17.6.19

La battaglia delle parole. La riflessione di una combattente gentile (Simona Mafai)

Questo articolo è tratto dall'ultimo numero di “Mezzocielo”, il n.159 datato inverno 2019, il bel trimestrale di donne palermitane fondato nel 1991 tra le altre da Simona Mafai, Rosanna Pirajno e Letizia Battaglia, che tuttora lo dirige. Non è l'ultimo “pezzo” politico che Simona ha firmato: ho visto nel sito di “Mezzocielo.it” che funziona da quotidiano on line, un suo accorato appello alla vigilia delle elezioni europee.
Simona è morta di ictus l'altro ieri. La ricordo mio senatore per il PCI a Gela, impegnata – come per tanto tempo a Palermo – tra le donne dei quartieri popolari, spesso abusivi e degradati, polemica e ironica quando necessario, ma sempre attenta agli altri, sempre capace di trovare la misura nel tono e nelle parole. E ne ricordo la la tensione ideale e l'intelligenza politica che riversava anche nel dibattito interno non sempre cortese. L'ho rivista e salutata da lontano il 5 maggio dell'anno scorso, al Gramsci di Palermo per il bicentenario di Marx che Piero Violante e Gabriello Montemagno organizzarono affidando il ricordo di quel saggio alla libera scelta di qualche sua pagina. Simona scelse un brano dall'Ideologia tedesca, se non ricordo male. (S.L.L.)


È più facile arrabbiarsi o essere gentili? Più facile arrabbiarsi, naturalmente.
Essere gentili richiede uno sforzo non da poco: bloccare e far decantare le prime emozioni; ricordarsi che siamo impegnate a rispettare chi la pensa diversamente; fare appello alla nostra intelligenza. Quindi, respirare forte e provare a rispondere: con attenzione e con gentilezza. Bisogna riuscire a farlo, per fermare il clima di approssimazione e violenza (solo verbale, per ora) che caratterizza il dibattito pubblico, ed a volte anche quello privato e amicale. Ovunque, perfino negli interventi di alcuni filosofi, insulti e parolacce vengono sdoganate. Ha preso diffusione e cittadinanza anche il “me ne frego”, che per i più anziani tra noi ricorda le grida fasciste. Qualsiasi cosa accada, gli esponenti di governo cercano colpevoli di comodo contro cui suscitare e indirizzare la rabbia: gli immigrati, i cittadini “buonisti”, gli operatori sociali che vivono nella “pacchia”, i funzionari dei ministeri assunti per raccomandazione, gli intellettuali che hanno 500 libri negli scaffali... Ed i francesi e i tedeschi, naturalmente!
Denunce (anche giuste) di episodi di corruzione e gravi carenze sociali vengono mescolate in una narrazione tutta negativa della storia del nostro paese, che ignora conquiste e progressi raggiunti sul piano delle garanzie costituzionali, della libertà delle donne, della protezione sociale, dei diritti civili. La tentazione di rispondere con insulti ad insulti, facendo crescere il clima di divisione ed odio, è forte. Ma dovremmo sottrarcene, e provare a percorrere i sentieri contorti e faticosi dell’esercizio della intelligenza e del confronto.
Vi sono parole oggi abusate, presentate con significati ambigui, che dovremmo portare fuori dalle nebbie della retorica:
POPOLO, invocato come soggetto unitario e compatto, di cui un uomo solo o un piccolo gruppo pretende la rappresentanza esclusiva (come fu col partito fascista); ma il popolo è un larghissimo insieme di persone diverse per genere, interessi ed idee, che hanno diritto ad esprimere rappresentanze differenziate, anche conflittuali, con pari dignità;
CAMBIAMENTO, parola ripetuta in modo quasi sacrale, senza chiare definizioni sociali e storiche, che finora ha significato solo arrembaggio di posti ai vertici delle istituzioni pubbliche; il cambiamento può anche essere regressivo;
SOVRANITÀ, altra parola che andrebbe demistificata.
Se non combattiamo (e vinciamo) la battaglia delle parole, potremo essere travolti. È una battaglia, per cui l’odio non serve. Occorre conoscenza, pazienza e sì, anche gentilezza: che può ben accompagnarsi con la più ferma opposizione. Se la differenza femminile (“e sottolineo se”...) comporta un meno di violenza ed un più di comprensione verso i diversi, un affidamento non alla forza ma alle relazioni, sarebbe forse il momento che questa differenza si manifestasse, nelle forme più libere e diverse (singole, collettive, occasionali...), contribuendo a rendere più civile la vita della società italiana. Opponendo alla violenza, l’ascolto; all’autoritarismo, il pluralismo; al machismo, il femminismo.

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