15.8.19

Tra Calvino e Vittorini. Bocciature e scelte a casa Einaudi. Il caso Fofi (Oreste Pivetta)



Si potrebbe cominciare mettendo in fila, come nella locandina di una rappresentazione teatrale, gli interpreti che sono poi anche i personaggi: Bobbio, Delio Cantimori, Calvino, Cases, Massimo Mila, Renato Solmi, Vittorini, Fruttero, Panzieri, Ponchiroli, Strada, Baranelli, Serini, Fonzi, Bollati, molti altri, alcuni più o meno sullo sfondo (come Roberto Cerati, che ci ha lasciato solo qualche giorno fa, organizzatore commerciale e inventore di tanti successi editoriali) e naturalmente lui, non si sa bene se in qualità di regista in scena, di padre padrone, di deus ex machina, il «divo Giulio», come gli piaceva farsi indicare, cioè Giulio Einaudi, figlio di Luigi, fondatore nel 1933 (precoce, indubbiamente, come può capitare a chi ha la fortuna di respirare cultura dalla nascita: aveva 21 anni, essendo nato nel 1912) della casa editrice cui prestò il cognome e cui assegnò il simbolo che diventò presto un marchio di qualità: lo struzzo che piega il chiodo, «spiritus durissima coquit».
I verbali del mercoledì, il volume che raccoglie, a cura di Tommaso Munari, i resoconti delle riunioni redazionali della casa editrice in un decennio, tra il 1953 e il 1963, resoconti a volte molto schematici, elenchi senza pretese di elaborazione, rappresentazione, interpretazione, a volte cronache che riproducono personalità, stati d'animo, idiosincrasie, persino il mal di denti di uno dei redattori (il francesista Serini: «Non parlo oggi per incapacità di parlare... Ho avuto un'estrazione») riesce ad essere in tante pagine brillante, curiosissimo, mai burocratico, vivo, cioè prova di una cultura viva e autentica. Vedi ad esempio la «sceneggiatura» del «caso Fofi», cioè la lunga discussione che si sviluppò attorno alla pubblicazione o meno dell'inchiesta di Goffredo Fofi sull'immigrazione meridionale a Torino.
Il libro era stato commissionato da Raniero Panzieri. Nell'autunno del 1963 erano pronti quattrocento pagine e un titolo, I meridionali a Torino. Fofi aveva ventisei anni, s'era lasciato alle spalle l'esperienza di Cortile Cascino, maestro di strada tra i bambini che popolavano uno dei quartieri più poveri di Palermo (dalla Sicilia venne cacciato con un foglio di via e l'Unità commentò l'episodio con un editoriale di prima pagina). La discussione aveva occupato più di un mercoledì e nella discussione si cimentarono un po' tutti.
Bobbio sobriamente si atteggiava ad arbitro, Massimo Mila era il critico benevolo, che elencava i difetti ma reclamava un atto di coraggio indicando i pregi, Calvino era ostile e puntiglioso (definisce il saggio declamatorio, superficiale, ovvio e peggio ancora, inutilmente polemico nei confronti del Pci e delle organizzazioni sindacali, ma le storie raccolte da Fofi gli regalarono qualche spunto per i suoi racconti futuri), Panzieri respingeva le accuse («Questi dei giovani sono dei tentativi che vanno seguiti con amore, incoraggiati. Del resto questa era la tradizione della casa editrice.»), Renato Solmi pensava di svelare «il punto della questione»: «Questo libro sarebbe uscito senza obiezioni se non costituisse un duro colpo portato alla Fiat. Il motivo determinante della sua non pubblicazione è che non si vuole pubblicarlo per ragioni politiche ed economiche precise, di cui qui sono tutti a conoscenza. Il Consiglio ha finto di non vedere il punto della questione.».
Giulio Bollati in realtà il «punto» l'aveva anticipato ricostruendo la storia del volume: «Letto il libro in bozze, Solmi informò Einaudi che esso conteneva passaggi che potevano offendere persone vicine alla Casa editrice.». Il problema lo aveva segnalato lo stesso Einaudi a Fofi in una lettera di attentissima ed elaborata prosa: il libro lo pubblico, ma deve essere ripulito, smorzato, corretto, emendato per quelle parti che chiamano in causa «istituzioni enti società e persone con cui mi trovo quotidianamente a contatto, alle quali sono legato talvolta da rapporti di collaborazione e di lavoro.». Bobbio, in apertura, era stato più esplicito: «C'è qualcosa di molto irritante nel libro,ed è l'angolo interpretativo.Trecose fanno andare in bestia Fofi: la Stampa, la Fiat, i Piemontesi. C'è del dileggio, del disprezzo.».
Mila aveva riposto: «Debbo dire, come vecchio torinese, che non ho trovato motivo di scandalizzarmi nella diagnosi del mondo torinese fatta da Fofi. che Torino sia una città in situazione di monopolio mi pare dimostrato proprio dalla perplessità di questa casa editrice se pubblicarlo o no.». Conferma polemica di Solmi: «Questo libro sarebbe uscito senza obiezioni se non costituisse un duro colpo alla Fiat». Replica di Einaudi: «Io non avrei alcuna difficoltà a pubblicare un libro di critica alla Fiat o a qualsiasi altra industria o istituzione se si trattasse d'un libro serio, motivato, documentato.».
S'andò ad una votazione (perché si votava quando non si vedeva unanimità) e vinse il no. Meridionali a Torino venne pubblicato l'anno dopo da Feltrinelli (e lo ha ristampato recentemente Aragno). Cambiò il titolo, che divenne: Immigrazione meridionale a Torino. Renato Solmi e Raniero Panzieri furono licenziati.
L'ex dirigente del Psi e fondatore della rivista Quaderni Rossi morirà appena dieci mesi dopo, a quarantatre anni. Munari definisce il caso Fofi un pretesto per la resa dei conti tra il partito della militanza e quello, capeggiato da Bollati, che coltivava l'idea di una casa editrice forte sul mercato, ben strutturata in collane, ben attenta alla resa delle sue scelte. Al prevalere di una «logica aziendale», delle «istanze dell'industria culturale», alluderà molti decenni dopo, in una intervista, Renato Solmi, che fu tra l'altro l'autore delle prime traduzioni italiane di Adorno e Benjamin.
I Verbali del mercoledì (il secondo volume, il primo si fermava ai primi anni cinquanta) si chiude in quel 1963, anno tormentato, al tramonto del «miracolo economico», all'inizio della «congiuntura», anno che finirà con la nascita del primo governo di centro-sinistra, alleati Dc e Psi,Moro presidente del consiglio e Nenni, vice-presidente, nella «stanza dei bottoni».
I verbali del mercoledì sono ovviamente uno strumento formidabile per rifare dall'interno e dal punto di vista del catalogo, cioè dell'autentico progetto culturale, la storia della Einaudi, già rifatta peraltro in modo mirabile da Luisa Mangoni nel suo Pensare i libri, edito da Bollati Boringhieri. Ma rileggere quelle discussioni è soprattutto un modo per sedersi al tavolo della cultura italiana, non l'unico, perché la cultura e l'editoria vivevano anche altrove, a Milano, a Firenze o a Napoli, Feltrinelli, Garzanti oppure Vallecchi, Editori Riuniti, Laterza. Sede rsi al tavolo significa misurare la vivacità dei progetti, il peso delle identità, il valore degli ideali, nelle parole di intellettuali che tenevano ben coscienza di una loro responsabilità di fronte al pubblico, di fronte al paese, in momenti di autentico dinamismo culturale e politico, quando divisioni tradizionali si ricomponevano ed altre se ne manifestavano. Ricchezze, tensioni, emozioni di un'altra Italia, che nutriva molte speranze, che si costruiva con i lavoro di tutti.
Il libro poi è bello per i dialoghi, in buona parte trascritti, cioè verbalizzati, con gusto da Daniele Ponchiroli, per certe note che dicono della vita della casa editrice («Fare contratto - Cond. usuali - tend. basse» si deve immaginare solito contratto, alle condizioni meno dispendiose: la vittima era Ludovico Terzi, per il suo romanzo La timidezza), per le intuizioni, per i giudizi severi, talvolta feroci, talvolta sbrigativi, mai disattenti. Anche per gli errori. Se questo è un uomo resterà nella storia, malgrado il rifiuto einaudiano a Primo Levi (ma si torna al 1947). Se questo è un uomo fu pubblicato da un piccolo editore, De Silva, e Calvino subito lo definì sull'Unità «un magnifico libro».

“l'Unità”, 6 gennaio 2014

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