2.1.10

Da Bettino a Fassino. "De imitatione Craxi".



Due amici di Facebook, Gisella e Alessandro, ricordano che non adesso, ma da un bel po’ di tempo, Fassino e, in momenti e modi diversi, Veltroni hanno dichiarato che tra Craxi e Berlinguer era il primo ad avere ragione. Pertanto non ci dovrebbe essere ragione di meraviglia nella recente apologia del defunto leader del Psi operata dal “birmano” su “La Stampa” (“Craxi era un capro espiatorio”).
Io non saprei davvero dire a quale specie animale appartenesse l’esule di Hammamett, ma so che le scelte politiche fondamentali del Pds-Ds-Pd ne seguono già da molto tempo le orme.
L’operazione a cui prima Occhetto e poi Veltroni, Fassino, D’Alema e gli altri sottoposero il corpo vivo di quello che era stato il Partito Comunista Italiano, somigliava molto a quella che Craxi aveva praticato al Psi e che Berlinguer aveva definito “mutazione genetica”. Questo e quelli, infatti, aspiravano a cancellare, in maniera definitiva, il peccato originale dei due partiti, l’essere “partiti di classe” e rappresentare il “movimento operaio”.
Chi ha memoria degli ultimi anni di Berlinguer se lo ricorda prima davanti ai cancelli di Mirafiori in occasione di quei licenziamenti di massa, che tendevano a ristabilire il pieno potere dei padroni nelle fabbriche. Poi se lo rammenta a contrastare fino a morirne il decreto Craxi che tagliava la scala mobile e indeboliva il meccanismo di difesa dei salari, dando inizio alla deriva che avrebbe portato i lavoratori italiani ad essere tra i peggio retribuiti d’Europa. Craxi, dal canto suo, nutriva l’ambizione di costruire il partito dei “ceti emergenti” e degli “imprenditori rampanti”. L’intervento sulla scala mobile era per lui un atto politico che portava a compimento il processo che, sul piano simbolico, egli aveva intrapreso fin dalla sua ascesa al vertice del Psi. La riunione del Midas che portò Craxi alla segreteria è del 1976. Due anni dopo, al Congresso di Torino, egli cambia il simbolo del partito: la falce, il martello, il libro, il sole nascente che lo formano, sono rimpiccioliti e sottomessi a un grande garofano rosso. Nel 1985 – Craxi è a capo del governo – i segni del lavoro scompaiono del tutto dal contrassegno del Psi. Rimane solo il garofano.
La storia dei postcomunisti disegna una parabola analoga sul piano politico e simbolico. Dopo la svolta, il vecchio contrassegno del Pci (falce, martello e stella su bandiera rossa) non scompare subito dal simbolo del nuovo partito, ma viene collocato sotto un emblema vegetale, la quercia della Rivoluzione francese (della rivoluzione borghese). Quando, nel 1993, il governo Amato abolirà del tutto la scala mobile il nuovo partito approverà ed apprezzerà l’atto. Nel 1997 la falce e il martello scompariranno anche dal simbolo del partito quando da Pds diventerà Ds. Questo taglio dei ponti sarà sancito dallo smantellamento di un'altra storica conquista operaia, il contratto a tempo indeterminato come forma principale di accesso al lavoro. Verrà sostituito dalle forme contrattuali del precariato introdotte dal pacchetto Treu ai tempi del governo dell’Ulivo e poi perfezionate dalla legge Maroni-Biagi sotto Berlusconi.
Intanto, già sul finire degli anni Novanta, non sono pochi i dirigenti piccoli e grandi che cominciano a dire che, politicamente parlando, Craxi era meglio di Berlinguer, più moderno, più al passo con i tempi nuovi. La vicinanza temporale con la bufera di Mani pulite rendeva, allora, obbligatoria una riserva: il limite di Craxi era stata la disinvoltura nella ricerca di finanziamenti per la politica e la scarsa attenzione a ciò che i suoi facevano in provincia. Insomma “era stato un grande statista; peccato che fosse un ladro, circondato da ladri”. Oggi per Fassino sembra arrivato il tempo della piena riabilitazione attraverso l’annacquamento delle responsabilità personali.
Si tratta – a ben vedere – della stessa argomentazione usata da Craxi in un suo discorso alla Camera dei deputati: tutti ladri nessun ladro. In questa luce Ghino di Tacco non è più il protagonista del “patto del camper” con Andreotti e Forlani, il capintesta di quel CAF che aveva organizzato scientificamente il meccanismo delle tangenti politiche; no, è solo la vittima sacrificale che ha pagato per tutto un sistema. Berlinguer e la “questione morale” possono essere tranquillamente e definitivamente abbandonati.
L’unico – mi pare - dei maggiori capi Pds-Ds-Pd che, nel tempo, non ha dichiaratamente rivalutato Craxi e rinnegato Berlinguer è stato peraltro, a mio avviso, il più coerentemente craxista. Parlo di Massimo D’Alema. Fu lui, da presidente del Consiglio, che sul piano della rottura politico-simbolica con la storia del movimento operaio tentò il colpaccio sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, quello che prevede il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa. Senza successo: quella volta fu Cofferati a mettersi di traverso.
D’Alema perseguì l’imitazione di Craxi anche nel rapporto con il mondo imprenditoriale. Costui aveva aiutato Gardini e Berlusconi a spezzare il dominio dei “salotti buoni” di un tempo, quelli che facevano costellazione attorno agli Agnelli e a Cuccia. Gardini era finito suicida, ma con Berlusconi il miracolo gli era riuscito. Costui aveva cominciato a fare il costruttore con capitali di dubbia provenienza; poi illegalmente aveva dato l’avvio alla Tv privata su scala nazionale. Quando la magistratura gl’ingiunse di smettere e minacciò l’oscuramento, Craxi, da presidente del Consiglio, gli fece un decreto ad personam che ne decretò le fortune. Nel settore delle Tv commerciali a diffusione nazionale partiva infatti con un vantaggio tale, che ne avrebbe fatto ben presto il monopolista, grazie anche alla costante protezione dell’amico Bettino. D’Alema provò anche lui a costruirsi dei “capitalisti di fiducia”. Chiamava Colaninno, Gnutti & compagnia bella “capitani coraggiosi”. Svendette loro per pochi spiccioli la Telecom e sperò che così si costituisse un nuovo polo di moderno e aggressivo capitalismo, legato alla cosiddetta new economy, a quel tempo molto in auge. I suoi amici però lo delusero: rivendettero le azioni a prezzo doppio, triplo e quadruplo e preferirono ingrassarsi con l’economia cartacea, con la finanza creativa, per la quale era tempo di vacche grasse. D’Alema tentò di imitare Craxi anche sdoganando a sinistra militarismo e bellicismo. Bettino aveva violato i tabù disarmisti incoraggiando la collocazione in Italia (a Comiso) dei nuovi potentissimi missili a testata nucleare (i Pierce e i Cruise), D’Alema sfidò il pacifismo concedendo alla Nato le basi per i micidiali bombardamenti (tutt’altro che chirurgici) nella vicina Serbia. Neanche lui pertanto ha ragioni per opporsi alla imminente beatificazione di Craxi.
Chi rimane a contrastare questo “rovesciamento dei verdetti”? Intanto le molte persone perbene che trovano indegna le celebrazione di un corrotto e corruttore condannato in tre gradi di giudizio e morto latitante. E’ ad essi che guardano Di Pietro e De Magistris con la loro giustificata denuncia. A noi, che siamo rimasti "socialcomunisti", cioè classisti ed egualitari, e vorremmo continuare ad esserlo nel terzo millennio, rinnovando i nostri strumenti di analisi e di lotta, tocca mettere in luce i rapporti tra la recisione degli storici legami con il movimento operaio e il processo di corrompimento ideale e morale dei gruppi dirigenti della sinistra. Il Fassino che riabilita Craxi - non lo si dimentichi - è lo stesso che al Consorte dell’Unipol, in cordata con i lestofanti della finanza, telefona festante: “Allora, siamo padroni di una banca!”.

1 commento:

  1. Condivido la lucida appassionata e dolente analisi fatta da Salvatore. Dolente perchè sento che soffre per quanto è accaduto al suo Partito (ed al mio)come io soffro per quello che è accaduto al PSI ( ed al pci) diventato spazzatura della destra italiana nella sua estrema degenerazione berlusconiana di squallidi e pericolosi personaggi come Frattini, Sacconi, Brunetta, Cicchitto...
    In effetti la degenerazione del PCI
    è stata accompagnata da una trasformazione del sistema cooperativistico che dalle sue primigenie finalità prampoliniane di promozione di una economia progressista alternativa è diventato un impero di potentati economici controllati verticalmente da manager che amministrano con le regole liberiste miliardi e miliardi di euro sfruttando anche i produttori contadini che sono alla disperazione. Il PD è il partito-azienda di questi. Migliaia di lavoratrici e lavoratori soffrono dentro il sistema economico para PD
    della "Coop sei tu" con salari di fame decurtati da rapporti di lavori ispirati alla legge Biagi ed il PD attuale è interessato al successo della lotta della Confindustria contro i diritti dei lavoratori anche per ragioni squallide di bottega.
    Oramai PD e quello che resta del PSI non hanno più niente in comune nè con il comunismo nè con la tradizione socialista. Sono lieto che abbiamo cambiato simbolo e non abusino ed infanghino i simboli che sono la nostra identità, la nostra storia sociale ed umana, i nostri sogni,e, caro Salvatore, anche il nostro futuro|||
    Pietro ancona

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