14.4.13

L’uomo che ha perduto il suo cuore (Blaise Cendrars)

Quello che segue è il primo capitolo, nella mia traduzione, di un romanzo di Blaise Cendrars, Rhum, del 1930, dedicato ad una controversa figura di imprenditore e  uomo politico, amatissimo dai neri di Guyana, e che morì verosimilmente assassinato.
Cendrars, che era stato con Apollinaire tra i fondatori del Novecento francese, si cimenta qui in un romanzo abbastanza tradizionale, non senza un piglio e qualche trucco da appendicista , anche se nella sua dedica, ai giovani stanchi di letteratura, presenta questo suo testo come un acte, un intervento sulla realtà e non una fuga da essa. Il protagonista del romanzo, Jean Galmot, è presentato come un eroe un po' donchisciottesco (il "superuomo di massa" caro a Umberto Eco) e tuttavia, come sempre in Cendrars, si fa strada il tema affascinante dell'Occidente che, uscendo da sé e facendosi mondo, muore. 
Per chi voglia leggere tutto Rum in tradizione italiana c'è un'edizione di una decina di anni fa, degli Editori riuniti, forse ancora reperibile in libreria o nel commercio in rete. A chi col francese se la cava suggerisco tuttavia di leggere Rhum in originale. Non è difficile capirlo e si sente il ritmo sincopato della prosa di Cendrars, che coinvolge e ne fa un unicum. (S.L.L.)

E’ una strana storia…

Jean Galmot, che fu deputato della Guyana dopo essere stato cercatore d’oro, cacciatore di pelli, trafficante di rhum e di legno di rosa, e anche giornalista, ha nettamente accusato, prima di rendere l’ultimo respiro, i suoi nemici politici e privati di averlo fatto avvelenare dalla sua governante, Adrienne.
Tre periti medici sono stati preposti ad esaminare la questione: i dottori Desclaux e Dervieux, e il professor Balthazard.
Il signor Kohn-Abrest, direttore del laboratorio di tossicologia, è stato incaricato di procedere ad una controperizia.
E allora si è visto che il cuore di Jean Galmot non era più là.
Si presume che sia rimasto in Guyana.
“Il mio cuore non vi lascerà mai!”– aveva dichiarato Jean Galmot ai suoi elettori guyanesi, in uno dei suoi infiammati proclami, di cui possedeva il segreto e che l’avevano reso così popolare nella terra del bagno penale e dell’Eldorado.
Sarebbero stati degli amici fedeli di Galmot,conformandosi alla volontà del morto, a sottrarre di nascosto questo viscere agli inquirenti?
Oppure un’amministrazione troppo negligente o troppo occupata avrebbe smarrito il cuore nel fondo di qualche cassetto o di qualche dossier?
In materia di avvelenamento il cuore è un organo troppo importante perché dei periti se ne possano disinteressare.
Si va dunque a cercarlo. Ma lo si ritroverà? E in che stato?
E’ comunque inverosimile che la Giustizia l’abbia dimenticato laggiù…
Ci si domanda se la Giustizia – quella della Guyana, s’intende – non abbia preso tutte le misure per non far luce sul dramma misterioso in cui scomparve Jean Galmot?
Già i referti di prova – riempivano trentacinque casse – erano stati perduti.  Si sono  portati in Francia testimoni e complici, ma i principali accusati, quelli che l’opinione pubblica denuncia come tali, vengono lasciati in Guyana in libertà provvisoria.

Questo trafiletto, in un giornale dell’anno scorso, portava questo titolo: L’uomo che ha perduto il suo cuore; e questo sottotitolo: Themis ha smarrito il cuore di Jean Galmot. Buona ricompensa a chi lo riporterà. Non lo si può leggere senza restarne impressionati…

Dall’anno scorso molta acqua è passata sotto i ponti. Sta per aver luogo un processo che non si celebra per chiarire le circostanze sospette in seguito alle quali Jean Galmot morì. Vi si giudicheranno alcuni suoi sostenitori, alcuni galmotisti guyanesi per i quali quella morte è stata un lutto nazionale, un’ingiustizia impossibile da sopportare e che bisognava vendicare. Sarà un miracolo se non se la prenderanno con Jean Galmot in persona, solo responsabile, tutto sommato, della perfidia e della slealtà dei suoi avversari…
Ora, lui, non c’è più. Si vuole insabbiare la faccenda. Uno dei suoi libri porta questo titolo sconcertante: Un morto viveva in mezzo a noi. Ed ecco che il suo cuore, il suo cuore morto, scompare come la borsetta di una bella donna o un portafoglio… E questa sparizione fa parlare i giornali. Non ne parleranno mai abbastanza…

Jean Galmot.
La vita di un uomo!
Da che parte cominciare?
Io l’ho incontrato nel 1919.
Non ero all’oscuro della leggenda di Jean Galmot.
Non si è vissuti come me negli anfratti del mondo degli affari, in quella che io, verso la fine della guerra, chiamavo la bohème des finances (del resto era tutto quel che restava in quel momento del Quartiere Latino) senza conoscere la sua Parigi. Con ciò non intendo il Bollettino Ufficiale dei traffici di letto mondani, tenuto aggiornato, ma le segrete combinazioni dei promotori finanziari e delle banche che portarono improvvisamente al vertice della popolarità o che votarono alla pubblica geenna affari come la liquidazione degli stock americani, il consorzio internazionale dei carburi, la speculazione sui mosti, il mercato Sanday, il Royal Dutch, lo scandalo dei cambi e della Banca industriale di Cina.

E Jean Galmot?
Che leggenda!
Nel 1919 Jean Galmot passava per possessore di milioni. A decine o a centinaia? Io non lo sapevo. Ma aveva rhum. Da riempirci il lago Léman o il Mediterraneo. E aveva anche oro, in polvere, in pepite, in lingotti! E siccome tutti i profittatori, gli speculatori, i nuovi ricchi di Francia compravano castelli, a Galmot se ne attribuivano dozzine. Era una specie di nababbo, che gozzovigliava alla grande e aveva più donne del Gran Sultano.
Chi era?
Un avventuriero, deputato.
Da dove veniva fuori?
Dalla Guyana.
E i pettegolezzi correvano a tutta velocità.
Visto che frequentava volentieri le redazioni dei giornali e amava circondarsi di scrittori e di artisti se ne sussurravano di infamie sul suo conto. Era un vecchio pirata. S’era fatto proclamare re tra i Negri, aveva assassinato padre e madre. Ma era anche un faccendiere, un gran lavoratore, il più devoto degli amici, un uomo spietato, uno che bluffava, un bruto, un depravato, un tonto, un vanitoso, un asceta, un presuntuoso che voleva sbalordire Parigi, un gaudente, un uomo finito, un colosso che si esibiva nelle fiere e faceva la lotta con la sua amante, un ex ergastolano. Mi si era perfino detto che era tatuato!
A quel tempo io avevo un ufficio grande come un pacchetto di sigarette. Due porte a soffietto, lampadine, una scrivania grande quanto un calepino e ventuno linee telefoniche. Stavo lì tutta la giornata. Il ventilatore e il radiatore erano le mie stagioni. Gli scorrimenti delle porte mi segnavano l’ora, e gli uomini che entravano o che uscivano dalle mie due porte i minuti, in ragione di cinque o sei entrate o uscite alla volta.
Ebbene, su dieci persone che venivano e vedermi, nove parlavano di Galmot!
Dunque non era un mito. Quell’uomo esisteva davvero, dal momento che si liberava per me a poco a poco della sua leggenda e veniva ora ad agitare le persone fin dentro il mio ufficio. Scribacchini m’interrogavano, giornalisti venivano all’ufficio informazioni, le teatranti mi chiedevano una dritta; al capo dei miei fili, come al capo di lunghi ferri da lana, si annodavano mille e una combinazione, tra uomini d’affari e politici, tra industriali e uomini di mondo, mille e una combinazione per far “scucire” Galmot.
Scucire, vale a dire fargli finanziare degli affari…
Che passione!
Tutti avevano bisogno di denaro per liquidare tutto o per ripartire più forte di prima.
Era la fine della guerra!…

Me l’aspettavo. Un bel giorno ebbi Galmot in persona all’altro capo del filo: domandava un appuntamento al direttore.
Quando lo vidi entrare nel mio ufficio ebbi l’impressione di trovarmi davanti a Don Chisciotte.
Era un uomo grande, magro, felino, un po’ incurvato. Non aveva una buona cera e non doveva controllare il suo peso alla bilancia. Sembrava molto stanco, addirittura sofferente. Il suo colorito era scuro, il bianco degli occhi iniettato di sangue: Galmot doveva soffrire di fegato. Una certa timidezza campagnola si liberava da tutta la sua persona. La sua parola era sobria come il completo in sceviò blu marino, che era un po’ trasandato, ma mostrava una buona fattura. Parlava con molto distacco. I suoi gesti erano rari e si fermavano, esitanti, a metà strada. La barba, come gli occhi, era nera. Ma ciò che più mi colpì in quel primo incontro, fu il suo sguardo. Galmot aveva lo sguardo insistente, sorridente, palpitante e puro di un bambino…
Quanto siamo lontani dalla sua leggenda, dagli aggettivi dei giornalisti e dalle laboriose invenzioni dei suoi avversari!
E’ Balzac che, per i personaggi della Comédie Humaine, faceva costruire, si dice, delle schede oroscopiche, in cui egli trovava tutti i motivi della loro vita e il tema del loro destino. Quello che Balzac faceva per dei personaggi immaginari perché non lo facciamo con i personaggi veridici della vita?
Ecco: Jean Galmot, nato il 1° giugno 1879, alle ore quindici, a Mont Pazier (Dordogna):
Con questa sola data e questa piccola informazione geografica, il mio amico Moricand, per il quale l’astrologia non ha segreti, va a disegnare il “cielo” di Galmot e a dirci chi era quest’uomo di cui non gli è stato rivelato il nome. E’ un piccolo capolavoro di calcolo e di intuizione.

Manca di stabilità.
Pensiero mobile che non riesce a fissarsi. Poco creatore. Troppo contemplativo.
Il pensiero si culla nella fantasticheria e nell’immaginazione.
Emotivo.
Diversità di aspirazioni e mancanza di controllo. Troppo interesse per troppe cose e difficoltà di scelta.
Sensibile alla modernità della nostra epoca e ai suoi pericoli.
Amante delle nuvole fino a perdircisi.
*
Lato istintivo possente. Il ventre domina, ma vuol farsi assimilare dalla testa.
Misticismo.
Si lascia guidare solo dai sentimenti.
*
Poca volontà e poco autocontrollo.
Mobilità.
Molto influenzabile.
Impulsi seguiti da pentimenti.
Rimorso di essersi lasciato scappare l’occasione, le chances.
*
 Il fondo del carattere è tuttavia più forte di quanto non sembrerebbe.
Conflitto tra il dentro e il fuori, natura timorosa, che non sa concentrarsi, decidersi. Con un maggiore controllo sul piano fisico, il piano emotivo potrebbe divenire motore. Ma tutto si limita a velleità.
*
Artista,ma pasticcione. L’eccesso d’immaginazione e di versatilità rende la creazione difficile. Gusto per le belle arti e le belle lettere, maggiormente per queste ultime.
*
Propensione per la bohème e per le nature originali che favorisce il non-conformismo del carattere. Poca vitalità;salute precaria.
*
E’ allo stesso tempo l’oroscopo di un seduttore e di un uomo sedotto. Un principio maschile e un principio femminile in costante equilibrio e che non si contrastano, dando alla fisionomia tanto morale quanto fisica del soggetto un aspetto sconcertante.
Don Giovanni truccato da Machiavelli e preso dalla sua stessa trappola. La forza che maschera la debolezza e la debolezza che a sua volta maschera la forza.
Un grande fascino, quello delle nature lacerate. Esse celano il patetico della loro vita interiore con una sorta di smorfia che rassomiglia ad un sorriso.
Le direzioni proposte indicano un periodo molto nero per aprile, maggio e giugno 1928: un avvenimento molto serio ove sono in questione amore e morte.
Io consiglio di trovarsi in viaggio all’inizio dell’estate del 1928 e di evitare i paesi sotto la dominazione del Leone, in particolare la Francia.

Non si può leggere quest’oroscopo senza provare un brivido.
Tutta la vita di Jean Galmot vi è racchiusa, la sua avventura magnifica e miserabile, che ne fece l’idolo di un paese e l’individuo che odiavano e braccavano tutti quelli per cui la sua fortuna era un pericolo perpetuo.
La sua fortuna? O la sua malasorte?
Questo ragazzo di buona famiglia che era stato indirizzato alla cultura seriosa della Ecole Normale Supérieure, e che aveva debuttava nella vita con alcuni colpi da maestro nel corso dell’affaire Dreyfus e nel piccolo principato del giornalismo nizzardo; questo giovane giornalista che, un bel giorno, in seguito ad un matrimonio d’amore, si era trasformato in cercatore d’oro, in commerciante nelle colonie, in difensore degli indigeni e aveva scoperto in Guyana, agli antipodi della sua vecchia provincia di nascita, una terra aspra e disgraziata, la foresta vergine, l’aria del bagno penale, ed orizzonti per i suoi sogni; quest’uomo magro e pallido, diventato un capitano d’industria, un grande uomo d’affari, un politico di grido, e che, da un giorno all’altro, nel momento in cui decisero i suoi nemici, quelli che la sua forza disturbava, sarebbe ruzzolato al fondo della scala sociale; quest’infaticabile uomo d’azione che, uscendo di prigione, a quarantotto anni riparte per la Guyana, dove lo attende un trionfo inaudito e dove si dispone a ricominciare la sua vita e la lotta per gl’indigeni che lo chiamano affettuosamente “papà Galmot”, quando una morte improvvisa, tragica, sospetta, viene a troncare tutto..
La sua fortuna o la sua malasorte?
Un fallimento da genio.
Ma il suo cuore non si è volatilizzato.
In Guyana si infiora la sua tomba. Le bambine di otto e di dieci anni vi depongono in offerta marzapane. Ci si viene a piangere. Ci si viene a pregare. Sempre la tomba è coperta di fiori e sorvegliata dai suoi fedeli. L’adorazione che il popolo ha conservato per “papà Galmot” ha fatto quasi dimenticare  la grande santa del paese, Santa Teresa del Bambino Gesù. Questo popolo è stato tradito. Il suo cuore è stato fatto sparire. Si son voluti colpire i “galmotisti”, che hanno amato quest’uomo. Si vuole che il suo nome si perda nellìoblio. Soltanto che, laggiù, non si è dimenticato nulla…
Perché?
Leggete questo giuramento.

“Io giuro di restituire la libertà alla Guyana.
Io giuro di restituire ai cittadini della Guyana i diritti civili e politici di cui sono privati da due anni.
Io giuro di lottare, fino al mio ultimo respiro, fino all’ultima goccia del mio sangue per affrancare i miei fratelli neri dalla schiavitù politica.
Io giuro di abolire l’onnipotenza di un’amministrazione che mette le forze armate al servizio dell’illegalità, che organizza le frodi elettorali, che, il giorno delle elezioni, terrorizza con l’assassinio e l’incendio, che costringe i funzionari al ruolo di galoppini elettorali, che prende ostaggi ed imprigiona i migliori figli del popolo, e che, infine, governa per decreti ed ordinanze sopprimendo i diritti sociali dell’operaio.
Io giuro di mettere fine al regime economico che trasforma la Guyana , paese ricco di miniere d’oro, paese dalle ricchezze favolose, in una terra di desolazione, di sofferenza e di miseria.
Io domando a Dio di morire combattendo per la salvezza della mia patria, la Guyana immortale.
Io ho firmato questo giuramento con il mio sangue”.
E’ datato 15 marzo 1924 e firmato jean Galmot, deputato dell Guyana.
E Jean Galmot è rimasto fedele a questo giuramento fino alla morte, inclusa. 

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