9.7.19

1990. Battesimo di lacrime e champagne. Così il Pds nacque a Palermo (Gabriello Montemagno)



Il 10 ottobre del '90, da Roma, dalla commissione centrale per l'organizzazione, fu trasmesso a tutte le sedi regionali dell'ormai ex-Pci il nuovo simbolo del partito, la quercia, alle cui radici ancora si scorgevano la falce e il martello. E a Palermo l'albero nacque alle 18,31 precise, quando il fax di corso Calatafimi emise il disegno in scala di grigi del nuovo simbolo. Lì, quella sera, il clima non era dei più felici: la "primavera" orlandiana, l'esacolore, era stata interrotta per colpa del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani); nelle elezioni del maggio il Pci aveva formato una lista di coalizione, "Insieme per Palermo" (col simbolo dei pupini che si tengono per mano), e che era stata clamorosamente sconfitta; mentre la Dc, capolista Orlando, aveva ottenuto la maggioranza assoluta in Consiglio comunale (42 consiglieri).
Ma l'arrivo del neonato, come avviene per ogni lieto evento, sembrava infondere un nuovo ottimismo fra dirigenti e militanti venuti ad assistere al parto telematico. Sì, già le indiscrezioni avevano ampiamente anticipato sia il nuovo nome che le caratteristiche generali del simbolo.
Però i reali tratti somatici del neonato ispirarono immediata simpatia. Sorse istantaneamente un clima di euforia e di moderata commozione fra quella cinquantina di comunisti presenti. Il segretario comunale Franco Miceli stappa una bottiglia di spumante. Sono tutti col bicchiere in mano, si guardano con occhi lucidi, nessuno si azzarda a pronunciare un brindisi, poi, improvvisamente, come voce dal sen sfuggita, in coro gridano: «Viva il partito comunista!». E intonano "bandiera rossa".
Iniziano subito i commenti, dinanzi a quel nuovo disegno che ciascuno ha provveduto a farsi dare in fotocopia. Mentre alcuni, furtivamente, saccheggiavano i manifesti col vecchio simbolo del Pci, come coloro che dalla casa terremotata portano via i ricordi più cari. Miceli, grattandosi con flemma la sua folta barba nera, così riflette: «Sia il nome che il simbolo credo che rappresentino bene il significato che noi vogliamo dare a questa nuova formazione politica. Cioè, una formazione che poggia su un patrimonio che non viene liquidato e che tende a mettere insieme le forze democratiche del Paese. È buona l'idea dell'albero con radici profonde, sempre verde e che si rinnova sempre». Questa cosa dell'albero che nasce dal vecchio simbolo del Pci con falce e martello, sembrava commuovere tutti. E Pietro Ammavuta, vecchio dirigente, teneva a sottolinearlo: «La proposta del compagno Occhetto mi pare chiara e netta, per un partito che vuole rigenerarsi, ma che vuole anche mantenere le sue radici, e portare nella nuova formazione politica il patrimonio storico, politico e morale che i comunisti italiani hanno accumulato nel corso di decenni».
Taceva l'insostituibile Rosolino Cottone, un comunista con tutta l'anima, un militante soave, che quand'era partigiano si chiamava "compagno Esempio". Ma sollecitato da un cronista, ricorda quando sull'Appennino tosco-emiliano «con le armi nelle mani» si cantava «l'Italia la faremo comunista». Poi, guardando il vecchio simbolo che malinconicamente pende da una parete, gli rivolge una frase che è tutta un poema: «Povero venni e povero me ne vado». Basta.
Nino Tilotta, che imitava alla perfezione la voce di Occhetto, aveva qualche riserva sul nome: «Avrei riflettuto di più se continuare a chiamarlo partito, se confermare cioè la forma partito. Il simbolo mi sembra molto bello, soprattutto se lo immaginiamo a colori». E Tilotta aveva ragione.
Valeria Ajovalasit
Quando, infatti, al Tg3 delle 19 il simbolo viene mostrato nei suoi colori, un applauso caloroso scoppia nella sede di Corso Calatafimi. E, nell'euforia, un militante della mozione Ingrao-Natta esclama con evidente soddisfazione: «Se non era per noi, quella falce e martello non ci sarebbe stata più!».
A parte, Franca Chiaromonte (ingraiana) borbotta: «Sembra il marchio delle Timberland». E la sua compagna Letizia Paolozzi: «È una giornata di lutto tremendo».
Ma i presenti erano quasi tutti della prima mozione (Occhetto). E sintetico, ma anche un po' caustico, è Paolo Agnilleri: «Il simbolo è bello, attuale. Ma era meglio se nasceva un anno fa». Intendeva dire, forse, che si sarebbero risparmiati i pupini della lista "Insieme per Palermo". Sintetico pure Filippo Grippi: «È un grande messaggio politico a tutto il popolo della sinistra».
Entusiasta Valeria Ajovalasit: «È l'occasione per stappare una bottiglia di champagne». E Leonardo Li Causi: «Un nome, Pds, e un simbolo che vanno verso un congresso unitario». Previsione quanto mai sbagliata, vista poi la scissione di Rifondazione nel febbraio del '91. Chi non voleva parlare era Franco Padrut, ma alla fine si decise: «Togliatti, negli anni Cinquanta, scriveva che "l'albero che abbiamo piantato non è sradicabile". Noi ora cerchiamo di ripiantarlo su una terra più fertile, per farlo diventare più grande. Perché è la terra che si è inaridita, non l'albero». Sì, Franco, è la terra che si è inaridita.

“la Repubblica”, 31 gennaio 2011

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