Un po' per necessità un po' per scelta sono quello che per "micropolis", il supplemento mensile umbro de "il manifesto", più si è occupato di preti e preterie. Con gli articoli del 2000 poi Crace costruì un libretto, le Cronache giubilari. Durante questo percorso inevitabilmente ho incontrato il prete più prete della regione, monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, oggi alla testa della conferenza episcopale umbra, di cui ho dovuto seguire, segnalare e commentare pensieri, parole, opere e omissioni e di cui ho scritto anche sull'ultimo "micropolis", sorbettandomi gl'improperi di un vescovo. Alla piccola antologia di pagine anticlericali che intendo consegnare al blog, scelte tra quelle che ho accumulato dopo il 2000, aggiungo qui un pezzo del 2007, dedicato proprio a questo prestigioso esponente della Curia. (S.L.L.)
Paglia come Stalin
Il vescovo di Terni e il suo ultimo libro
Il nome di Vincenzo Paglia, stando ai giornali locali, sarebbe comparso anche in diverse schede annullate al congresso umbro dei Ds nella votazione per il segretario regionale: era certo una provocazione per denunciare la probabile clericalizzazione del partito democratico in gestazione, ma anche un riconoscimento verso il vescovo di Terni, la cui “benefica” influenza si estende peraltro ben oltre i confini regionali.
Basta leggere le biografie. Nato nel 1945 in provincia di Frosinone, sacerdote dal 1970, in possesso di tre lauree, prima di essere ordinato vescovo a Terni nel 2000 Paglia ha occupato una sfilza di incarichi di rilievo nella Curia romana (dalla Commissione presbiteriale alla Terza prefettura all’Opera pellegrinaggi). Nel 2002 è stato nominato dalla Santa sede Presidente della Federazione biblica cattolica internazionale e dal 2004 è presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo.
La sua fama, però, è legata soprattutto alla Comunità di Sant’Egidio, che, in sintonia con il Vaticano, organizza incontri interreligiosi e pratica una sorta di diplomazia parallela. Ne è stato a lungo assistente ecclesiastico generale e ne è ora Consigliere spirituale. Per questa attività ha conseguito premi e riconoscimenti come la Medaglia Gandhi dell’Unesco e il diploma per il “III centenario di San Danilo principe di Mosca” consegnatogli dal Patriarca Alessio. Nella Conferenza episcopale umbra presiede la Consulta per il problemi sociali, del lavoro, della giustizia e della pace, l’importante Commissione per i Beni culturali, la Commissione per la Cultura e le comunicazioni sociali. Si parla spesso di lui come di un porporato in pectore e certamente del cardinale non gli mancano allure, fervore apostolico, comunicativa. Nel 2004 nella vertenza sulla ventilata chiusura delle acciaierie ternane si vantò di essere stato determinante nella trattativa con la Thyssen-Krupp. Ottenne presenze televisive e interviste; una, lunghissima, apparve su “Liberazione”, ma in un’altra, sul “Venerdì di Repubblica”, a scanso di equivoci sottolineò che al tempo del proporzionale votava Dc senza turarsi il naso.
Da allora celebra messa in fabbrica ad ogni festa e non fa mancare parole di denuncia e conforto tutte le volte che (troppo spesso!) accadono incidenti sul lavoro. Ogni tanto visita le carceri di Sabbione: nella Pasqua 2006 comunicò alla grande stampa di voler incontrare il mafioso Provenzano appena catturato per regalare a lui, come agli altri carcerati, un suo libro di commento alla Bibbia. Come è noto, “u ’zzu Binnu” di bibbie, quando è stato arrestato, ne custodiva addirittura cinque.
Paglia si muove con disinvoltura nei luoghi del potere, in specie tra quei “democristianoni” di cui continua ad essere amico e protettore. Il 26 aprile scorso i popolari commemoravano a Roma, a Palazzo San Macuto, il loro maestro Nino Andreatta. Alla presenza di tutti quelli che contano, a cominciare da Prodi, parlava il banchiere Giovanni Bazoli. Subito dopo nella vicina Chiesa di Sant’Ignazio era monsignor Paglia a celebrare la messa in suo onore. Acuto il commento su “La Stampa” di Lucia Annunziata: “Caso recente di maggior allineamento di potenze non si conosce. Nello spirito di massima umiltà, naturalmente”.
L’indomani, il 27 aprile, il gerarca ciociaro era ad Assisi, a un incontro dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti, prima per la presentazione di un suo libro, L’amore cristiano, poi per “celebrare la Pasqua” con gli affiliati dell’Ucid, quasi tutti personalità di peso nell’economia regionale. Qui il Prodi più famoso non c’era, ma non mancava la nipotina che fa l’assessore alla Regione Umbria. A guidare le cerimonie era un figlio d’arte, Leonello Radi, che dell’Ucid umbra è presidente, mentre sul testo pagliano relazionava il Superiore generale dell’Amore misericordioso di Colvalenza, padre Domenico Cancian. Il volume in questione è uscito alla fine del 2006, ma non sapremmo se sia l’ultimo del monsignore, che nello scrivere è tanto veloce da sembrare inseguito da una muta di cani rabbiosi. L’elenco delle sue opere tra il 2003 e il 2006 arriva a ben 27 titoli, anche se una, i Dialoghi postsecolari, l’ha stilata a quattro mani con il ministro Amato. Ma è proprio il libro sull’amore cristiano quello che il prolifico scrittore più promuove: l’ha presentato in molte Tv, da ultimo alla Sette, lungamente intervistato da Elkan. Si tratta essenzialmente di un commento alla prima Enciclica di papa Benedetto XVI, Deus caritas est, e fonti autorevoli assicurano che il libro è molto piaciuto a sua Santità in persona.
Il generale dell’Amore misericordioso nell’illustrare, esaltandolo, il libro del vescovo di Terni ha implicitamente dichiarato le proprie simpatie per la destra politica attraverso un paio di citazioni: una di Marcello Pera dialogante con Ratzinger e un’altra di Marcello Veneziani, tratta da un suo recente libro sulla barbarie incombente da cui soltanto l’amore cristiano potrebbe salvarci. Paglia, con nonchalance, si è goduto le lodi, ma ha voluto mantenersi bipartisan, allontanando da sé l’interpretazione maliziosa dell’altro prelato: una volta pubblicato – ha detto – un testo non è più soltanto dell’autore, ma si arricchisce delle riflessioni di chi legge.
L’amore cristiano ha una struttura a cornice. L’introduzione e il capitolo conclusivo, il VI, affrontano in maniera diretta le questioni teologiche ed etiche poste dal Papa al centro dell’enciclica. Torna perciò la distinzione delle forme dell’amore, tutte da Dio originate: l’eros, la philìa e la più tipicamente cristiana agape, che riscatta l’eros dalla concupiscenza e nobilita la stessa philìa. I capitoli dal primo al quarto tracciano una storia dell’impegno della Chiesa verso i poveri dalle origini ai nostri giorni, mentre il quinto si iscrive nel genere “esegesi biblica”, commentando la parabola del buon samaritano e la figura di Maria ai piedi della Croce.
L’opera, per i nostri gusti, è assai disuguale: l’impressione è che la parte storica, pur interessante, ricicli i materiali di un’altra opera recente del Paglia, la Storia dei poveri in Occidente. Indigenza e carità e che la parte etica e teologica pieghi i materiali biblici e gli exempla storici ed agiografici alla tesi cara al vescovo di Terni come a quello di Roma, secondo cui “la carità organizzata” implica un ruolo “pubblico” e, nelle forme proprie, direttamente “politico” della religione cattolica. A noi, che veniamo dai dintorni di un’altra “chiesa”, la lettura de L’amore cristiano ha richiamato le pratiche dello stalinismo: quando il capo detta la linea è compito dei dignitari diffonderla, spiegarla, argomentarla.
Paglia, fin qui wojtiliano doc, si allinea al nuovo Papa e lascia intendere che sulle tesi delle “radici cristiane” dell’Europa e sul ruolo costituzionale e statuale del cattolicesimo, care a Ratzinger, era d’accordo prima ancora che venissero esplicitate. Ma il libro rammenta Stalin anche in maniera più diretta. Il “piccolo padre” dell’Urss, autocrate impegnatissimo nell’esercizio del potere, si cimentava anche lui, seppure con parsimonia, nella giustificazione delle proprie scelte con il richiamo alla dottrina, un marxismo dichiaratamente “creativo”, elastico come la pelle di certe parti del corpo, in cui le opere di Marx, Engels, Lenin erano essenzialmente un repertorio di citazioni da utilizzare secondo il bisogno. Il vescovo di Terni sembra usare, pur con una raffinata dissimulazione prelatizia, un metodo analogo con i testi del canone cristiano.
Naturalmente questa è solo un’impressione soggettiva. Storicamente le cose stanno in modo assai diverso, anzi inverso: era Stalin il copione, quello che si ispirava al modus operandi dei preti. Non aveva forse studiato in seminario?
Questo pezzo dovrebbero leggerlo in tanti, soprattutto a sinistra, i tanti profeti del comunismo che di Marx non conoscono manco una pagina, così come chi ancora non ha capito che i veri stlinisti stanno, come colui a cui si ispirano, sul fronte moderato. Peccato che grazie a Occhetto e al gruppo dirigente analfabeta e opportunista dell'ultimo PCI, in Italia nel senso comune si sia secolarizzato il legame comunismo-Urss, e spiegare che Stalin e il marxismo sono come due rette parallele e non si incontrano mai è impresa purtroppo assai ardua.
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