11.3.12

Padova. In fila per un miracolo (di Fernando Camon)

Nel Mezzogiorno d’Italia il nuovo “santo dei miracoli”, il Pio di Pietrelcina con le stimmate, sembra aver travolto la concorrenza di tanti santi e di tante madonne tradizionalmente venerate e invocate nel bisogno. Perfino a Naro ove un tempo San Calogero le grazie le faceva “a migliaru”, o a Palermo ove Santa Rosalia riceveva in abbondanza preziosi ex voto di ricompensa, padre Pio sembra padrone del campo. Al Sud soltanto Napoli e san Gennaro fanno forse eccezione. Al Nord, invece, la devozione a Sant’Antonio da Padova sembra reggere benissimo all’invadenza meridionale del santo recente. Credo che qualcosa c’entri la Lega che nel popolino non cessa di istillare umori antimeridionalisti che finiscono per coinvolgere i santi. Certo è che il reportage da Padova che segue, dello scrittore Fernando Camon, vivacemente ed efficacemente rappresenta una credenza e una credulità che non s’attenuano. (S.L.L.)

Partendo dal Prato della Valle i pellegrini sbarcati a Padova puntano per via Belludi verso la basilica del Santo e sfilano davanti al suo corpo (quel che resta: e' morto otto secoli fa), al ritmo di duemila all'ora. Duemila all'ora vuol dire uno ogni due secondi. Hanno appena il tempo di lanciare uno sguardo sulle ossa annerite dai secoli. In quell'attimo pronunciano in silenzio la richiesta della grazia per la quale si sono messi in viaggio, in pullman o in treno, e si sono alzati presto, già alle 6, qualcuno alle 5, per essere pronti appena la basilica apre i portoni. Molti di loro la richiesta di una grazia l'hanno scritta in una lettera, che fan cadere in una teca. E la dichiarano ai giornali, alle tv, ai giornali locali.
Ascoltare le grazie richieste è come ascoltare il popolo in confessione: veniamo a sapere i problemi della vita vissuta, le angosce segrete, i drammi famigliari. Abbiamo davanti a noi, in radiografia, l'anima del popolo. Guardiamola. Questo è il popolo del cattolicesimo profondo, delle campagne e delle province, d'Italia e del mondo. Venendo a Padova, si fermerà qui, tra il prato-senza-erba (il Prato della Valle e' una piazza, la piazza più grande d'Europa, dopo la Piazza rossa di Mosca) e il Santo-senza-nome (dicendo Santo non occorre aggiungere Antonio, si sa che è lui). Questi fedeli che sperano nel miracolo non entreranno nel cuore della città borghese, non siederanno a un tavolo del Pedrocchi, così pieno di gente in entrata e in uscita da aver le porte sempre aperte, e perciò è noto come il caffè-senza-porte. Se il cuore borghese ha un Dio, è un altro Dio.
Anzitutto, quelle dei fedeli del Santo sono richieste di famiglia: anche quando chi chiede la grazia è lì da solo, moglie o madre o padre, parla per chi nella famiglia sta male, se ne fa carico. Ci sono gruppetti di zitelle, sant'Antonio è il patrono delle zitelle, le aiuta a trovar marito. Ma le zitelle son qui con la madre, è la madre che chiede «un uomo perbene, che capisca la figlia». Se il pellegrino è qui per grazia ricevuta, quella grazia può essere stata la guarigione del padre o della madre o, non raramente, del figlio. Dunque, queste sono famiglie unite. Quando diciamo che la nostra è l'epoca della famiglia in crisi, diciamo una grande verità (purtroppo), ma la famiglia in crisi è di solito (sembra paradossale) la famiglia che sta bene, che ha soldi e non ha malattie, non ha handicap. La famiglia con handicap è solida, e tiene. L'handicap è un collante. Dove c'è l'handicap c'è l'amore, la gara per l'amore, la corsa per l'amore. Nella famiglia sana c'è la corsa per il successo, tutti sono in lotta con tutti, anche tra fratelli.
Sant'Antonio ha nel corso degli anni ininterrotte richieste di guarigione da malattie, ma quest'anno molte famiglie hanno un problema nuovo: il figlio disoccupato. I genitori chiedono per lui la grazia di un impiego. Mogli chiedono la grazia per il marito cassintegrato, una grazia a tempo, che lui, finita la cassintegrazione, rientri nel lavoro. Temono la fine della cassintegrazione come l'apocalisse. Sui giornali locali le mogli parlano delle «bollette» come di una disgrazia, non riescono a pagarle, se le sono portate, le mostrano. Un figlio disoccupato che ha famiglia è il dramma di due famiglie, la sua e quella dei genitori. Queste non sono soltanto famiglie unite, sono clan uniti. C'è una comunità religiosa che ospita tossicodipendenti, i seminaristi che la dirigono son qui per ringraziare: ci sono dei pazienti che son guariti con la fede. C'è un termine nuovo, per indicare questa terapia che tira fuori i drogati dalla droga calandoli nella fede, ed è «terapia cristologica». Quando funziona, è davvero un miracolo. Il drogato s'è drogato perchè viveva nel vuoto, è difficile immergerlo in un pieno come la fede. Ci vuole un santo. Ci sono coppie sposate da vent'anni, vanno d'amore e d'accordo, e son qui per ringraziare di questo: vent'anni senza separarsi è un miracolo. C'è una coppia di indiani con una figlioletta sanissima: son qui per questo, non riuscivano ad aver figli, sant'Antonio li ha aiutati. Dunque, anche aver figli è un miracolo. Le zitelle che si sono sposate qualche anno fa portano come ringraziamento le scarpine del primo figlioletto, e le lascian qui, come se il Santo fosse il padre. Qualcuna lascia il vestito da sposa. Qualcun'altra addirittura la fede: perché apparentemente sono sposate col marito, in realtà col Santo. Molti lascian qui la lettera con la supplica. Guardo il serpentone di folla che si snoda dal Prato al Santo e penso: l'ostensione dura sette giorni, salvo proroghe, dopo di che il Santo avrà da leggere per sette anni.

“La Stampa”, 17 febbraio 2010

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