Dall’intervista a Cesare Musatti condotta da Paolo Guzzanti su Duemila-psicanalisi, il supplemento diffuso con il quotidiano “la Repubblica” il 17 dicembre 1986 propongo qui un brano su Freud e il suo rapporto con l’ebraismo.
“Il mondo di Freud è morto, ma le cose che ha pensato lui no, quelle funzionano. Ma era proprio un altro mondo. Le faccio un esempio: sono andato a Trieste, a un convegno sul witz, sulla battuta di spirito che Freud aveva studiato. Per prepararmi ho riletto le barzelletta che Freud esaminava ed ho scoperto che erano tutte barzellette ebraiche, storielle yddish polacche o galiziane degli ebrei askenaziti e sa di che cosa mi sono reso conto? Che quelle barzellette facevano ridere soltanto all’interno della comunità cui si riferivano, perché erano costruite tutte su situazioni in cui chi raccontava la barzelletta, ebreo anche lui, metteva subito in rilievo le caratteristiche negative degli ebrei: in questo modo impediva all’altro di aggredirlo e allo stesso tempo faceva vedere di essere un tipo superiore”.
Freud sentiva molto l’identità ebraica?
“Sentiva l’angoscia della situazione. Una volta raccontò di aver sentito suo padre che raccontava di essere stato aggredito e insultato perché ebreo. E che i suoi assalitori gli avevano strappato il berretto dalla testa e lo avevano calpestato. Allora Freud chiese al padre: e tu che hai fatto? E il padre rispose: niente, figlio mio, ho raccolto il berretto da terra, l’ho spolverato e me lo sono rimesso in testa. Freud era furente per questa prova di passività, di sottomissione del padre, credo che la furia accumulata da Freud fu la stessa accumulata da ogni ebreo. E fu quella furia che armò per la prima volta gli ebrei nel ghetto di Varsavia e da quell’esplosione di aggressività, da quella prova della possibilità di reagire, io credo che sia nata tutta l’aggressività israeliana. La costrizione dei secoli è esplosa.
Pensa che sia molto importante il fatto che la psicanalisi sia stata inventata da un medico ebreo come Freud?
“Direi che non è affatto un caso che i tre più grandi rivoluzionari della misura umana nell’età moderna, Marx, Freud ed Einstein, fossero ebrei. C’è un filo che li lega: tutti e tra avevano la capacità di capovolgere il senso corrente delle cose e vedere ciò che le cose stesse nascondono sotto di sé. Ora, lei capisce che il solo fatto di prendere il mondo, con le sue buone regole consolidate, e rovesciarle come un calzino, sia dal punto di vista fisico, che sociologico o psicologico, è un modo di fare che provoca grossi turbamenti nel borghese normale, il quale ama la stabilità e trova molto preoccupante la rivoluzione.
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