7.7.13

La Guerra di Vandea (Giuliano Di Cerbo)

Guerra di Vandea. La battaglia di Le Mans in un dipinto di Jean Sorieul
2 marzo 1793: a Cholet, nella Francia del nord ovest, è giorno di mercato, i contadini venuti in città manifestavano contro la chiamata alle armi decretata dalla Convenzione repubblicana.
E' il primo episodio della «Guerra di Vandea», come la chiamarono i rivoluzionari, forse il più drammatico dei capitoli della storia della Rivoluzione francese.
Nel bicentenario in Francia si è riacceso il dibattito sulla «Rivoluzione dell'anno II» che segnò l'ascesa al potere del partito giacobino e l'instaurazione del governo di salute pubblica.
Dibattito interessato in questa fase per i riflessi sull'interpretazione della Rivoluzione e sulla sua legittimazione storica, condotto prevalentemente sul binario di un revisionismo sostenuto da certa storiografia che vorrebbe cancellarne il valore di ingresso sulla scena della storia di nuovi soggetti con una nuova coscienza di sé: politica e sociale. Su questa strada la «Guerra di Vandea» è stata a lungo una tappa obbligata.
Fu controrivoluzione come sostenne la storiografia repubblicana dell'800 o, citando Furet, «Bisogna restituire al popolo vandeano la sua fede ed i suoi culti tradizionali, quali il suo passato li aveva formati...»?
Le due cose non sempre si escludono. Certo oggi è necessaria un'analisi seria per comprendere quegli eventi, non dibattiti che, com'è avvenuto in Francia, lasciano spazio alle interpretazioni della destra fascista che su Nouvelle Ecole offre una semplificata quanto semplicistica legittimazione della Vandea: rivolta contro un governo tirannico, popolo insorto contro un governo non rappresentativo della sua volontà. La «Guerra di Vandea» non fu una guerra di popolo contro un governo usurpatore. Piuttosto fu una sanguinosa guerra civile in un paese stremato dalla guerra e dalla fame.
Il 1793 è il momento più tragico del processo rivoluzionario: la guerra, contro cui si era battuto in solitudine Robespierre di fronte all'Assemblea legislativa dicendo il 29 settembre 1791 «Non diteci più che la nazione vuole la guerra... La guerra è ai suoi occhi un rimedio estremo da cui desidera essere dispensata»; la guerra, nonostante le vittorie di Valmy e Jemappes, ha portato una crisi economica che colpisce prevalentemente le masse cittadine. La pressione della sanculotteria sulla Convenzione è crescente già dal 10 agosto 1792 quando, ottenuta dall'Assemblea la deposizione del re, il popolo di Parigi forma un proprio organismo nato dalle sezioni: la Commune insurrectionelle che molto peserà poi sul futuro della Rivoluzione.
I contadini si sentono attori secondari, le loro richieste vengono disattese. «I cahiers de doléances della Francia settentrionale nel 1789 rigurgitano di proteste elevate dalle masse contadine... (contro)... ricomposizioni fondiarie a vantaggio di pochi grandi mezzadri e a spese di una infinità di gentucola» scrive Marc Bloch su I caratteri originali della storia rurale francese. La Vandea non nasce controrivoluzionaria, non lo è nell'89. Ma ancora il 27 giugno 1793, riporta Lefebvre «Barere si scagliò contro i partigiani della legge agraria che il decreto del 18 marzo puniva già con la pena di morte». E se il giacobino Maure di fronte alla Convenzione il 18 agosto sosteneva che «... la Rivoluzione ha fatto assai più per i campagnoli che per gli abitanti delle città» forse dimenticava la gran massa di braccianti che non avevano certo goduto più di tanto dall'affrancamento dai diritti feudali spesso superati già nei fatti.
E da queste motivazioni che nasce la rivolta. La Vandea non esplode nel 1791 sull'onda della rivolta nobiliare, né nel 1792, quando i preti «refrattari al giuramento alla Costituzione vengono deportati; i contadini insorgono di fronte alla «leva dei 300.000». Non vogliono abbandonare la propria terra per andare a combattere per una Rivoluzione lontana, di questo ci dà conto ancora Bloch «Il nucleo rurale, consapevole della propria unità non meno di quello urbano, seppe talvolta opporsi vigorosamente al frazionamento della signoria...» (fin dal 1330, ndr).
Qui è l'altra origine della Vandea. Un po' parziale sembra l'analisi di Furet che sottovaluta le specificità delle strutture della società rurale francese e fa della Vandea una rivolta religiosa.
La Vandea non vinse. Innanzitutto perché rimase una rivolta spontanea, disorganizzata politicamente e militarmente, senza un progetto, un collante ideologico preesistente. Nonostante i tentativi di nobili e preti «refrattari» di farne una vera e propria guerra controrivoluzionaria.
Ma non vinse anche perché il popolo francese era la Rivoluzione e se i sanculotti parigini attaccavano dalle loro sezioni il governo per ottenere maggiori misure di uguaglianza sociale essi sapevano che solo sulla Rivoluzione potevano contare per riscattare se stessi. Sono significativi alcuni dati riportati da Soubul in Movimento popolare e rivoluzione borghese: nella sezione parigina di Piquetsu 3450 votanti censiti 233 si arruolarono tra'il 3 e il 7 maggio 1793 volontari per la Vandea. E Lefebvre «L'attaccamento ai principi dell'89 e la sollecitudine dell'indipendenza nazionale non si conciliavano con la guerra civile... ».
La «Guerra di Vandea» fu poi brutalmente repressa nel sangue dai generali sanculotti fedeli alla Convenzione.
La Rivoluzione viveva i suoi ultimi grandi momenti, strozzata dall'accerchiamento delle truppe straniere e, dicendola con il Michelet, «pugnalata alle spalle», dalla Vandea, ma soprattutto dalla profonda crisi economica e sociale; «Il calmiere e la requisizione non nacquero pertanto da idee teoriche ma da imperiose necessità» scrive Mathiez. Ma l'epilogo era già segnato nelle contraddizioni dei contrapposti interessi presenti nel movimento rivoluzionario e nei suoi diversi settori: correnti politiche o aggregati sociali; come mette in evidenza l'analisi del Soboul.
Oggi pei delegittimare qualunque ipotesi di mutamento radicale rimane invece una storiografia revisionista ingenerosa verso coloro che, seppure infine sconfitti, credettero nella possibilità di dar vita ad un «mondo nuovo». A far giustizia restano le parole pronunciate da Robespierre l'8 termidoro 1794, 11 giorno prima del colpo di stato che lo mandò a morte, di fronte alla Convenzione: «Giuro che esiste quella tenera, impetuosa ed irresistibile passione, tormento e delizia delle anime grandi, quel profondo orrore della tirannia, lo zelo pietoso nei confronti degli oppressi, quel sano amore verso il nostro paese, quell'ancor più sublime e sacro amore per l'umanità, senza il quale una grande rivoluzione è solo un crimine lancinante che ne elimina un altro».

"il manifesto"

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