Un tempo la sinistra era, tendenzialmente, per la pace e la destra più bellicista e militarista. Oggi, in Parlamento, si rappresenta l’ennesima paradossale farsa italiana, la cui trovata comica, in verità assai antica, è lo scambio dei ruoli. La Lega è un movimento con paranoie nazistoidi, ma è quasi sempre prudente nel sostegno a interventi militari, tranne che non si tratti di poveri disgraziati inermi in cerca di rifugio o di fortuna sulle carrette del mare Mediterraneo. Il capo del governo, invece, pur essendo stato buon amico di Gheddafi e garante degli accordi di risarcimento alla Libia dei danni arrecati dal colonialismo, alla fine non sa resistere al richiamo della foresta della chiamata dell’Occidente alle armi. Dopo aver proclamato “non bombarderemo mai”, s’è corretto dichiarando: “Colpiremo solo obiettivi militari e non sbaglieremo la mira”. Neppure dopo gli ultimi eventi dà giustificazioni: evidentemente considera obiettivi militari le nipotine di Gheddafi. Tra le due posizioni la mediazione è stata: si bombarda, sì, ma “a termine”, indicando una data. E la Lega ha aggiunto: se costa troppo prenderemo i soldi dal capitolo Difesa, magari mettendo fine ad altri interventi. La strumentalità elettorale di questa posizione appare evidente ed è tutt’altro che improbabile che, dopo il voto amministrativo e referendario, la Lega con qualche trucco dialettico accetti quanto oggi dà mostra di rifiutare. Ma questo gioco delle parti tra Bossi e Berlusconi, come pure quello tra i ministri La Russa e Frattini, non ci stupisce per nulla: nel loro cinismo le distruzioni, l’uccisione di civili indifesi e anche di militari (che sono uomini e donne anch’essi) non contano nulla rispetto ai giochi della politica, agli affari che ne possono scaturire, alla possibilità che le guerre offrono di restringere gli spazi di libertà e di rinsaldare il potere. La destra è destra e la guerra per la destra è sempre un’opzione legittima e praticabile.
Ma l’opposizione di centrosinistra? I riformisti laici e cattolici del Pd? Gli eredi di quel Turati che cantava “Guerra al regno della guerra, morte al regno della morte”? Di quel Dossetti che per la Costituzione proponeva l’articolo “L’Italia rifiuta la guerra…”? Di quel Milani che, difendendo l’obiezione di coscienza, diceva che “l’obbedienza non è più una virtù” e che per primo fu posto dal Veltroni nel Pantheon del partito appena fondato?
Ce li si aspetterebbe schierati per la pace, decisi a contrastare l’imbroglio della “guerra a termine”, unanimi nella richiesta di mettere fine ad interventi che, con tutta evidenza, non salvano i “civili”, ma li ammazzano.
E invece no. Nei loro interventi e nei loro giornali si danno pena di ridicolizzare la “guerra a termine”. Ma in nome della “guerra interminabile” e del “bombardamento senza fine”.
Cerchiamo di essere seri. La “guerra a termine”, nel contesto dato, non ha niente di illogico. E’ assolutamente coerente con la logica di questo governo, per esempio, dire: “Noi bombardiamo 15 giorni per realizzare gli obiettivi della risoluzione Onu, poi ci pensi qualche altro: l’Onu ha centinaia di membri e la Nato più di una decina”. Non è possibile che accada, perché il Cavaliere vuol sedersi al tavolo dei vincitori e partecipare agli affari; ma non è ridicolo o privo di senso. Quello che è ridicolo e farsesco (ma anche tragico e demoralizzante) è una sinistra, guidata dal tronfio Napolitano, che è più a destra della destra.
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