10.1.11

Il Pcl di Ferrando a Congresso. I rischi del dogmatismo. L'articolo della domenica.

Si è svolto nei giorni scorsi a Rimini il Congresso del Pcl, il piccolo partito di ispirazione trotzkista fondato da Marco Ferrando e Franco Grisolia dopo la scissione con Rifondazione.
La relazione di Ferrando, che sintetizza la linea e la proposta del gruppo, ortodossa nell’approccio e nel linguaggio marxista, ha una struttura classica. Si apre infatti con l’analisi della fase (cioè della crisi) a livello internazionale, con l’attacco feroce delle borghesie dominanti ai lavoratori, i conflitti intercapitalistici e interimperialistici, con le lotte di resistenza in atto dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Grecia alla Francia. Poi viene l’Italia con le sue dinamiche politiche e sociali dentro un’Europa in crisi.
Il cuore del ragionamento, esemplificato dalla parabola di Zapatero,  è che i margini del riformismo, del progressismo socialdemocratico, non ci sono più, ammesso che ci siano mai stati. Tutta la crisi oggi, soprattutto in Europa, si scarica sulla classe operaia e sui lavoratori, di qualunque colore sia il governo del loro paese.
Alla sottrazione di diritti, salario, libertà, la reazione operaia appare a Ferrando tuttora debole e contraddittoria, con forme gravi di disarticolazione e disorientamento: solo negli ultimi mesi – dice – c’è qualche risposta di lotta, frutto di una insanabile contraddizione, l'impossibilità da parte dei governi di qualsiasi concessione, la non credibilità di qualsiasi promessa.
L’Italia è dentro questo quadro. La Fiat fa da apripista nel settore privato, nel quale tutta la borghesia è interessata allo sfondamento, mentre il governo (ogni governo) tende a ridimensionare il settore pubblico, a sottometterne i lavoratori, a privatizzare tutto il privatizzabile.
Il berlusconismo appare in crisi a Ferrando, ma anche i fautori di un ricambio borghese, dai terzopolisti al partito democratico, gli sembrano inconsistenti nella loro proposta di governo: la stabilizzazione non gli sembra perciò all’orizzonte, neanche in caso di elezioni anticipate. Ci potrebbe essere invece, a breve, un’esplosione del sistema politico in un quadro destrutturato sullo sfondo della crisi europea, che sarebbe un ulteriore disastro per la povera gente senza una credibile alternativa di potere e di società. 
La critica del Pcl si estende anche alle attuali sinistre italiane, politiche e sindacali, subalterne, divise e senza proposta. L’ipotesi considerata più interessante, quella di Vendola, è ritenuta da Ferrando “socialdemocratica” e, per ciò stesso, priva di margini di praticabilità. La critica è acrimoniosa oltre che ideologica: il sostegno del presidente pugliese alla Fiom è considerato puramente formale, mentre si legge la sua candidatura alle primarie come un offerta alla borghesia.
E’ ovvio che da una siffatta analisi, con i suoi connotati dogmatici, non possono venire altre proposte se non la rivoluzione sociale e una repubblica dei lavoratori. L’impressione è che gli strumenti concettuali e politici adottati siano sì in grado di illuminare aspetti della crisi che i più ignorano, ma non di far uscire la proposta dalle secche del “massimalismo”.
Due punti del discorso di Ferrando mi paiono tuttavia da apprezzare, da discutere e approfondire: l’idea che oggi il cuore dell’attacco padronale è la Fiom e che intorno ad essa va costruita l’unità delle forze del lavoro; la proposta di “Stati uniti d’Europa” che possa dare ai lavoratori del continente un interlocutore statuale unico e ne favorisca l’unità internazionale di cui c’è bisogno.

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