25.4.14

Il papa e le due Americhe (Aldo Giannuli)

Il testo che segue è un brano dal volume Papa Francesco tra religione e politica (Ponte alle Grazie, 2013), diffuso come anteprima dall'autore sul proprio sito. (S.L.L.)

E’ sin troppo ovvio che l’America Latina godrà di particolari attenzioni di questo Pontefice e non solo per la sua provenienza geografica, ma anche per la particolare situazione della Chiesa in quel continente: come abbiamo accennato, il “forziere” della cattolicità è da tempo insidiato dalle sette evangeliche.
C’è un singolare doppio movimento da nord a sud e da sud a nord: da nord calano i missionari evangelici, molto ben forniti di dollari, che puntano a soppiantare la secolare egemonia cattolica, ma da sud salgono gli immigrati latinos, che parlano spagnolo e sono cattolici.
Nel sud America si conta che gli evangelici abbiano strappato ai cattolici circa il 20% dei fedeli, circa l’1% all’anno, ed la totalitaria adesione alla Chiesa cattolica non è più tale. Nel nord i latinos sono da tempo una minoranza tutt’altro che trascurabile e negli stati a ridosso del confine messicano ci sono già segnali stradali trilingui: English, Spanish e Spenglish che ormai è più di una semplice macedonia linguistica. E con la lingua di Cervantes sale anche la cattolicità: la Chiesa in Nord America riceve forti flussi corroboranti dal sud.
Insomma, degli Usa meno Wasp e un Sud America meno cattolico che iniziano a somigliarsi. Solo quindici anni fa, Samuel Huntington vaneggiava di uno specifico modello di civiltà latino americano distinto da quello europeo (dove ci sono nazioni che parlano le stesse lingue e professano la stessa religione) e da quello americano, a sostegno della sua battaglia contro l’ingresso dei chicanos negli Usa: roba dimenticata.
Le due Americhe iniziano a convergere ed il Conclave ne è stato un segnale importante e poco capito. Sino a tempi recentissimi, la diffidenza regnava sovrana fra gli episcopati delle due metà d’America e c’era una preclusione reciproca: i nord americani erano disposti ad accettare tutto meno che un papa sudamericano e, vice versa i sud americani nei confronti di un papa yankee. Poi, nel 1997, Woitjla volle che fosse celebrata un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per l’America ed iniziò lentamente quel processo di convergenza che è sfociato nell’attuale Conclave, in cui la maggior parte dei cardinali nord e sud americani si sono mossi come gruppo compatto (ricordiamo che i nord americani sono stati determinanti nell’ascesa di Bergoglio).
L’unico ad aver segnalato la cosa è stato Ignazio Ingrao sul sito di Aspenia; la questione merita più di una riflessione. Questo profila uno spostamento del baricentro della Chiesa cattolica verso l’asse Atlantico, ma questo implica anche una simmetrica caduta di prospettive sulla crescita in Asia, perché (torniamo ad un punto già discusso) una Chiesa troppo identificata con l’Occidente non è una Chiesa che possa validamente aspirare a porsi come centrale nei processi di globalizzazione.
D’altro canto, ci sono forti spinte perché il Papa imbocchi questa strada. In primo luogo, come si è detto, è la stessa provenienza geografica del pontefice a far sorgere aspettative del genere: il papa sudamericano non può non avere come prima preoccupazione la difesa della cattolicità del suo continente, così come Woitjla, l’altro “prete di frontiera”, ebbe come sua prima missione lo sfondamento ad est. E, dunque, il problema delle sette evangeliche. A questo proposito notiamo come, nel discorso ai rappresentanti delle Chiese, delle comunità ecclesiali e di altre religioni, nella sala Clementina, il nuovo pontefice abbia avuto parole molto calorose per gli ortodossi, ribadito l’impegno ecumenico, salutato con una speciale simpatia i rappresentanti dell’ebraismo e i rappresentanti di tutte le altre fedi religiose, dedicando uno specifico cenno all’Islam (tornando al discorso di Woitjla sull’adorazione del medesimo Dio), salutato persino i non credenti, ma non abbia fatto nessun cenno alle chiese protestanti. Solo una occasionale dimenticanza?
Comunque sia, il problema della penetrazione delle sette protestanti in America Latina è presente con tutta evidenza nell’agenda del Pontefice, ma la sua soluzione sta più a Nord che a Sud: la loro forte presa, più che una qualche particolare ondata spirituale, è da mettere in relazione al grande dispiegamento di mezzi a disposizione dei predicatori evangelici che attirano i fedeli con mense, ospedali, scuole ecc. Tutte cose fatte anche dalla Chiesa Cattolica in passato, ma con ben altri mezzi economici. E questo è parte di una vera e propria offensiva contro la “superstizione papista” che ha trovato grande sviluppo quando occorreva contrastare la Teologia della Liberazione vista come strumento di penetrazione comunista. Dunque, occorrerà discuterne ma ad una latitudine diversa da quella in cui il fenomeno si manifesta.
E questo avviene in un momento politico particolare, nel quale l’amministrazione americana ha molte ragioni per riconsiderare il suo tradizionale atteggiamento nei confronti del sud del continente che oggi non è più l’insieme di paesi sottosviluppati, poveri o poverissimi, che era ancora negli anni settanta. Oggi il continente ospita una potenza come il Brasile e paesi emergenti come il Messico, il Venezuela o l’Argentina e, per certi versi, anche la Bolivia. Il Brasile, poi, è la prima lettera dello sgraditissimo acronimo Bric. Infine, troppi fronti sono aperti per una potenza americana che è in crisi finanziaria e non più in grado di reggere il volume di spese militari erogato sinora. Dunque, un’integrazione delle due metà d’America sarebbe, dal punto di vista di Washington, un processo auspicabilissimo, magari attraverso una speciale partnership fra Nafta e Mercosur, una sorta di serpente monetario, una riscoperta potenziata dell’Organizzazione degli Stati Americani; magari attraverso un ruolo di mediazione del Messico, forse persino spingendosi a concedere una liberalizzazione agli ingressi negli Usa. Un ruolo molto importante potrebbe svolgerlo proprio la Chiesa cattolica. Il maggiore ostacolo attuale a questo processo para-federativo fra le due metà d’America è probabilmente di ordine politico: i governi di Argentina, Bolivia e Venezuela (per non nominare Cuba) sono in mano a forze politiche dichiaratamente anti yankee ed anche il Brasile e il Perù hanno governi che non nutrono alcuna particolare simpatia per gli Usa. Sono tutti governi di tipo nazionalista a prevalente coloritura di sinistra o populista.
Si comprende facilmente come gli Usa possano accarezzare il sogno di un nuovo “prete di frontiera” che rappresenti per la Rousseff, la Kirchner, Morales, i chavisti ecc. quello Woitjla fu per i regimi del “socialismo reale”. Anche perché Bergoglio è un personaggio parimenti carismatico e dotato di una forte credibilità popolare che, peraltro, si è già messo alla testa dell’opposizione al governo della Kirchner, anche se su una questione specifica come i matrimoni gay.
D’altro canto, agli Usa non mancano né messaggeri (come l’autorevole membro dei Cavalieri di Colombo che siede nel consiglio di soprintendenza dello Ior) né efficaci strumenti di pressione sul Vaticano (ricordiamo le campagne mediatiche come il Codice da Vinci, la questione, appunto, dei finanziamenti alle sette evangeliche) ma soprattutto la spinosa questione dei preti pedofili, sin qui affrontata dalla Chiesa americana pagando pur di evitare processi imbarazzanti ma, come ricorda Francesco Sisci “Se si tolgono i limiti temporali per le accuse di molestie, presunti molestati di 20, 30, 40 anni fa potrebbero citare tutte le diocesi americane mandando al fallimento tutto il cattolicesimo in Usa. I cattolici americani potrebbero restare senza nemmeno le chiese in cui pregare, e senza un dollaro da versare a Roma, portando quindi in pratica alla bancarotta la Chiesa cattolica globale.”
Peraltro, il cardinal Bergoglio non ha mai espresso simpatia per questi governi, anzi.. per cui non dovrebbe costargli molto aderire all’invito da Washington. Ma, ci risiamo, Francesco I non è il cardinal Bergoglio. Nel “grande disegno woitjliano” di cui Francesco I si propone continuatore, non c’è spazio per una Chiesa così sbilanciata ad Occidente, per cui, se per alcuni tratti la sua strada può effettivamente coincidere con quella vagheggiata dagli Usa, per altri aspetti questa coincidenza non è auspicabile.
E, tanto per rendere lo cose ancor meno semplici, occorre anche fare i conti con un altro aspetto: la divaricazione fra laicato e gerarchia nelle chiese americane. Nel sud è appena il caso di ricordare l’adesione di tanti cattolici ai partiti “populisti” di Argentina, Bolivia, Brasile, Venezuela ecc. ma ancora più marcata è la divaricazione nel nord dove, tradizionalmente i cattolici (in massima parte di origini italiane o irlandesi) votano per i democratici (e la cose si è ulteriormente accentuata con l’arrivo dei latinos che al 90% votano per il “nero” Obama) mentre la gerarchia propende per i repubblicani. Come Dolan che “tifava” apertamente per il mormone Romney. Altro rebus da risolvere.
Lo scenario americano si presenta per il nuovo Papa come un sistema di equazioni a più incognite da risolvere, quasi una quadratura del cerchio. Però i gesuiti hanno avuto nella loro storia eccellenti matematici come Orazio Grassi o Matteo Ricci…

da AldoGiannuli.it - marzo 2014

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