1.8.12

Anni 50. Paolo La Rosa racconta i comunisti. Quel giorno a Gela

Luigi Longo con Paolo La Rosa
Paolo La Rosa, detto Paolino dai compagni più affezionati nonostante la prestanza fisica e la potenza vocale, mi raccontò una volta dell’arresto suo, di Emanuele Carfì e di altri militanti comunisti gelesi nel 1952, o forse all’inizio del 1953, nei giorni in cui, forzando l’ostruzionismo parlamentare delle sinistre, la Dc e i partiti suoi alleati nel centrismo degasperiano, facevano passare la nuova legge elettorale maggioritaria, la cosiddetta “legge truffa”.
L’indicazione del Partito Comunista era di manifestare ovunque la protesta popolare, anche senza le autorizzazioni dei questurini: in gioco per Togliatti e il gruppo dirigente comunista non c’era solo la proporzionale, ma la possibile stabilizzazione del regime democristiano, che sempre  più mostrava tratti clericali e autoritari.
Secondo Paolino alla manifestazione indetta a Gela dal Pci non partecipavano più di duecento o trecento compagni, soprattutto braccianti. Il vicequestore, alla testa di poliziotti armati di tutto punto, più numerosi dei manifestanti, intimò al corteo di disperdersi, ma proprio La Rosa replicò che manifestare era un diritto costituzionale e che i comunisti non si sarebbero fatti fermare da un divieto o dalle minacce.
Pancia in dentro e petto in fuori i dirigenti locali del partito, alla testa della piccola processione, si mossero lungo il corso principale, verso la piazza principale, la Matrice e il Municipio. Erano più o meno all’altezza della villa e cantavano: “Avanti popolo, alla riscossa”.
I questurini, benché fitti come moscerini indietreggiavano, Paolo, Nenè e gli altri sei o sette che stavano con loro in prima fila ancor più si gonfiavano d’orgoglio e con maggior forza cantavano: “Rivoluzione noi vogliamo far”. Ma all’improvviso s’accorsero che la prima fila era, oramai, anche l’unica e che anche dietro di loro, a qualche distanza, c’era una folla di questurini pronti all’assalto. Il loro canto si spense come quello di un disco all’improvviso mancare della corrente.
Li portarono via senza alcuna opposizione, ma qualche mese dopo La Rosa, Carfì e altri due oltre che per adunata sediziosa vennero condannati anche per resistenza e oltraggio alle forze dell’ordine, accuse assolutamente infondate, per corroborare le quali i poliziotti che testimoniarono dovettero sottoporsi a un vero e proprio addestramento.
Non ricordo se i comunisti condannati uscirono perché assolti in appello o per una sopraggiunta amnistia. In carcere comunque rimasero  per più di un anno.

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