26.9.14

Oltre la storia. Il mito duraturo di Alessandro Magno (Monica Centanni)

Alla partenza per la spedizione in Asia con un esercito di circa cinquantamila uomini - racconta Plutarco - Alessandro aveva risorse limitatissime; prima di partire però si preoccupò di distribuire, fra gli amici che restavano in patria o che partivano con lui, quasi tutti i beni del suo tesoro regale - terreni e rendite - come risarcimento preventivo dell'incerta campagna. All'amico Perdicca che gli chiedeva che cosa tenesse per sé, Alessandro rispose: le speranze. La speranza trascina Alessandro a tagliarsi tutti i ponti alla spalle, a spostare sempre più avanti la linea del suo orizzonte: non sa fermarsi, non può considerare nessuna tappa, nessuna impresa, come l'ultima della sua avventura.
Ossessione della gloria: come notava Santo Mazzarino, è Alessandro stesso che investe la sua vita e le sue gesta nella costruzione del suo mito. Molto prima di immaginare fin dove arriveranno le sue conquiste, si porta appresso una corte di archivisti, cronisti e storici, testimoni e poeti: perché crede poco alla realtà obiettiva degli eventi, ma soltanto alla durata della loro narrazione. Il mito di Alessandro eccede dalla narrazione della storia che non può contenere in forma le contraddizioni e le speranze - largamente extrastoriche - del personaggio. La gloria di Alessandro fiorisce (forse come lui stesso avrebbe sperato) al di fuori - e in parte contro – i testi più specificamente storici, diventando ben presto un grande mito politico e letterario: documenti veri e falsi si intrecciano alle tradizioni orali, agli aneddoti sulle incredibili qualità fisiche e morali di Alessandro, alle memorie favolose dei reduci tornali a raccontare le meraviglie dell'Oriente: altre luci, altri spazi, altri colori. L'effetto sul reale delle effimere conquiste sarà, soprattutto, un «secondario»: l'ideale cosmocratico avrà un influsso metastorico fondamentale per tutta l'età ellenistico-romana, al punto che tutta la storia costituzionale dell'Impero Romano e le singole vicende dei suoi principes (l'iconografia imperiale, le interminabili gierre contro i Parti «nuovi persiani») potrebbe essere proficuamente letta nella chiave dell'imitatio Alexandri. E nel frattempo, con il consolidarsi del mito, l'immagine di Alessandro acquista un valore magico, oltre che simbolico. Mito culturale, archetipo politico, talismano religioso: la superstizione resiste per secoli, e sopravvive anche all'avvento del Cristianesimo. Alla fine del IV secolo Giovanni Crisostomo ammonisce i cristiani di Antiochia a non portare più al collo e alle caviglie amuleti con l'immagine di Alessandro; l'ultimo tempio dedicato ad Alessandro fu chiuso nel VI secolo da Giustiniano e sostituito con un tempio dedicato alla Madonna.
Ma l'Alessandro del mito sopravvive attraverso il Medioevo: una fortuna straordinaria hanno infatti le diverse versioni del Romanzo di Alessandro. La data della prima compilazione di quest'opera è incerta ma, almeno per una parte dei materiali che confluiscono nella composizione, andrà collocata a una cronologia alta, fra il III e il II secolo a.C., a ridosso dell'impresa storica di Alessandro. Le redazioni greche del Romanzo attribuite allo storico Callistene, nipote di Aristotele, a Esopo, allo stesso Aristotele, si incrociano con la versione latina del IV secolo d.C. di Giulio Valerio, da cui viene tratta nel IX secolo un Epitome, con falsi lardo-antichi e medievali come il Testamento di Alessandro, e la Lettera ad Aristotele sulle meraviglie dell'India, la Collatio Alexandri cum Dindimo (che nel Romanzo è Dandame, il capo dei brahmani gymnosofisti). Il testo di passaggio tra le versioni antiche e quelle medievali è la versione latina da una redazione bizantina del X secolo dell'Arciprete Leo - conosciuta come Historia de Preliis.
A partire da questo ritorno del testo in Occidente il Romanzo è, come è stato notato, il testo che «di tutte le tradizioni uscite dall'antichità greco-romana (fatta eccezione per il Nuovo Testamento) ha avuto la più importante diffusione nel tempo e nello spiazio».
Infinite sono, fino al XV secolo in area occidentale, e anche oltre in area orientale, le redazioni, traduzioni, riduzioni, i rifacimenti della leggenda. Nelle prime versioni medievali alla metà del XII secolo compare, in forma «moralizzata» la figura di Alessandro cavaliere-paladino, prototipo del monarca sapiente e valoroso, spinto ai confini del mondo per dar prova delle sue eccezionali virtù cavalleresche, ma anche per inverare un disegno voluto dalla Divina Provvidenza. Così le redazioni volgari del Romanzo in francese, tedesco, spagnolo, entrano nei cicli epici delle Chansons des gestes insieme alle varie redazioni del Romanzo di Troia, del Romanzo di Tebe, del Romanzo di Enea e gli eroi pagani entrano nelle biblioteche e negli arredamenti (sotto forma di affreschi o arazzi) di tutte le corti, a costituire il modello antico della nuova etica cavalleresca.
La fioritura della leggenda di Alessandro (e la sua fortuna iconografica) ha una data di morte. Nel 1438 l'umanista Pier Candido Decembrio volge in volgare la Vita di Alessandro di Curzio Rufo: quella «storia», insieme alla biografia plularchea, e al testo di Arriano (che presto verrà riscoperto) viene considerata la «vera» storia di Alessandro: da un punto di vista umanista, il recupero delle fonti «classiche» fa piazza pulita delle versioni leggendarie (considerate, a torto, tutte medievali) e si ricostruisce una biografia più seria e attendibile, l'unica a cui si riconosce l'autorevolezza dell'antichità.
Dalla fine del Quattrocento, comunque, nella letteratura e nell'iconografia la storia di Alessandro si disincanta, il suo mito, a poco a poco, si sfata. In campo artistico egli viene denudalo delle vesti medievali o «moderne» con cui compariva nelle pitture e negli arazzi. Nella pittura rinascimentale matura e fino a tutto il Settecento il Re Macedone verrà rivestito di vesti «antiche» e ritratto non più negli episodi della sua leggenda, ma come condottiero alla testa dei suoi eserciti nelle grandiose battaglie, o in alcuni episodi aneddotici tratti da I.uciano, Plinio o da Plutarco, che diventano topici esempi di magnanimità regale. L'Alessandro della leggenda, dunque, per molti secoli scompare quasi completamente dall'orizzonte culturale della letteratura e dell'arte occidentale. Dopo la riscoperta storica di Droysen, l'inventore del termine «ellenismo», alla fine del secolo scorso Giovanni Pascoli dedicava all'eroe «dagli occhi di diverso colore» una poemetto - l'Alexandros - che gronda di lamentosa retorica tardo-romantica, ma ha il merito di recuperare alla letteratura un'immagine di Alessandro meno rigida e antipatica di quella restituita dai manuali scolastici. Sul piano della ricerca filologica il recupero dell'Alessandro perduto prende avvio alla metà del Novecento dai fondamentali studi di Rheinold Merkelbach sulle fonti del Romanzo, ricomincia a farsi strada, anche nel campo degli studi, un interesse crescente per i testi letterari e iconografici che compongono la figura del re leggendario arrivato ai confini del mondo. In ambito accademico si segnalano a partire dagli anni ottanta le pubblicazioni di Lorenzo Braccesi e della sua scuola sui vari «ultimo Alessandro» nelle tradizioni occidentali e, più di recente, alcune pregevoli pubblicazioni in facsimile di manoscritti medievali. Il mito di Alessandro diventa protagonista di ambiziosi progetti editoriali: alle innumerevoli storie di Alessandro in Occidente e in Oriente è dedicato il progetto monumentale della Fondazione Valla/Mondadori, per la quale sono apparsi sinora Alessandro nel Medioevo occidentale (1997) e le Storie di Alessandro Magno di Curzio Rufo in dieci Libri, col testo critico a fronte (il secondo dei due volumi, con commento scientifico di J. E. Atkinson e la traduzione di Tristano Gargiulo, è uscito quest'anno).
Ma è negli ultimi decenni di questo secolo che il fantasma di Alessandro sembra riacquistare la sua lucentezza, ancora carico di tutta l'energia del mito. Specie dopo il fortunato ritrovamento delle tombe macedoni nel palazzo reale di Verghina, in Macedonia, si rinnova l'interesse per i reperti alessandrini, in mostre archeologiche lanciate come eventi di largo richiamo (tale è stata Alessandro Magno. Storia e mito, organizzata a Palazzo Ruspoli a Roma dalla Fondazione Memmo, tra il 1995e il '96). Ma non solo. Se l'Alessandro fiabesco - figura del coraggio e dell'avventura - non era mai scomparso nella tradizione orale delle fiabe e nel folklore greco e mediterraneo, ricompare ora in canzoni popolari. Ad Alessandro, alle sue paure e al suo sfondamento dell'orizzonte, dedica il testo di una canzone - un po' troppo «pascoliano» e intriso di malinconia lardo-romantica - il cantautore Roberto Vecchioni, Alessandro e il mare (1992). Anche nella letteratura neo-prosopografica Alessandro ritorna protagonista. Una buona risposta del pubblico di lingua inglese ha avuto la trilogia della scrittrice Mary Renault, che abilmente sfrutta e amplifica la traccia narrativa degli amori di Alessandro, giocando implicitamente sul riferimento alle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar: proprio ad Antinoo si ispira il |personaggio di Bagoa, protagonista di The Persian boy, l'unico volume della serie tradotto in italiano (Il ragazzo persiano, Milano 1985). Notevole anche il successo di pubblico di lingua tedesca della biografia romanzata di Gisbert Haes, Alexander (Zurich 1992, Munchen 1994). Recentemente, con un grosso investimento nel lancio pubblicitario, è stata proposta da Mondadori in edizione popolare una serie di romanzi, dall'infanzia alla morte di Alessandro, che hanno avuto un ampio lancio anche televisivo e un ottimo successo di pubblico: Valerio Massimo Manfredi, Alexandros. Il figlio del sogno. Di tutt'altro livello, per il pregio di scrittura, per il soggetto e per il taglio narrativo, era stato il racconto di Amo Schmidt (1959) sull'avvelenamento di Alessandro da parte di Aristotele, tradotto anche in italiano: Alessandro o della verità (Torino, 1965).
E proprio a quegli anni, in cui non si era ancora inaugurata la moda di Alessandro, sono da ascrivere le pagine poetiche dedicate all'eroe da Giorgio Colli. Così in La Ragione errabonda, fra gli appunti e gli aforismi, troviamo questi suoi versi straordinari: Ares infiamma il mio sangue / distillando immagini convulse // [...] / Piombo fuso è l'acqua dell'Eufrate /si tuffa il sole nel fiume //fugge la luce dal mio sguardo // [...] / Tintinnerà l'aureo pendaglio / sulle gambe delle schiave / domani, nel silenzio / del corteo funebre, / se Dioniso avrà sciolto l'affanno / dal mìo corpo, inutile ormai, / e profumi dell'India / si leveranno dal rogo / sulle calde onde dell'Eufrate. / Quello che ho visto morirà con me. [...].

Così attraverso i secoli di una lunga storia ricompare l'Alessandro del mito e la sua voce è, nuovamente, quella dell'ansia, della sete tutta filosofica dell'altrove, della cerca infinita. Ma il valore più alto cui egli tendeva - la risonanza del nome trasmessa nei millenni nonostante le lunghe pause silenti della storia - è, come voleva, ancora immortale.

alias-il manifesto, 2 dicembre 2000

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