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El Greco, San Pietro e Paolo (1614), San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage |
Pietro e Paolo: una delle
coppie più famose della storia e non soltanto di quella cristiana.
Furono amici? Non direi, ma è anche vero che l'amicizia non è una
categoria che trovi posto, per lo meno ufficialmente, nei testi
sacri. Una categoria troppo privata per il clima biblico, troppo
psicologica, troppo moderna. La grande amicizia, per la Bibbia, è
una sola, quella dell'uomo con Dio: meglio, quella che Dio concede
all'uomo.
La storia di Pietro e
Paolo, comunque, è una storia ricca di vita: convergenze e
differenze, alleanze e litigi, il protagonismo di due personaggi che
i racconti ci presentano a tutto tondo, anche se non è facile
distinguere, come per tutte le storie vecchie di venti secoli, i
fatti reali dalle concrezioni mitiche.
Fin dai primi tempi si
cercò di presentarli insieme, quasi che le testimonianze delle
rivalità e dei litigi si dovessero al più presto dimenticare. Si
temeva il persistere di un dualismo, l'esistenza di due chiese
parallele, quella di Paolo e quella di Pietro: progressisti e
conservatori, anche allora. Il timore delle due chiese parallele creò
la coppia: basti vedere l'iconografia dei primi secoli, con i due
grandi sempre insieme.
Tutti e due, dopo diverse
peripezie, dovevano per forza essere finiti a Roma, il luogo dove il
martirio acquistava dignità e indicava un ruolo per il futuro. Tutti
e due cominciarono, sempre a Roma, a essere ricordati e festeggiati
lo stesso giorno, il 29 giugno, come oggi: bisognava suggellare nel
ricordo un'amicizia che probabilmente non c'era stata.
Il martirio di ambedue
nella stessa città capitale e nello stesso giorno, sotto Nerone.
doveva far dimenticare che Paolo era stato un persecutore di
cristiani, non era stato fra gli apostoli e non aveva neppure
conosciuto Gesù: una lacuna grave nella chiesa apostolica. Di
Pietro, poi, era bene dimenticare molte colpe e molte incertezze:
soprattutto quell'infame tradimento prima del canto del gallo e
quella esitazione nella controversia con i «giudaizzanti». Nessuno
dei due aveva la fedina penale pulita.
Avevano avuto origini
molto diverse, Pietro e Paolo. Ambedue ebrei e circoncisi, ma uno era
di Galilea, l'altro, Paolo, era nato e vissuto a Tarso, in Cilicia.
Scarsi i dati sulle carte di identità. Di professione, Pietro era
pescatore e Paolo tessitore: continuò a tessere tele , per quanto
poteva, anche durante i suoi grandi viaggi apostolici, per mantenersi
senza dipendere economicamente dalle chiese (niente 8 per mille!).
Pietro era certamente
sposato (Gesù interviene per guarirne la suocera). Sullo stato
civile di Paolo si discute. Era celibe? Vedovo? Separato? Sembra
certo, comunque, che al tempo della sua lunga missione apostolica non
era legato a nessuna donna, caso piuttosto strano per quel tempo e
quella cultura (alcuni attribuiscono a questa circostanza la sua
durezza nelle questioni sessuali).
Sui dati fisici, nessuna
notizia. Ma la barba dovevano averla, se si affermava (Musonio Rufo)
che «la barba è per l'uomo come la cresta per il gallo e la
criniera per il leone».
Sul carattere possiamo
dedurre dai racconti qualche cosa di più. Pietro, bonario, incerto,
contraddittorio, immediato nelle reazioni, forse anche incolto (gli
si attribuiscono due lettere, ma non si è certi che le abbia scritte
lui). Doveva maneggiare appena l'aramaico popolare. Paolo colto, fine
predicatore e scrittore, ebreo di città, pienamente inserito
nell'ellenismo del tempo, parlava bene il greco della koinè,
a suo agio sull'acropoli di Atene come nelle prigioni imperiali di
Roma o sulla prua di una nave in tempesta. Di Paolo sappiamo molto di
più che di Pietro, eppure è di quest'ultimo il «primato»: una
stranezza della storia o un vero «legato» lasciato a lui, rozzo, e
debole pescatore, dallo stesso Gesù.
La storia quando li fece
accostare, Pietro e Paolo avevano già vissuto a lungo (una
quarantina d'anni per ciascuno?) e intensamente. Il loro incontro
fu ben presto uno scontro. Ne possediamo due resoconti
fondamentali, non del tutto convergenti, anche se ambedue sono nati
in ambiente più paolino che petrino. Il primo, cronologicamente, è
un testo della lettera di Paolo ai fedeli di Ga-lazia, una delle
lettere che gli studiosi considerano autenticamente paoline. Il
secondo testo è il racconto del libro degli Atti, scritto da
quel Luca che fu anche autore del terzo vangelo.
Tema dello scontro la
questione che gli storici hanno poi definito dei «giudaizzanti».
Una questione in apparenza secondaria, in realtà di portata
essenziale: vi era in gioco l'essenza stessa del cristianesimo, anche
al di là del rapporto con il giudaismo da cui era nato. La possiamo
formulare così: i nuovi cristiani provenienti dal paganesimo -
quelli a cui proprio Paolo si rivolgeva - dovevano passare attraverso
il giudaismo? La circoncisione, cioè, prima del battesimo? In altri
termini: Gesù sostituisce l'antica legge o semplicemente la riforma
e la perfeziona?
Su questi interrogativi
di estrema modernità - rifondazione, riforma, rinnovamento,
rivoluzione... - Pietro e Paolo misero in gioco autorità e amicizia.
L'incontro-scontro si
svolse in tre atti. Il primo dovette essere un breve incontro di
cortesia, appena tre anni dopo la conversione di Paolo, che «salì»,
come si diceva allora, a Gerusalemme proprio per «fare visita» a
Kefa, la pietra che Gesù aveva posto alla base della sua comunità.
Tutto bene, dunque: forse era nata anche un'amicizia.
Il secondo atto si
svolge, sempre a Gerusalemme, almeno una decina di anni dopo. Le
conversioni di pagani sono aumentate: Paolo non li fa circoncidere né
li obbliga a seguire le classiche prescrizioni giudaiche sul vitto,
ecc. Per le chiese cristiane più tradizionali, quelle originate dal
giudaismo, è un vero scandalo. Si convoca una assemblea, una sorta
di primo concilio ecumenico. A capo degli “innovatori” Paolo, a
capo dei conservatori l'apostolo Giacomo, con l'autorità
riconosciuta di “fratello del Signore”. Pietro tenta una
mediazione: niente circoncisione, ma la osservanza di qualche
precetto antico, onde non urtare i cristiani di provenienza giudaica.
Paolo accetta e riparte per i suoi lunghi viaggi missionari, fino
alla Grecia, a Roma, alla Spagna.
Il terzo atto, ad
Antiochia, è il più drammatico. Pietro, giunto nella comunità
antiochena, in un primo tempo si era attenuto alla prassi stabilita,
come Paolo, ma in un secondo tempo aveva ceduto alle forti pressioni
dei conservatori e aveva imposto ai nuovi cristiani il peso delle
antiche osservanze. Paolo freme: ma allora Gesù è morto invano? Il
cristianesimo, allora, non è altro che una forma rinnovata di
giudaismo? Senza alcuna soggezione, Paolo accusa Pietro di doppiezza
(hypocrisis).
Benché abbia ragione,
sulla base e delle decisioni di Gerusalemme e di tutta la storia
successiva, Paolo esce perdente dallo scontro di Antiochia. «Proprio
per questo sarà sempre più oggetto di dure contestazioni da parte
dei giudeo-cristiani integralisti e la chiesa-madre lo guarderà con
sospetto. Non per nulla l'autore degli Atti stende un velo di
rispettoso silenzio sull'incidente di Antiochia, che aveva visto il
protagonista della sua storia edificante messo in minoranza
dall'iniziativa degli emissari di Giacomo e dal cedimento di Pietro
(Giuseppe Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane).
Il
seguito della controversia è sotto i nostri occhi. La chiesa di
Pietro ha vinto su tutto il fronte, e non soltanto in casa cattolica.
Le varie chiese cristiane, quale più quale meno, anche se non hanno
accettato la circoncisione, si sono ancorate alle leggi e alle
osservanze, a tutto vantaggio di quelle garanzie che la roccia
petrina offriva, ma a scapito di quella «libertà» che Paolo aveva
predicato con scarso successo.
La storia, comunque, ha
voluto unire due,protagonisti che le vicende avevano divisi. Pietro e
Paolo, vicini l'uno all'altro nella iconografia cristiana, dicono a
tutte le generazioni che le tensioni fra legge e libertà, tra
vecchio e nuovo, tra carne e spirito non deve cessare: nessun
dualismo purista deve prevalere su di una, anche ambigua,
complessità.
Ci farebbe piacere sapere
se, poi, dopo Antiochia, i due si incontrarono, forse nelle galere di
Roma, e si riabbracciarono. L'amicizia biblica, d'altronde, non è
orizzontale, ma verticale, scende dall'alto. Lo stesso immenso
abbraccio del Cantico dei Cantici è un'immagine visibile e
palpabile di quell'invisibile e impalpabile abbraccio che circonda la
vita.
“il manifesto”, 11
agosto 1990