29.9.12

Nazione, un’idea per tanti usi

Per i 150 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia “il manifesto” pubblicò, tra il gennaio e il marzo 2011, tre inserti intitolati La Conquista. L’unità d’Italia nell’era della borghesia. Vi si ricostruiscono le diverse fasi del Risorgimento attraverso i saggi di tre diversi Marchi (Marco Meriggi, Marco Revelli, Marco Rossi Doria). I tre fascicoli contengono, oltre al saggio, schede concettuali, immagini, percorsi di lettura che approfondiscono i temi risorgimentali e collegano la storia italiana con quella europea e mondiale. Il tutto per la cura di Gabriele Polo. Dal primo fascicolo riprendo il percorso di lettura Sulla definizione e le battaglie culturali a proposito del concetto di «nazione». (S.L.L.)

Il primo tricolore a Firenze
Dopo la Rivoluzione francese e per tutto l’800,
il concetto di nazione diventa l’architrave
del pensiero e dell’azione politica.
Rivolte, insurrezioni, moti rivoluzionari
e, infine, guerre scoppiano in suo nome.
E a partire dalle sue molteplici interpretazioni

Il termine nazione ha avuto significati molto diversi col variare delle epoche storiche. Nel suo significato moderno - quello che è prevalso dalla Rivoluzione francese in poi - ha rappresentato uno dei più importanti fattori di condizionamento del comportamento umano; in particolare, l’attributo nazionale, accanto al sostantivo stato, ha dato vita alla realtà politica di maggior rilievo dagli inizi dell’Ottocento a oggi. Tuttavia, il concetto di nazione rimane di difficile definizione e mantiene un elevato grado d’ambiguità per l’intrecciarsi dei suoi significati storici e della sua portata ideologica.

Criteri
Secondo l’Enciclopedia Feltrinelli Fischer (volume 27 - Scienze Politiche, a cura di Antonio Negri, Feltrinelli 1970), è possibile raggruppare in tre categorie i diversi criteri con cui una nazione viene definita tale:
«1) La categoria comprende i dati naturali, quali l’elemento etnico (popolazione) e l’elemento geografico (territorio). L’elemento etnico è collegato con l’idea di razza, anche se tale concetto, nei teorici della nazione, non ha sempre un’applicazione biologico-scientifica. All’interno di questa categoria, i diversi criteri possono essere, in alcuni casi, contrastanti, come, ad esempio, per la regione dell’Alto Adige o Sud Tirolo, che, secondo il criterio territoriale, appartiene alla nazione italiana e secondo quello etnico, appartiene alla nazione tedesca (intesa in senso ampio).
2) La categoria comprende i fattori culturali, quali lingua, cultura, religione, Stato. Vi possono essere in alcuni casi stretti legami fra elementi della prima e della seconda categoria (ad esempio fra il criterio etnico e quello linguistico o culturale) e, in alcuni casi, criteri contrastanti: esistono degli stati con popolazione prive di unità linguistica (come la Svizzera) e popoli che dovrebbero appartenere a una sola nazione in base alla lingua o all’origine etnica, ma che sono, per ragioni storiche, divisi (come molti paesi dell’America Latina).
3) La categoria comprende i fattori soggettivi, quali la scienza, la volontà, il sentimento nazionale. In base a questi criteri il concetto di nazione non trova il suo fondamento in uno o più elementi precostituiti, bensì in un atto di volontà da parte del popolo che costituisce la nazione stessa».

Volontà
Secondo Federico Chabod (L’idea di nazione, Laterza, 1961) esistono due modi di concepire la nazione, quello naturalistico e quello volontaristico: il primo (corrispondente ai criteri delle prime due categorie della classificazione precedentemente riportate) sbocca quasi inevitabilmente nel razzismo, il secondo può avere sbocchi liberali. La classificazione di Chabod richiama la profonda diversità politica assunta dal concetto di nazione nel corso dell’Ottocento: in particolare sono stati alcuni pensatori tedeschi (da Herder a Schlegel) a sottolineare l’elemento naturale della nazione, legandola ai dati «del sangue e del suolo», esaltando l’importanza della purezza del ceppo etnico e dei costumi per la grandezza di una nazione. Concetti che Hegel usò per sviluppare la più conosciuta delle teorie di stato nazionale (fondato sulla realtà storica); ma concetti che troviamo anche alla base della pratica totalitaria del nazismo.
La chiave volontaristica di lettura dell’idea di nazione (quella fondata su «libere scelte» dei popoli) è stata invece particolarmente presente in Italia: per Mazzini la nazionalità è l’insieme di un pensiero e di un fine comuni, quelli della patria, in primo luogo come coscienza collettiva di essa e della necessità di sua esistenza. È un patriottismo ancora figlio delle rivoluzione francese e dei suoi principi di libertà, quello dei primi complotti rivoluzionari contro l’ordine della Santa Alleanza; una concezione che troverà la sua massima espressione nelle rivoluzioni europee del 1848. Infatti, benché il nazionalismo romantico dei primi decenni dell’800, sia figlio del rifiuto del cosmopolitismo illuministico della rivoluzione francese (soprattutto in avversione all’espansionismo napoleonico che di quei principi si diceva portatore), le principali correnti nazionalistiche di quegli anni non rinunciavano a quei principi di libertà indissolubilmente legati all’individualismo borghese che contrastava il legittimismo aristocratico. Secondo il citato volume dell’Enciclopedia Feltrinelli:
«La vita politica europea della prima metà dell’Ottocento si è svolta sotto l’egida dell’unione dei due principi di libertà e nazionalità: in seguito, però, nel processo storico che ha portato alle unificazioni nazionali, il principio di nazionalità ha prevalso sul principio di libertà. Questo è avvenuto in modo macroscopico in Germania, con il fallimento del parlamento di Francoforte nel 1848, e successivamente attraverso l’opera accentratrice di Bismarck: ma un simile processo si è avuto in larga misura anche in Italia (...); la sconfitta del federalismo repubblicano di Carlo Cattaneo ha significato la sottoposizione del principio di libertà a quello di nazionalità».

Ambiguità 
Una lettura particolarmente problematica del concetto di nazione è stata fatta da Etienne Balibar in Razza, nazione, classe - le identità ambigue (Ed. Associate,1991), che approfondisce la relatività storica del termine:
«La storia delle nazioni, a cominciare da quella francese, viene sempre presentata sotto forma di un racconto che attribuisce a esse la continuità di un soggetto. La formazione della nazione appare così il compimento di un progetto secolare, segnato da tappe e prese di coscienza che le diverse posizioni degli storici faranno apparire più o meno determinanti (a che punto situare le origini della Francia? all’epoca degli antenati Galli? della monarchia capetingia? della rivoluzione del 1789?), ma che comunque sono iscrivibili in uno schema identico: la manifestazione di sé della personalità nazionale. Tale rappresentazione costituisce certamente un’illusione retrospettiva, ma traduce anche realtà istituzionali coercitive. L’illusione è duplice: da un lato si crede che generazioni che si succedono nei secoli su un territorio approssimativamente stabile, con una denominazione approssimativamente univoca, si siano trasmesse una sostanza invariante; dall’altro si crede che l’evoluzione, di cui selezioniamo retrospettivamente gli aspetti, in modo da percepire noi stessi come suo punto d’arrivo, fosse la sola possibile e rappresenti un destino. Progetto e destino sono due figure simmetriche dell’illusione identità nazionale. I francesi del 1990 - di cui almeno uno su tre ha avi stranieri - sono legati ai sudditi di Luigi XIV (per non parlare di quanto sono legati ai Galli) solo da una successione di eventi contingenti, le cui cause non hanno nulla a che vedere con il destino della Francia, con i progetti dei suoi re, né con le aspirazioni del suo popolo».
Balibar non contesta il peso dell’identità nazionale nella storia dell’umanità; da questo punto di vista arriva a parlare di «mito che si ripercuote sull’attualità» e che conserva un grande peso nella vita politica, soprattutto dall’Ottocento in poi. Ciò che lo studioso francese contesta è l’esistenza di criteri assoluti attraverso cui determinare le identità nazionali, collocandole in un percorso storico i cui sviluppi sono tutt’altro che scontati:
«La formazione nazionale è il risultato di una lunga preistoria (dal medioevo, alla sacralizzazione del potere monarchico, alla Riforma) che differisce in modo essenziale dal mito nazionalista di un destino lineare. Essa consiste innanzitutto in una molteplicità di avvenimenti qualitativamente distinti, sfalsati nel tempo, nessuno dei quali implica i successivi. (...) Questi avvenimenti, ripetendosi, integrandosi a nuove strutture politiche, hanno avuto effettivamente un ruolo nella genesi delle formazioni nazionali. Ciò è dovuto al loro carattere istituzionale, al fatto che fanno intervenire lo stato nella forma che allora le era propria. In altre parole, alcuni apparati di stato non nazionali, con tutt’altri obiettivi (ad esempio dinastici), hanno progressivamente prodotto gli elementi dello stato nazionale o, se si vuole, si sono involontariamente nazionalizzati e hanno iniziato a nazionalizzare la società». Per Balibar questo processo storico si svolge in un contesto mondiale il cui carattere unitario è determinato dalla forma economica, in particolare ha un’accelerazione con il sistema capitalistico. In questo contesto la nazione viene vista come la forma più appropriata per permettere la circolazione del capitale e «tenere sotto controllo lotte di classe eterogenee facendo emergere delle borghesie di stato capaci di egemonia politica e culturale».
Rimane aperto il problema dell’ideologia nazionalista, un fenomeno concretamente evidente a partire dai primi decenni dell’Ottocento e variamente riemerso in forma prepotente nel secolo successivo. Per Balibar, a partire dall’assunto che una «formazione sociale si riproduce come nazione solo nella misura in cui l’individuo viene costituito, dalla nascita alla morte, come homo nationalis da una rete d’apparati e pratiche quotidiane», l’unità popolare attorno alla nazione abbisogna di «un modello unitario che deve anticipare questa costituzione: il processo di unificazione (di cui si può misurare l’efficacia nella mobilitazione collettiva in guerra) presuppone la costituzione di una forma ideologica specifica». Questa forma ideologica, per Balibar, può essere chiamata patriottismo o nazionalismo; in base a essa lo stato crea una coscienza popolare finalizzando a ciò tutti gli avvenimenti storici. La fabbricazione di una coscienza che affonda la propria efficacia anche nell’analogia con la religione, «facendo del nazionalismo e del patriottismo una religione, se non addirittura la religione dei tempi moderni». Creando quelle che Balibar chiama «etnicità fittizie» (la lingua, la razza), si costituisce - nell’immaginario popolare - una nazione ideale e si risponde anticipatamente alle esigenze d’appartenenza di comunità disgregate come quelle dell’epoca contemporanea.
Balibar può facilmente contestare il valore «nazionale» della lingua, sia perché essa può servire nazioni diverse, sia perché essa sopravvive alla scomparsa «fisica» delle popolazioni che l’hanno utilizzata (dal latino, al greco antico). La comunità di lingua ha così bisogno di un «supplemento di particolarità, o di un principio di chiusura o esclusione, la comunità di razza .(...) Il nucleo simbolico dell’idea di razza è lo schema della genealogia, cioè l’idea che la filiazione degli individui trasmetta di generazione in generazione una sostanza biologica e spirituale e, contemporaneamente, li iscriva in una comunità temporale che si chiama parentela». Il nazionalismo che si fonda sull’idea di comunità di razza compare, secondo quest’interpretazione, quando scompaiono i legami di parentela a livello di clan, di comunità o di classe sociale, ricostituendo - immaginariamente - una parentela sulla soglia della nazionalità.

da La Conquista. L’unità d’Italia nell’era della borghesia. Fascicolo I: Restaurazioni
Supplemento de “il manifesto” a cura di Gabriele Polo Febbraio 2011



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