4.10.13

Paolo Volponi si racconta a Francesco Leonetti. Urbino, Olivetti, Pasolini...

Con il titolo Il leone e la volpe fu pubblicato nel 1995 da Einaudi un lungo dialogo tra Paolo Volponi e Francesco Leonetti: era la rievocazione di un' amicizia lunga, nata negli anni Cinquanta al tempo della rivista “Officina”, animata da Pasolini e Fortini, e la ricostruzione di un clima politico-intellettuale, di un grande fervore di idee in cui emerge la figura di un industriale atipico, Adriano Olivetti. Il “Corsera” pubblicò come “anticipazione” alcuni brani del volume, tra i quali  ho recuperato quello che segue centrato sulla figura di Adriano Olivetti.
Francesco Leonetti e Paolo Volponi

LEONETTI. Mi devi ricostruire con maggiore precisione il tuo rapporto con Adriano Olivetti, in principio, con riferimento alle idee, alle letture, all'ambiente a lui connesso.
VOLPONI. Io mi ero formato a Urbino praticamente per conto mio. I miei professori erano amici che avevano qualche anno più di me ed erano più bravi perché andavano a scuola; io non ci andavo e quindi seguivo loro anche nelle letture. Però non andando a scuola andavo a vedere le botteghe e quindi sapevo cosa erano il lavoro, l'organizzazione, gli operai, le ore di lavoro, la durezza del lavoro, la fatica e le delusioni, la necessità del rinnovo di impianti, le cambiali, le casse di risparmio che non danno credito, che non danno fiducia a chi lavora e che mettono le piccole botteghe in condizione di fare un lavoro stentato. Fui presentato ad Adriano da Carlo Bo e da Franco Fortini. Il mio curriculum vitae lo scrisse a macchina Franco Fortini nel 49 a Milano. Fortini lavorava all'Olivetti ma non era un "olivettiano", nel senso che non era un ammiratore di Adriano: aveva con lui dei conflitti. Si stimavano reciprocamente e si disapprovavano: si criticavano molto però si rispettavano, tanto che Fortini lavorava per Adriano e Adriano faceva lavorare Fortini, alla pubblicità ; e lui lo ripagava inventando dei nomi per le macchine; per esempio il nome Lexikon l'ha inventato Fortini. Fortini mi conosceva attraverso un libretto di poesie che avevo stampato nel 48. La mia conoscenza di Gramsci, allora, non c'era per niente; e non c'era nemmeno la conoscenza dei testi di sociologia industriale. Dove trovava Adriano i dirigenti? In quel momento, dopo la guerra, doveva farseli, e allora faceva colloqui e puntava sugli intellettuali, sugli uomini di ricerca, di fantasia, sui poeti, perché li riteneva portatori di una capacità di operare, di innovare. Così aveva affidato la pubblicità a Sinisgalli, un poeta, e Sinisgalli l'aveva ripagato bene perché la pubblicità della Olivetti allora era esemplare, certamente fuori dall'ordinario, addirittura bella. Aveva grandi architetti che gli avevano progettato fabbriche bellissime, case per gli operai, un'urbanistica per la fabbrica di Ivrea. Ivrea non è mai diventata un centro convulso, una periferia industriale nel senso corrente della parola, una città squallida, come dormitorio, ma è rimasta una cittadina che è cresciuta bene, con bei quartieri, belle case, servizi e trasporti organizzati. Gli intellettuali che erano lì di che formazione erano? Di varia formazione. C'era Pampaloni che era un cattolico, e quindi aveva una formazione essenzialmente letteraria e politica, come un cardinale Richelieu che sa suggerire al principe delle idee. Però c' era anche Bigiaretti di cui si sapeva che votava per il Partito comunista, aveva fatto la Resistenza e probabilmente aveva già' letto Gramsci. C'era Franco Momigliano che era un comunista e che forse in qualche modo si può definire un sociologo, anche se allora la parola sembrava strana; c'era Gallino che era in fabbrica e faceva studi ed esperimenti in fabbrica, e poi ha scritto il primo testo di sociologia industriale su quell'esperienza. E' passato per l'Olivetti anche Insolera; c'era anche una certa cultura di sinistra rigidamente di classe, rappresentata soprattutto da Fortini e anche da Insolera. Adriano mi ricevette a Milano, in uno studio delle edizioni Comunità e mi interrogò . Che cosa gli interessava sapere da me? Quanto io conoscessi della realtà di Urbino, come vivevo a Urbino, cosa succedeva a Urbino, se c'era un piano regolatore a Urbino, quanti artigiani c'erano e che cosa si produceva a Urbino e che cosa conoscevo io del mondo del lavoro. Le mie letture erano state soprattutto letterarie. Avevo letto molto perché noi quando avevamo dai tredici, quattordici anni fino ai vent'anni leggevamo molto, l'estate la passavamo sui libri. Avevo letto tutti i romanzi dell'Ottocento russo, e francese, poco Salgari, tutto Jack London. Libri che mi abbiano illuminato nella scuola ce ne sono stati pochi, ma mi hanno appassionato molto i testi della poesia: l'Orlando furioso, i lirici greci, devo dire, l'Antologia di Spoon River di Lee Masters, che mi ha fatto ritrovare un autentico mondo di verità anche minute, fuori dalle visioni scolastiche e accademiche, fuori dalle finzioni che la letteratura ancora dava alla realtà , che era un modo di non capire e di non vedere la realtà stessa. Sul piano politico che cosa avevo letto? Verri, Cattaneo; e prima Campanella, qualcosa di Bruno perché ero appassionato dall'idea di questi personaggi dell'eresia non letteraria, di coraggiosi, perché io soffrivo molto, ero nevrotico, chiuso: avevo vent'anni nel 44, e il 44 era gia una data terminale della liberazione: ma nel 40 avevo sedici anni, nel 41 c'era l'oscuramento fuori e poi si aveva paura del nemico che volava sopra di noi, c'era anche fra noi un pesante oscurantismo. Gli altri che erano all'Olivetti erano secondo me più preparati, per esempio Momigliano, Guiducci, Pizzorno. Poi c'era una corrente di scienziati, di urbanisti, dei quali mi sfugge ora anche il nome, che si sono formati all'Olivetti, che hanno fatto lì le loro esperienze. La lettura e la scoperta di Gramsci e dei problemi del taylorismo e dell'alienazione sono venuti insieme, secondo me. Intanto io avevo conosciuto Pier Paolo Pasolini che è stato un mio maestro insieme ad Adriano. Pasolini, che ho conosciuto nel ' 52, mi ha aperto anche a certi studi: mi chiamava "marxista lirico" perché io sono un uomo un poco approssimativo, forse, ma il termine era anche un augurio. Le mie scoperte sono state fatte in questo largo ambiente: Olivetti, Pasolini, la sociologia, l' urbanistica, la rivista "Officina", dove ho incontrato te. (...) 

Corriere della Sera, 5 febbraio 1995

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