15.6.19

La bambina di Pompei. Una poesia di Primo Levi



Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra
ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
che ti sei stretta convulsamente a tua madre
quasi volessi ripenetrare in lei
quando al meriggio il cielo si è fatto nero.
Invano, perché l’aria volta in veleno
è filtrata a cercarti per le finestre serrate
della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
lieta già del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata
a incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Così tu rimani fra noi, contorto calco di gesso,
agonia senza fine, terribile testimonianza
di quanto importi agli dei l’orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
della fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura
che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
la sua cenere muta è stata dispersa dal vento,
la sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli.
Vittima sacrificata sull’altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
tristi custodi segreti del tuono definitivo,
ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.
20 novembre 1978

da Ad ora incerta, Garzanti, 1984

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