5.7.13

Binni, Leopardi e Capitini. Una triangolazione ideale (Walter Cremonte)

La prima manifestazione perugina per il centenario della nascita di Walter Binni si è svolta il 4 maggio 2013 nella sala dell’ex oratorio annessa al Museo Archeologico, subito dopo la dedica al grande italianista di una rotonda in una importante arteria cittadina. L’incontro intitolato Un protagonista del Novecento aveva al centro il volume appena edito da “Il Ponte”, La protesta di Walter Binni. Una biografia, opera di Lanfranco Binni.
Gli atti del convegno saranno disponibili prossimamente in un "quaderno" dedicato al centenario. Stralci da alcuni interventi sono stati pubblicati da "micropolis" di fine maggio. Qui riprendo, appunto, la parte della relazione di Walter Cremonte diffusa dal mensile umbro. (S.L.L.)
Walter Binni (a sinistra) con Aldo Capitini
So che Rosa Luxemburg, “ebrea polacca / che combatté in difesa dei lavoratori tedeschi / uccisa / dagli oppressori tedeschi…”, come ci ha detto Bertolt Brecht, ha molto interessato Walter Binni, che ne scrive già in un suo articolo del 1934 e che, come chiarisce Lanfranco Binni nel suo saggio introduttivo a La disperata tensione, la colloca tra le sue letture e riletture nell’ottica mai abbandonata di un socialismo o comunismo libertario e rivoluzionario, in antitesi allo “stalinismo sovietico” e alle sue “eredità revisioniste” …
Scoprendo a mia volta queste parole di Rosa Luxemburg non ho potuto non pensare a Binni, al suo Leopardi e alla Ginestra…: al “leopardiano pessimista-rivoluzionario”, come si è lui stesso definito, che più di chiunque altro ha saputo mostrare come l’accoglimento senza riserve del vero nell’accezione tragica e disperante di Leopardi, “nulla al ver detraendo”, potesse germogliare una nuova, autentica e radicale prassi sociale di liberazione e di fraternità. Perché, come dice Leopardi, torni “congiunta… l’umana compagnia”; perché, come dirà ancora Bertolt Brecht, venga “l’ora / che all’uomo un aiuto sia l’uomo”.
Dunque, Rosa Luxemburg è prigioniera in un carcere tedesco ed è costretta ad assistere a un atto di crudeltà estrema ai danni di un bufalo che ora la guarda inerme, e lei inerme piange perché (ecco le sue parole) “per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza”. Perché ho pensato subito a Binni-Leopardi? Che cosa lega queste parole alla Ginestra e alla sua grande interpretazione binniana? E’ la concretezza, la materialità su cui si sostanzia la solidarietà, la concretezza della condivisione del dolore, della com-passione: Rosa Luxemburg riconosce la propria stessa sofferenza nella sofferenza dell’animale, per questo lei lo sente come fratello (“il fratello più amato”). Ed è nella Ginestra leopardiana e, lasciatemi dire, binniana (per l’atto ermeneutico, senza cui la poesia è incompiuta), che troviamo (troviamo ogni volta che ne abbiamo bisogno) le parole che indicano la via a una possibile e necessaria solidarietà tra gli esseri umani, sulla base della consapevolezza – al di là, o forse meglio al di qua di ogni falsa coscienza, di ogni mitologia consolatoria – del nostro comune destino di fragilità e dolore e dunque del comune bisogno di aiuto: dal “verace saper” (cioè dal sapere questo, senza infingimenti) alla rifondazione di un patto sociale di mutuo soccorso (il “vero amor”). L’aggiunta è che con le parole di Rosa Luxemburg la compassione (il soffrire insieme che genera la solidarietà non come un astratto dovere, ma come una necessità) si estende ai fratelli e sorelle non umani, oltre i confini di specie (come in Lucrezio, per la giovenca madre orbata del figlio immolato agli dei).
E qui ritroviamo nella memoria quel passo decisivo di Aldo Capitini, da Religione aperta, che sentiamo come un momento fondante della nostra formazione umana e civile: “Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell’essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così com’è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà fatta così non merita di durare. E’ una realtà provvisoria, insufficiente…”. E questo è Capitini: che “non accetta”, che “non approva”, così profondamente persuaso della sua giovanile maturazione nel segno della poesia eroica di Leopardi, della protesta di Leopardi.
C’è come una triangolazione ideale che unisce Leopardi a Capitini a Binni, con Binni nel vertice del disvelamento e della connessione, in cui si incontrano e precipitano le tensioni dei due poeti-filosofi che nella vita gli sono stati più vicini, più presenti.

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