae West con un occhio a Cleopatra. La perfidia delle donne secondo Valeria Palumbo. (Maria Gabriella Scuderi)

Guido Reni, Erodiade con la testa del Battista - Roma, Galleria Corsini

Il giudizio comune sul «femminile» contiene un'intrinseca contraddizione, ascrivibile tanto alla naturale ambiguità della donna, tanto a una difesa messa in atto dall'esterno al fine di neutralizzarne la ben nota astuzia. Perché ognuna di esse è sì «angelo del focolare», capace cioè di scaldare il cuore con un abbraccio; ma anche – in particolari circostanze – creatura fortemente determinata in spietatezza e crudeltà. Non potendo vantare un «diritto innato» al comando, o ricorrere direttamente alla violenza per imporre i suoi diritti, o ancora – come avveniva in passato – aspirare in prima persona a cariche di prestigio, molte donne sono riuscite e riescono tutt'oggi a gestire con la sola arma dell'inganno un potere analogo a quello degli uomini. La necessità di «non esporsi» per non suscitare la reazione altrui ha contribuito, dunque, ad affinare l'ingegno e la destrezza nel non commettere distrazioni ed errori.
Ma la «seduzione», da sempre irresistibile arma femminile, non è l'unica qualità messa in campo nel processo di autoaffermazione. Tenacia, determinazione, ferma volontà, buon senso, sono armi ugualmente efficaci per vincere il pregiudizio che da sempre ha circondato qualsiasi impresa femminile, dalla più banale alla più illustre, capace di modificare il corso della storia.
Tuttavia, laddove il potere della donna si è realizzato, la storiografia è intervenuta a modificare il significato degli eventi con la sua penna mistificatrice, svilendo di proposito la portata dell'impegno e della capacità femminile. Quando la storia è fatta da donne, infatti, le fonti antiche sono spesso intrise di giudizi negativi, gravati da una pesante misoginia che, resistendo attraverso i secoli, ignora puntualmente le scoperte della moderna storiografia. Leggendo di imprese al «femminile» è importante, quindi, cercare di reperire tra le righe quegli aspetti di verità celati, che costituiscono spesso la parte fondamentale e più intrigante delle vicende. Al fine di restituire adeguata dignità alle imprese femminili che hanno «fatto storia», anche attraverso l'esercizio dell'astuzia o della malvagità, Valeria Palumbo, giornalista e autrice di numerosi scritti a sfondo storico-politico sulla donna, nel suo ultimo lavoro dal titolo La perfidia delle donne (Sonzogno, 2006) si fa interprete di una narrazione il più possibile «fedele» ai fatti accaduti. La scrittrice cerca di svestire le donne narrate da pregiudizi e stereotipi comuni, mettendo in primo piano le condizioni storiche e sociali in cui esse hanno agito. A fronte di tante donne giudicate a torto «cattive», la storia ce ne fa vedere diverse che perfide lo sono state davvero. La loro vicenda, ritratto psicologico del male al femminile, è testimonianza di quanto la necessità di schivare pericoli, aggirare le leggi, mentire e usare inganni e sotterfugi abbia plasmato, attraverso le generazioni, una forma di intelligenza femminile infida e inarrestabile.
Nell'originale e intrigante galleria di ritratti di donne la Palumbo parte dall'epoca biblica e, attraverso l'età antica approda al Medioevo e al Rinascimento, periodo storico più denso di «famose perfide» giungendo fino all'era moderna e contemporanea. Inaugura la fitta rassegna di «cattive» Erodiade la decapitatrice, madre della giovane e bella Salomè, descritta nel Vangelo secondo San Matteo come una conturbante danzatrice. La giovane piacque tanto a Erode da prometterle tutto ciò che gli avesse chiesto. Salomè, istigata dalla madre, pretese e ottenne la testa di Giovanni il Battista. Altro ritratto femminile complesso ma per certi aspetti «attuale» è quello di Fulvia, terza moglie di Marco Antonio. Plutarco la descrive come una vera «dominatrice», molto abile nell'arte del comando. Ella oltre a filare la lana e occuparsi della casa esercitava un forte potere sul marito, dimostrandosi capace di «governare un governante», un uomo che comandava gli eserciti. Cleopatra le fu sempre riconoscente per averle consegnato un uomo avvezzo a subire del tutto la signoria di una donna.
Nell'età imperiale spiccano, invece, le figure di Agrippina minore e Giulia Maesa, la prima artefice dell'ascesa al trono del figlio Nerone, la seconda mandante dell'omicidio del nipote Eliogobalo. Prima di essere uccisa da Nerone Agrippina ne fu complice e guida. Donna coraggiosa, volitiva e spietata, non ha mai avuto dalla storia un momento di riscatto, e la sua stessa vicenda dimostra quanto l'ingratitudine possa essere talvolta enorme, arrivando persino a colpire a morte chi del successo altrui è il principale artefice.
Tuttavia l'emblema delle donne spietate può essere considerata Lady Macbeth, immortalata da Shakespeare, che l'ha descritta come persona indenne da emozioni e animata da crudeltà pura e fredda. Esasperando l'aspetto malefico delle sue qualità, il drammaturgo la rese un personaggio indimenticabile.
Arrivando a tempi più recenti, tanti e diversi sono i volti della cattiveria femminile; tra cui Elisabeth Nietzsche, la «arianificatrice», fondatrice di una colonia per la purezza della razza. Per non parlare delle nefaste mogli dei dittatori Franco e Mao Tze-tung. La seconda fu soprannominata dai cinesi «il demone dalle bianche ossa», perché ricordava in crudeltà un personaggio della mitologia che cambiava continuamente forma e sesso per attirare vittime da divorare nella sua grotta.
Il testo di Valeria Palumbo scritto in uno stile ricco e coinvolgente raggiunge l'obiettivo prefissato dall'autrice, andando oltre il tratteggiamento storiografico, per toccare la psicologia più autentica dei personaggi, e il suo evolversi attraverso le vicende della società che fa da sfondo. Le varie personalità di donna che emergono da fatti narrati, tuttavia, nella loro perfidia mostrano anche un tratto di pura fragilità, come base motivazionale da cui partono le loro azioni. C'è sempre una necessità di riscatto che le induce tutte ad aguzzare l'ingegno fino ad approdare all'unica scelta possibile: la cattiveria, come strumento di sopravvivenza. Con un possibile slogan caratterizzante, che l'autrice opportunamente rintraccia nei dialoghi di un vecchio film. Non sono un angelo, in cui Mae West afferma: «Quando sono buona sono fantastica. Ma quando sono cattiva, sono meglio».

La Gazzetta del Sud, 21 giugno 2006

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