16.8.19

I nuvoloni di Franco Fortini, un antagonista di se stesso (Mario Luzi)


Questo è l’intervento che Mario Luzi inviò alle giornate di studio di Siena su dieci inverni senza Fortini 1994-2004, pubblicato su “l'Unità”. (S.L.L.)
Franco Fortini

Cari amici e compagni di vita e di studio, se ripenso a Franco Lattes che poi la sacrosanta cautela attingendo, credo, alla nomenclatura domestica mutò in Franco Fortini, lo rivedo nel punto in cui primamente lo conobbi, cioè sulla soglia della cattedrale di Volterra nella quale io entravo mentre lui ne usciva. Ci furono saluti disinvolti, ma seri, non proprio goliardici. Già in quegli anni giovanili aveva assunto o meglio aveva manifestato una connaturale intrinseca aria di antagonista.
Mario Luzi
Non ci frequentavamo né regolarmente, né spesso. Affacciandoci più o meno negli stessi anni al paese letterario, era andato a collocarsi in un gruppo di giovani il cui orator era Giacomo Noventa: una piccola pattuglia prossima, ma attestatasi come rampogna vivente, al simultaneo «tertuliare» degli scrittori già noti o in erba intorno a Bonsanti, a Leria, Montale, Gadda, eccetera. Era evidente in loro un disagio morale e civile, mi rimaneva confusa invece la loro implicita velleità.
Credo che non ci fosse miglior lettore delle cose che scrivevamo per le distinte riviste - La riforma letteraria lui, e Letteratura io, poniamo - di quanto lo fossimo reciprocamente noi due.
Devo a lui le più acute analisi, specialmente formali. La sua conoscenza della retorica era agguerrita, la sua sensibilità viva e dunque era un piacere ascoltarlo o leggerlo. Sapeva davvero apprezzare i pregi fattuali di un testo e spesso cogliendo i movimenti interni. Questo fece più volte con me, mai però lo trovai disposto a mandarmela buona tutta quanta. Una parte difettiva incombeva sul suo consenso: ed era sua e mia, certo, ma difficile a definirsi e a circoscriversi.
Tralascio qui le differenze «politiche». Non era così sciocco, come non lo era Pasolini con il quale collaborò in un certo periodo, da credere che l’introversione ermetica, se vogliamo così chiamarla, fosse indolore e indifferente ai traumi della storia. Tuttavia su questo lato della vicenda pesava un turbamento di umore, una difficile stonatura. Fortini era tutt’altro che chiuso o negato alla interiorizzazione perfino capillare del mondo, lasciava del resto affiorare con un tocco di struggimento il suo incontro con la realtà non realistica ma primaria e in fieri come accadeva ai poeti da lui prediletti, però con una sorta di dispetto da antagonista anche di se stesso. C’era in Franco qualcosa contro di lui.
Proprio in questa nube di malo umore ci siamo scambiati qualche battuta non velenosa ma asprigna. La amicizia e la attenzione non sono mai venuti meno, avevamo alla lunga bisogno di quella differenza. Ne ha poi dato ragione egli stesso nella ultima raccolta di versi. C’è voluta tutta una vita di vittorie effimere e di recriminazioni e abbandoni nel campo del magistero e del confronto ideologico per arrivare a Composita Solvantur dove appunto sembra siano medicate le sue lacerazioni. Talora a ritroso mi chiedo in questi anni catastrofici: «Infine, qual era la materia del contendere?». Credo, Franco, che possiamo sorriderne.

l'Unità, 14 ottobre 2004

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