Nella rubrica “Fratelli di teglia” sul “La Stampa” del 12/08/2010 trovo un gustoso pezzo di Rocco Moliterni che qui ripropongo con diverso titolo. (S.L.L.)
Gli ascoltatori di Sei uno zero popolare trasmissione di Radio 2 Rai conoscono Fiore Calabro, la radionovela a puntate in cui il protagonista vive un autentico dramma: non osa dire alla madre che la pasta con la ’nduja della zia è più buona di quella che prepara lei. La ’nduja, insaccato spalmabile e piccante è sinonimo di Calabria. Il nome viene però dalla Francia, ossia dal termine «andouille» che vuol dire budello e anche salsiccia (l’andouillette è la salsiccia di trippa di maiale difeso da un’apposita associazione di gourmand) e probabilmente il battesimo della ’nduja si deve alla permanenza in Calabria delle truppe napoleonica a inizio ’800. Ma colpisce il fatto che anche in Piemonte esiste un salame che si chiama «dla duja».
Che cosa è la «duja»? E’ il recipiente di terracotta che contiene il grasso in cui si immerge il salame. La «duja» dà anche il nome alla più famosa maschera torinese ossia Gianduja, che sta per «Gioan dla duja», dove in questo caso duja è il boccale in cui si versa e si beve il vino. Le maschere vengono in Italia «codificate» ai primi dell’800, quindi tanto la ‘nduja quanto Gianduja sono in qualche modo figli della rivoluzione francese e di Napoleone. Dagli Anni 60 del ’900 con l’immigrazione meridionale a Torino anche Gianduja può trovare il modo di assaggiare la ‘nduja. D’altronde la popolare maschera secondo la tradizione ama avventure e battute piccanti: con la ’nduja potrebbe trovarsi a suo agio non solo per il nome.
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