5.8.19

Geografie dell'immaginario. Il Tex nel deserto (Antonio Peduzzi)



La linea di confine è labile, immaginaria. A nord e a sud deserto: cactus, mesquite, serpenti a sonagli, avvoltoi roteanti su qualche carogna. il deserto è spazio di agguato e di sorpresa. Le terre di Tex Willer sono essenzialmente deserto, stilema di paesaggio e di individui che è alla base della semplificazione assoluta. terre aspre: come il painted desert, il deserto dipinto, o il deserto di sonora, o quello di mohave. come l’inaccessibile rifugio di Cochise, il capo Chiricahua. Terre bellissime agli occhi dei popoli che su esse si affacciano. «Bella come un’alba nel deserto dipinto» è, nelle parole di un Hopi, la strega che ha affascinato i giovani da quando ha scoperto il segreto della giovinezza nei fiori che crescono nelle terre dell’abisso (nn. 46-47).
Le terre calde, così sono chiamate in un titolo della storia di Tex (n. 263), linee di orizzonte su cui è disegnato il disinteresse per la città. Già anomala la scelta dal grande maestro Galep e da Gianluigi Bonelli, i padri di Tex: il sudovest come baricentro della storia.
Non semplice West, ma area di terre calde e di popoli irriducibili, Apaches e Navados anzitutto. Genti dure e povere, pastori e feroci guerrieri, riottosi fino all’ultimo all’avanzata dell’uomo bianco. Il sudovest è New Mexico, Colorado, Arizona e dintorni. Territori scarsamente popolati con qualche corso d’acqua. Colorado, Rio Grande, Gila, Pecos. Con un sistema precario di centri urbani: Tucson, Phoenix, Flagstaff, Santa Fe, Gallup, Tombstone.
«Estate, posto militare di San Carlos, ai margini della riserva degli indiani Apaches» (n. 164). I colori sono quelli, sempre. Gli eroi come Tex fuggono le città, ma spesso devono tornarvi. Quando tuttavia vanno in città vere e proprie, Los Angeles, Frisco o Washington, la prospettiva narrativa subisce una torsione. Nelle città californiane si va se chiamati a risolvere conflitti; nella capitale federale a dipanare un complotto.
In generale, gli spostamenti geografici cui gli autori hanno voluto sottoporre negli anni i quattro pards pongono spesso evidenti limiti narrativi e producono slittamenti. In California diventano semplici poliziotti (n. 63); se dalla California s’imbarcano perii Pacifico (nn. 155-158) ne escono storie fuori asse, che vedono Tex e i suoi pards naufraghi. Devono vedersela con il «tiranno dell’isola» e con i «cacciatori di teste». Quando sono costretti a recarsi a Washington devono svolgere la parte di detective politici (nn. 323 e seguenti): si tratta di salvare la vita del presidente. Il panorama è di palazzi ministeriali, carrozze, intrighi su cui svolazzano sinistramente strani uccelli aquila-falco addestrati a uccidere. La rottura del panorama è metafora della politica.
Se sono proiettati in Sudamerica la storia appare del tutto pretestuosa, come nel n. 250, in cui i pards vanno a Panama, dove sono in corso le prospezioni per il taglio dell’istmo. Molto meglio la storia del n. 61, che vede Tex e Carson sulle tracce di Butch Cassidy fino in Bolivia. Storia e cinema a parte, la plausibilità del viaggio imposto da Bonelli ai pards deriva dalla scelta di Cassidy: andare in Sudamerica ad assaltare banche piuttosto che rimanere in un un West ormai cambiato.
Gli spostamenti narrativi di Tex funzionano meglio verso nord o verso sud, Canada o Mexico. L’idea è quella della frontiera in entrambi i casi. Gli stati settentrionali del Mexico sono risucchiati nel sudovest, il Canada è frontiera. La linea di frontiera a nord e a sud è sottile, non è come quella tra sudovest e città. Verso nord le storie sono bianche. Verso sud, sole, sabbia, mesas: deserto.
A sud sono storie magiche. Valga per tutte la storia dei nn. 228-9, in cui Tex incontra Rakos (anagramma di Sokar) in Chihuahua; sacerdote di Iside condannato per sacrilegio, nell’antico Egitto, all’esilio, e che vive in Messico da secoli nella sua piramide. A nord sono strane storie. Nei fascicoli 75- 75 i pards si trovano in Alaska, dove scoprono il «popolo delle lunghe barbe»: russi rimasti tra ghiacci e vulcani, discendenti di deportati spediti al confino dagli zar, ormai cittadini americani senza saperlo. O incontrano, in Canada, ribelli dal nome francese (nn. 122 e seguenti). Alla direttrice del nord appartiene anche rincontro con Sasquatch, l'uomo-scimmia dei Klamath che abitano nell’Oregon, indiani che portano baffi. A volte la forza di attrazione dei luoghi di Tex porta nelle terre calde popoli inconsueti: evidente forzatura che consiste nel far muovere gli altri attorno al baricentro narrativo. Nei nn. 372-3 Tex e Carson trovano in una enclave del deserto una tribù di ex-schiavi nei fuggita e isolatasi da generazioni. Nei nn. 312-3 incontrano in Florida, tra giungle e paludi, i Thugs con i loro lacci di seta con cui strangolano i nemici. Per non parlare dei «fantasmi nel deserto” (nn. 177-8): guerrieri tuareg insediatisi con cammelli e mezzelune in territorio apache.
La distesa desertica è tutto, il centro abitato «uno sputo nel deserto», «covo di pulci e vagabondi». Deserto che incombe come universo e come limite, soprattutto quando si tratta di attraversarlo: per sfuggire a un nemico o per inseguirlo; per lasciarsi alle spalle Yuma, come fa un gruppo di evasi (nn. 87- 88); o per abbandonare il mortale penitenziario di Vicksburg sapendo che all’inseguimento si sono messi i feroci Mohaves incaricati di catturare e torturare i fuggiaschi ma che si sentono onorati di salvare la vita al capo Navado finito dietro le sbarre a causa di un complotto (nn. 143-144). Il deserto del Sudovest è centro di tutto. «Un indiano forse potrebbe salvarsi, ma non quel bianco», dice un Hopi rivolto a Tex quando lascia nel deserto uno dei butterati carnefici della gente navado (n. 105). Tex gli lascia una borraccia e una colt. L’acqua, se vorrà lottare per salvarsi; la colt, dice, «se capirai che il destino ti sta spingendo su una pista che non avrà mai fine (...) non imprecare sulla tua sorte».
Il deserto è terra di feroci contrasti che spiegano la dura semplicità dei ragionamenti. Ma terra di amore e di resistenza fino all’ultimo uomo. È l’Apacheria, l’area dai cui ridotti inaccessibili vigila il grande Cochise, il capo dei Chiricahuas il cui prestigio s’irradia su tutte le genti apaches. È per questo suo carattere di terra di resistenza che il Sudovest è stato pensato come luogo di Tex. Sulle terre calde le genti indiane hanno a lungo resistito ed hanno imparato lo stile di guerra. Quando vuole fare guerriglia, Tex desertifica (nn. 51-52). «Per Manito - dice un capo - un apache se dovrà morire morrà combattendo. Ma se dovrà combattere lo farà da una posizione di vantaggio». Mai l’inganno, l’agguato sempre.

Da “il manifesto mese” supplemento al quotidiano, maggio 1994

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