29.12.13

Emilio Salgari, uno che torna dal mare (Roberto Duiz)

A Emilio Salgari piaceva un sacco venire definito «uno che torna dal mare». E faceva di tutto per sembrarlo. «Audacia» e «ferocia» erano termini molto ricorrenti nei suoi racconti di nomade dell’immaginazione. Millantava d’essere capitano di gran cabotaggio e viaggiatore avvezzo a ogni tempesta, anche se il suo unico viaggio per mare si risolse sulla rotta Venezia-Brindisi, nei panni di mozzo su una carretta chiamata Italia I. Ma  in palestra aveva affinato l’arte della scherma e se qualcuno osava mettere in dubbio la veridicità delle avventure cui alludeva veniva sfidato a duello e sconfitto, così da venire dissuaso a insistere e dissuadere altri eventuali dileggiatori. 
Più un consapevole visionario che un volgare bugiardo, però. «Staccarmi dalle mie fantasie vorrebbe dire togliermi la ragione logica dell’esistenza», confessò. E quando lo stacco avvenne provvide lui stesso a togliersi la vita in un boschetto vicino a Torino, il 25 aprile del 1911.
Sognava avventure alla Verne e alla Dumas, il veronese Salgari. Si limitò a inventarle in un’epoca di Grandi Esplorazioni e di fantasticherie esotiche. Studiò cronache, riviste illustrate di viaggi e mappe geografiche in biblioteca contribuendo ad ampliare un immaginario non ancora globalizzato, aprendo al lettore scenari che fino ad allora erano limitati al cortile di casa, in Italia più che altrove.


“alias – il manifesto”, 23 aprile 2011

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