2.3.14

I ricordi di Mariangela Melato: "Io e mio padre".

Frequentavo Brera, ma soprattutto il bar Jamaica. C’erano artisti come Dova, Manzoni, Migneco, Recalcati, i grandi fotografi come Mario Dondero e Alfa Castaldi. Ero una ragazzina truccatissima, alla Juliette Greco. A volte coi capelli corti e verdi, altre volte lunghi e neri, ma con ciocche rosse e gialle. Ero affascinata da quel mondo e a distanza di tanti anni lo ricordo con affetto e gratitudine.
Nessuno aveva cercato di approfittare del mio entusiasmo, della mia ingenuità. E in ogni caso vigilava mio padre, vigile urbano. Quante volte è venuto a prendermi per le orecchie e a portarmi a casa. Abitavamo lì vicino, in via Montebello. A volte bastava un cenno. Appariva sulla soglia, in divisa, e via andare.
Ma non l’ho mai sentito come una presenza repressiva, anzi lo sentivo più vicino di mia madre. Poche parole, lui, però mai uno schiaffo, mai un urlaccio. E com’era bello con i baffi curati, un David Niven in divisa di ghisa. E’ morto che avevo appena cominciato a fare l’attrice, giusto qualche particina. sapevo che era fiero di me, che veniva a vedermi di nascosto. Ci rimase male la sera della prima di Settimo:ruba un po’ meno con Dario Fo. Sul cartellone tra gli ultimi c’era il mio nome con l’indicazione della parte: “la prima puttana”.
Da quella sera, mentalmente, ogni prima la dedico a lui. Si chiamava Adolf Hoering, radici ad Hannover, cognome italianizzato in Melato dal fascismo. Era stato internato a Dachau…


Da Conversazione con Mariangela Melato di Gianni Mura in “Emergency – il mensile”, n. 4, 2011

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