1.8.12

Walter Binni. Socialista pessimista rivoluzionario (di Maurizio Mori)

Quello che segue è il contributo di Maurizio Mori al numero speciale de “Il Ponte” del luglio-agosto 2011 dedicato a Walter Binni 1913-1997. Mori rievoca soprattutto il Binni socialista impegnato degli anni 1944-1948, anni che lo videro esponente di spicco del Psiup (poi Psi) a Perugia e deputato all’assemblea costituente. Mori, com’è inevitabile, scrivendo di Binni racconta di sé, della sua propria formazione politica e insieme dà testimonianza del socialismo italiano in quegli anni. (S.L.L.)

Ho conosciuto Walter Binni nei primi giorni dell’estate del 1944, dopo la liberazione di Perugia da parte degli Alleati, l’VIII Armata britannica del generale Mongomery, il 20 giugno. Scoprii poco piú tardi che quella data era preziosa per Binni, nella memoria di quell’altro XX giugno del 1859 di cui ebbe poi a scrivere «mi sembrava bello essere perugino, soprattutto per merito di quella data gloriosa, di quell’avvenimento [la rivolta, e la sconfitta, di Perugia in campo aperto contro i mercenari del potere pontificio] che tuttora mi appare di civilissimo significato».
Ci trovammo iscritti ambedue all’allora Psiup, Partito socialista di unità proletaria, io giovane antifascista che, studente liceale, dopo l’8 settembre aveva collaborato con la Resistenza, lui, “il Professore”, già con una storia di cospirazione e di elaborazione politico culturale alle spalle. Intanto, l’incontro – giovanissimo – con Capitini nel 1931: riferendosi a sé e al gruppo che in anni perigliosi fu intorno a Capitini, dirà poi che «la propria vicenda sarebbe incomprensibile e non riconoscibile come essa si è svolta, senza l’intervento di lui, senza la sua parola illuminante, senza i problemi che lui ci aiutò a impostare e a chiarire, spesso contribuendo a decise svolte nella nostra formazione e nella nostra vita intellettuale, morale, politica .[…] Una cosa abbiamo tutti , credo, da lui imparata: la scontentezza profonda della realtà a tutti i suoi livelli, la certezza dei suoi limiti e dei suoi errori profondi, la volontà di trasformarla, di aprirla, di liberarla».
«Ancora privo di contatti culturali piú precisi e di orientamenti sicuri», Capitini lo aiutò a disvelare le «remore gravi e scolastiche dei miti nazionali carducciani, dannunziani, pascoliani e degli inganni pseudo-sociali della dittatura». Con Capitini entra «nel periodo della preparazione della Resistenza in quell’attività clandestina, che ebbe in lui uno dei suoi massimi protagonisti e che, per merito suo, ebbe in Perugia uno dei suoi centri piú attivi e fecondi». E con Capitini trova «per la prima volta contatto non solo con i vecchi antifascisti perugini borghesi, ma quello, fecondo ed entusiasmante, con i tenaci e coraggiosissimi popolani perugini (popolani o di recente origine popolana), oppositori alla dittatura, aperti alle istanze sociali e rivoluzionarie piú risolute».
Anche nella sua città, Perugia, la svolta per la cospirazione e l’attività antifascista, la «spinta accelerativa», fu la guerra di Spagna. Allora si costituí a Perugia un Comitato clandestino da cui poi «tra la fine del ’36 e l’inizio del ’37 si venne formando un nuovo movimento politico che mi sembra obbiettivamente rappresentare un contributo originale dell’antifascismo perugino alla storia dell’antifascismo italiano: quel movimento “liberalsocialista”, la cui prima elaborazione e la cui prima costituzione avvennero proprio in Perugia ad opera di Capitini e degli amici intorno a lui già saldamente riuniti», tra cui appunto Walter Binni.
Un liberalsocialismo di cui la versione di Capitini e di Binni «era ben lontana da un semplice contemperamento moderato delle nozioni classiche di liberalismo e socialismo, ma implicava la volontà di fondare un socialismo tanto socialmente ed economicamente radicale quanto politicamente e giuridicamente concretato in forme di democrazia dal basso». Binni è ormai un cospiratore a tutto campo, e a lui è affidato il compito di tenere collegamenti tra le diverse realtà italiane. Non rinuncia a rivendicare che il «nostro» liberalsocialismo è lontanissimo da una posizione di terza forza, ha «al centro il problema della libertà nel socialismo e non quello socialdemocratico del socialismo nella libertà», e ricordando l’origine «perugina» del liberalsocialismo ribadisce che «la prima impostazione del movimento era piú consona alle nostre istanze (di Capitini e di me) rivoluzionarie e non terzaforziste e moderate, alle sue consonanze con la costituzione sovietica del ’37, anche se era – e lo sapevamo – null’altro che un pezzo di carta rispetto alla prassi staliniana proprio nel periodo delle “purghe” feroci che i nostri amici comunisti non volevano vedere».
Decisivo, ricorda Binni, fu poi l’incontro con rappresentanti antifascisti di «quella Perugia popolare, generosa e combattiva, il cui contatto tanto ci arricchí e che aiutò in alcuni di noi una scelta irreversibile di campo in senso sociale-politico»: repubblicani, libertari, comunisti, e ancora, un po’ piú tardi, socialisti. Quando, nel 1942, il Movimento liberalsocialista dà luogo alla nascita del Partito d’Azione, si assiste, anche a Perugia, a una divisione, pur nella continuità della cospirazione antifascista: alcuni erano già passati al Partito comunista, Capitini si colloca in posizione di indipendente, a sinistra, Binni con altri compagni si lega a posizioni e forze socialiste per poi entrare, nel ’43, nel ricostituito partito socialista «in posizione di “concorrenza” antistalinista con il Partito comunista». È il Psiup, Partito socialista di unità proletaria, nato dalla confluenza nel vecchio troncone socialista del Moup, Movimento operaio di unità proletaria con la presenza di forze di sinistra critica, vicine al luxemburghismo, molto attive nella Resistenza. Nei giorni successivi all’8 settembre del ’43 fu con altri antifascisti al Comando della zona militare «alle prese con un generale scettico e pronto a passare al nemico nazista, nel vano tentativo di organizzare una disperata e temeraria resistenza a Perugia», e poi in una caserma ancora a richiedere armi con una folla di popolani, uomini e donne: lì ci trovammo insieme, ma ancora non lo conoscevo.
Ho conosciuto, dunque, Walter Binni nei primi giorni dell’estate del 1944, dopo la liberazione di Perugia, io e lui iscritti al Psiup: si apriva per me, giovane dirigente della Federazione giovanile socialista, il privilegio di averlo maestro di impegno civile, politico, sociale, compagno di idee e di pratica di lavoro del suo «socialismo rivoluzionario».
Comincia, in quella stagione di entusiasmo e di speranze, con altri compagni, con tanti altri compagni, un faticoso ma stimolante apprendistato: la costruzione di un partito, un partito nuovo. Non potevamo permetterci il lusso, sentivamo, di recitare un heri dicebamus, come se non fossero passati vent’anni di fascismo: e non solo perché si era giovani o giovanissimi. Un partito, come ci diceva Binni, democratico e rivoluzionario. Un lavoro duro, ma non su terra bruciata, i partiti popolari, di sinistra, Psiup e Pci, piú questo che quello, avevano dei fuochi nel territorio rimasti faticosamente ma tenacemente accesi nel corso della dittatura, e punti di riferimento nell’appena conclusa, nel nostro territorio, lotta partigiana. Si trattava di riprendere i contatti, di andare a costruire una rete. Là dove non c’era niente, il compito era convocare comizi, organizzare riunioni, incontri. Può apparire semplicistico se non paradossale: spesso la costruzione di una piú forte presenza Psiup, o invece del Pci, era legata solo a quale delle due organizzazioni facesse per prima
sentire la sua voce in un territorio, in un centro abitato. In questa attività di costruzione di una forza politica mi capitava spesso di fare coppia con Binni. Si partiva la domenica mattina per raggiungere la località programmata all’ora della messa. Terminata la funzione religiosa i fedeli (erano tempi in cui la quasi totalità degli abitanti, fuori dalle città, frequentava la messa domenicale) venivano invitati a fermarsi sul sagrato e Binni, ottimo comiziante, svolgeva il suo discorso, che si concludeva con l’invito a un incontro, subito o nel pomeriggio, per tentare di costruire una sezione del partito e/o della federazione giovanile. Si assisteva a sorprese inaspettate: mai è accaduto di andarsene senza mettere insieme almeno un gruppo di riferimento.
Era d’estate e poi d’autunno: la campagna perugina e umbra meravigliosa, la popolazione interessata, disponibilissima anche al dibattito, la dittatura – e la guerra – alle spalle. Talora, piú di una volta, il parroco del posto ci invitava a pranzo; era un piacere, era ancora tempo di tesseramento, la tavola popolana dei preti di campagna gustosa e abbondante. C’era, al tempo, la presenza di preti cui piaceva dirsi “socialisti”: non era forse indifferente la presenza di qualche ex modernista, certo contava la cultura libero-religiosa di Capitini di cui si percepiva l’eco nei comizi del non religioso Binni.
Intanto oltre al Partito c’era il Cln: all’avvicinarsi delle truppe alleate aveva nominato una giunta comunale, nella quale Binni rappresentava il Psiup, che non svolse ruoli significativi perché mai riconosciuta dall’Amministrazione militare alleata; già venti giorni dopo la liberazione fece uscire un settimanale, organo del Cln, «Il Corriere di Perugia» con Capitini direttore e Binni in redazione. Ancora due giorni e Capitini tenne nella sede della Camera del Lavoro, al tempo ancora unitaria, il primo incontro pubblico del Cos, Centro di orientamento sociale, che vivrà una ricca stagione di democrazia dal basso e che si estenderà in località umbre, toscane, emiliane, marchigiane. Gli incontri settimanali dibattono – e ne cercano soluzioni – i problemi quotidiani di vita dei cittadini che ne sono partecipi e attori: appare dopo la lunga notte, e lo è, originale e grande strumento di partecipazione, la democrazia in cammino. «Il Corriere di Perugia» esprime e rappresenta questo clima, e arriverà il momento che non avrà vita facile: liberali ( i «liberal-proprietari», scrive Binni) e democristiani esprimono aspri dissensi, e i comunisti sollevano riserve su un impianto politico-culturale che temono possa sfuggire loro di mano. In autunno Binni lascia la redazione del giornale, Capitini si dimette da direttore: il suo impegno va tutto alla vita del Cos, e al nuovo ruolo di Commissario straordinario dell’Università per Stranieri, dando alla stessa Università e alla città una ricchissima stagione culturale. Binni va avanti nel suo lavoro di costruzione del partito, intorno a lui e alle sue posizioni politiche si aggregano giovani che sempre piú numerosi si battono con lui per quella che è la sua costante bandiera:un «socialismo rivoluzionario», un partito «democratico e rivoluzionario». Un partito che si vorrebbe, vorremmo, sgravato da un certo semplicismo e libero da una profonda subalternità che sembrano impedirgli il volo. Un partito percorso da tante vene fresche e ricche di speranza, eretiche diremmo oggi, ma un partito anche immobilizzato da uno scontro tra forze che definire socialdemocratiche sarebbe un tenero eufemismo, e forze che fanno di uno stalinismo d’accatto e subalterno la loro ragione d’essere.
Binni e il suo gruppo costruiscono e danno battaglia, certi anche delle sollecitazioni culturali capitiniane. Binni e i gruppi che in Umbria si ritrovano con lui vogliono sfuggire al dilemma o stalinisti o socialdemocratici: sono – siamo – sinistra critica, e non a caso Binni quando scrive di “maestri” ricorda Leopardi, «il poeta della mia vita, il maestro supremo della mia stessa prospettiva umana, morale, intellettuale, civile», e aggiunge «con l’ovvia aggregazione di altri maestri, da De Sanctis a Marx, a Trotski, alla Luxemburg, a Gramsci, a Sartre». Militano – militiamo – in un Psiup di cui Binni intende ribadire «la sua natura di classe […] basato sulla società divisa in classi». Cosí, in un partito storicamente strutturato in correnti Binni e i compagni che condividono con lui principi e prospettive aderiscono alla corrente nazionale di Iniziativa Socialista. Il confronto nel partito è duro, soprattutto sul problema del rapporto con il Pci; la direzione nenniana – di cui Binni denuncia «la politica liquidatoria» – è su posizioni che tendono alla fusione con il Pci (i”fusionisti”), creando «quella tragica identificazione di sinistra misurata solo nella maggiore adesione (non vicinanza) possibile alla linea del Pc […]. E allora l’opera dei partiti socialisti diviene opera di accompagnamento e di riserva, non azione organica ed autonoma».
Iniziativa Socialista si colloca a sinistra del Pci, del Pci della svolta di Salerno, del tatticismo esasperato sulla linea dell’unità nazionale, del silenzio e dell’ambiguità sulla questione istituzionale, dell’adesione, dopo la crisi del governo Parri provocata dai liberali, al governo luogotenenziale alla fine del 1945, governo che vede il Psiup all’opposizione, non senza un nuovo duro scontro all’interno del partito. Intanto si ripropone a Perugia il mai sopito intreccio tra aree socialiste e massoneria: la sinistra socialista riesce a imporre dure prese di posizione e l’espulsione di alcuni notabili. Molto piú tardi, quando sull’eco della P2 verranno pubblicate le liste della massoneria, si saprà di dirigenti e parlamentari umbri del Psiup e poi del Psi nenniano che erano stati iscritti alla massoneria.
La massoneria, e con lei i democristiani locali, attacca Binni – socialista, capitiniano, fiero anti-massone – per aver collaborato con articoli di critica letteraria a riviste del periodo fascista come «Primato» di Bottai. Insorgono rappresentanti dell’antifascismo perugino e umbro a ricordare il ruolo attivo di Binni nella cospirazione antifascista sin dal 1936. Il paese si va faticosamente normalizzando, e si apre alle prospettive della chiamata democratica alle elezioni. È appena finita la guerra in Europa e Binni sulle colonne di «Il Corriere di Perugia» il 17 maggio 1945 auspica la Costituente e indica «i tre punti essenziali che il popolo dovrà ottenere […] e cioè Repubblica, Riforma agraria, Socializzazione delle grandi industrie». Un anno dopo Binni siederà sui banchi dell’Assemblea costituente dove si batterà per «i tre punti essenziali» e, con un memorabile intervento, per la scuola pubblica.
Il 7 aprile 1946 prime elezioni democratiche comunali, con il Psiup che a Perugia si colloca al primo posto: è la vittoria di una linea politica che si sostanzia di liberalsocialismo, alla Binni e alla Capitini, e di socialismo democratico e rivoluzionario. Un paio di mesi dopo, il 2 giugno 1946, si conferma il trionfo e Binni è eletto dai socialisti umbri parlamentare costituente. Il Psiup frattanto affonda nella sua crisi piú profonda, le due correnti socialdemocratica e fusionista non possono piú trovare livelli di mediazione, Iniziativa Socialista non riesce a evitare una rottura cui è contraria: cosí, nei primi giorni del 1947 si consuma la scissione di Palazzo Barberini: Psli di Saragat da una parte, Psi di Nenni dall’altra; i dirigenti nazionali di Iniziativa Socialista optano per il Psli dove, diranno, è garantita maggiore agibilità politica.
A Perugia i socialisti della terza corrente, la sinistra critica, maggioranza in Federazione, non vanno né con Nenni né con Saragat, come anche in altre situazioni italiane: comincia per loro, e per Binni, un viaggio nella diaspora socialista. È vicino, ma ne è anche abbastanza defilato, a gruppi, associazioni, iniziative politico-culturali che nascono (e muoiono) intorno a compagni che come lui non si riconoscono in nessuna delle organizzazioni tradizionali della sinistra, che leggono con occhio fortemente critico.
Da allora il suo impegno partitico si chiude, se non per una fugace presenza, negli ultimi anni della sua vita, in Rifondazione comunista.
Scriverà piú tardi di considerarsi un «leopardiano pessimista rivoluzionario», «un intellettuale disorganico a ogni partito, ma volontariamente organico alla classe proletaria». E, scrivendo di “ricordi”, dirà ancora di sé della «volontà persuasa di contribuire, anche nel nostro Paese, alla costruzione, pur cosí difficile, di una società che realizzi l’esito positivo del dilemma luxemburghiano “o socialismo o barbarie”».

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