Le più povere donne di Berlino
- tredici figli in una stanza e mezzo,
- reiette, carcerate, prostitute -
il loro corpo divincolano e gemono.
Luogo non c’è dove si gridi tanto.
Luogo non c’è dove dolore e pena
vengan sì poco come qui curati,
appunto perché qui sempre si grida.
“Ma pigi, la mia donna! Lei capisce.
Lei non è qui per Suo divertimento.
Non è il caso d’andare per le lunghe.
Nel pigiare vien fuori anche la merda!
Lei non si trova qui per riposare.
Non vien da sé. Deve pur far qualcosa!”
Infin viene: piccino e azzurrognolo.
E lo ungono orina ed escrementi.
Dagli altri letti con lacrime e sangue
s’inalza un gemito come saluto.
Da due occhi soltanto irrompe un coro
pieno di giubilo su verso il cielo.
Per questo piccolo pezzo di carne
passerà tutto: affanno e gioia.
Se poi morrà nel rantolo e nel dolore
ce n’è altri dodici in questa sala.
Da Morgue, traduzione di Sergio Solmi
C'è nel parto la violenza estrema che la vita racchiude: dal dolore insopportabile del corpo a quello dell'anima che affronta il
RispondiEliminadistacco, il primo di un’infinita serie, da quel figlio che è stato tuo, pelle della tua pelle, sangue del tuo sangue per nove mesi.
Su questo nodo stretto, impossibile da sciogliere, s’incastra, arenandosi, la ricerca femminista?
Per una donna affrontare il tema della maternità è molto difficile ma non evitabile. Si può non averlo, un bambino, ma non è possibile non "fantasticarne" la presenza/assenza. La maternità, a differenza della paternità, sembrerebbe porre noi donne di fronte a scelte alternative e, comportando ogni scelta una rinuncia, realizzarsi come madri, castrerebbe professionalmente. E' uno schema culturale arcaico di cui subiamo il condizionamento, oppure è un insopprimibile istinto quello che ci lega, ci annoda, ci inchioda al figlio che partoriamo?
Pur essendo vecchia, pur avendo letto tanto, pur avendo vissuto sulla mia pelle l'esperienza della maternità, sono riuscita a trovare poche risposte alle tante domande che, brusio costante nella mia testa, la maternità mi suggerisce. L'immagine cruda e le parole che tu hai scelto di riportare per esprimerla me la ripropongono come condizione anche sociale d’ingiustizia, di "diversità" che chiude e ghettizza... Condizione che molte donne ancora nel mondo
sono costrette a subire.
Noto che siamo nella civilissima (?) Europa, agli inizi del Novecento, in quella Germania che accoglierà, donne in testa, Hitler
come un trionfatore.