21.7.11

Pace. La Perugia-Assisi rinnega Capitini.L'interventismo piagnone di Lotti & c.



E’ il 21 luglio 2011.
Stamani ho ascoltato, finché l’ho sopportato, Flavio Lotti da Corradino Mineo. Era lì a rappresentare la Tavola della Pace di cui è coordinatore in quanto funzionario della Provincia di Perugia, capintesta degli Enti Locali per la Pace, che supportano la Marcia Perugia-Assisi.
Parlava di tutto, Somalia, Palestina, Afghanistan, Libia, Iraq, il G-8 di Genova 2001; e riusciva a non dire niente. O quasi. La distruzione, la morte, i bambini, la carestia, la fame, le malattie: denunce giuste di cose orrende, ma senza una chiave di lettura, uno straccio di spiegazione o di proposta.
L’interlocutore privilegiato che Lotti ha scelto sono i governi dell’Occidente. A Obama rimprovera di aver promesso uno Stato ai Palestinesi: “I due popoli di quella terra non ce la fanno a mettersi d’accordo. Ci vuole un terzo. Lo diceva anche Norberto Bobbio”. Per la Somalia rimprovera a tutti, ma principalmente a Italia e Usa, non l’intervento militare, ma il disimpegno: “Era andato un contingente italiano insieme agli Usa nei primi anni Novanta. Dicevano di voler ricostruire la speranza, ma di fronte alle difficoltà hanno lasciato quelle popolazioni nella disperazione”.
La fissazione di Lotti sembra non essere più quella del pacifismo storico, ma della “guerra umanitaria”. I paesi dell’Occidente, infatti, nei conflitti che Lotti presume locali dovrebbero intervenire per fare da terzi, al fine di pacificare (usando le armi ma con misura) e di ricostruire democrazia e sviluppo.
Questa retorica democratico-umanitaria deve per forza ignorare che dietro a quei conflitti c’è sempre, in un modo o nell’altro, quell’Occidente che dovrebbe portare pace facendo da terzo.
Sono, infatti, assai spesso le industrie militari dell’Occidente ad armare i “signori della guerra” in conflitto tra loro in Africa. Costoro succhiano le poche risorse disponibili e il sangue dei loro popoli per dotarsi di sistemi sofisticati di distruzione, alimentando per questa via sviluppo e profitti in Usa, Inghilterra, Francia e Italia, oltre che in Russia e Cina.
Inoltre i conflitti riguardano spesso aree che il Pentagono e il complesso militare-industriale degli Usa ritiene strategiche e perciò da tenere sotto diretto controllo per meglio dominare l’universo mondo.
Gli esempi di “pacificazione” e ricostruzione democratica di questi anni sono disastrosi.
Dall’Iraq gli Usa non riescono ad andar via e i governi nominati dopo elezioni tutt’altro che libere (sotto occupazione e con un esercito e una polizia fedeli agli invasori) non trovano accordi stabili per spartirsi la parte di profitti petroliferi che i pacificatori decideranno di lasciare in Mesopotamia.
In Afghanistan e in Kosovo i “pacificatori” hanno portato le mafie direttamente al governo e una soluzione del genere prospettano per la Libia.
Non sono arbitri credibili i governanti dell’Occidente. Né, senza una riforma profonda, che non si vede all’orizzonte, è oggi in grado di esercitare un ruolo “terzo” l’Onu, altro pilastro della retorica lottiana. E' fin troppo evidente che oggi le deliberazioni Onu sono strumentalmente usate, anche con interpretazioni di comodo, quando valgono a giustificare la guerra permanente decisa dagli Usa; e sono invece carta straccia quando configgono con gli interessi della maggiore potenza militare del mondo.
Il punto è che, senza una chiara consapevolezza dei poteri e degli interessi in campo, il pacifismo è impotente, incapace di conseguire anche quei risultati parziali che in passato aveva potuto annoverare tra i propri successi: la riduzione delle spese militari, della produzione di armi distruttive, la cessazione dell'impegno diretto di molti stati,  tregue umanitarie o trattative in questo o quel conflitto. L'attuale pacifismo non disturba i manovratori e tutt’al più garantisce un ruolo burocratico e un po’ di spazio mediatico ai pacifisti di professione come Lotti.
Nonostante i richiami al cinquantesimo anniversario c’è pertanto una distanza abissale con la “Perugia-Assisi” del 1961, organizzata da Aldo Capitini e dai suoi amici. Ne ho scritto con  più ampiezza in un post dell’anno scorso, La Marcia il giorno dopo, un mio articolo da “micropolis” di maggio 2010 cui rimando. 
Qui basta confrontare i due manifesti di convocazione. Quella di Capitini era certo (come si presenta quella del 2011) una “marcia per la Pace e la fratellanza tra i popoli”, ma il poster che qui riproduco, individua anche gli avversari della pace: “l’imperialismo, il colonialismo, il razzismo, lo sfruttamento”. Lotti, al contrario, l’imperialismo, il colonialismo e il neocolonialismo, lo sfruttamento non li vede o, se li vede, fa finta che non esistano, per lui esistono solo “diritti umani”. Il suo pacifismo piagnone accompagna, pertanto, senza ostacolarla granché, l’escalation militare che potrebbe condurci alla guerra generale. Si dirà che alla fin fine i boy-scout, che marciano con le bandiere arcobaleno e gridano “Pace”, sono meglio dei balilla con la camicia nera e i teschi, che gridano “Guerra”. Giusto! Ma codesto pacifismo all’acqua di rosa, se è accompagnato da un ambiguo interventismo pacificatore, cessa di essere poco utile e diventa addirittura dannoso.

P.S.
Sul tema si possono vedere, su questo stesso blog, i seguenti post:

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