7.10.14

Il fondatore dimenticato. Profilo di Amadeo Bordiga (Giorgio Bocca)

Quello che segue è un bel profilo di Amedeo Bordiga, opera di Giorgio Bocca. Il taglio è giornalistico: i problemi teorici sono semplificati e affrontati con disinvoltura e alcuni passaggi sono discutibili più per le omissioni che per le affermazioni (del presunto interventismo di Gramsci, ad esempio, non si spiega che durò pochissime settimane e che, come redattore del “Grido del popolo”, l'intellettuale sardo decisamente combatté nei primi mesi del 1915 le attività degli interventisti di destra e di sinistra). Ciò detto, lo scritto di Bocca per “Storia Illustrata”, cui collaborò per le ricerche la futura moglie del giornalista, Silvia Giacomoni, va apprezzato perché demolisce molti luoghi comuni e restituisce a Bordiga spessore e umanità. Un caro compagno, Maurizio Fratta, mi ha fatto notare, a proposito di un altro “post” su Bordiga, come pochi valorizzino un aspetto importante della sua ricerca teorica, la denuncia della quantità enorme di merci inutili o dannose prodotte dal capitalismo marcescente, che anticipa le tematiche ecologiste e la problematica della decrescita. Ha ragione: “posterò” qualcosa sull'argomento nei prossimi mesi. (S.L.L.)
Amadeo Bordiga
Per lunghi anni Amadeo Bordiga è stato il «diavolo» del nostro comunismo ortodosso, l'equivalente italiano di Trotzki, il nemico, l'eretico; e siccome il comunismo italiano ortodosso ha avuto ed ha il monopolio dei documenti e degli archivi, siccome anche la revisione critica su Bordiga è passata e passa, in gran parte, attraverso i canali storici del PCI, si corre anche oggi il rischio di dare di Amadeo Bordiga una immagine deformata, come del resto lo si corre con Gramsci e con Togliatti, Abbiamo cercato perciò, nei limiti dell'abbozzo biografico di tenere presente anche una conversazione con Bruno Maffi, uno dei «figli di Bordiga» e storico della sinistra comunista.
Come Togliatti, come Gramsci, come quasi tutti i dirigenti comunisti, Amadeo Bordiga è di estrazione borghese: nasce il 13 giugno 1889 a Resina dal professor Oreste, un piemontese sceso a Portici alla scuola agraria; la madre invece è fiorentina e nobildonna; ricorderà Ruggero Grieco nel 1923, nel saluto a Bordiga, arrestato dai fascisti, che «agli agi della sua famiglia di antica nobiltà... ha preferito farsi condottiero di masse». Non è qui il caso di ricostruire nei dettagli la fanciullezza e la gioventù di Amadeo; basterà ai fini di questo ritratto dire che egli è, naturaliter, una persona colta, abituata alla frequentazione degli intellettuali, il che gli consentirà fin dai primi anni della attività politica e giornalistica di guardare alla cultura del suo tempo con sufficiente distacco, senza infatuazioni e venerazioni, scegliendovi liberamente i suoi interessi: «Non aveva letto» ricorderà Giuseppe Berti «una pagina di Croce e di Gentile - se ne vantava , ed era vero - trovava il positivismo infastidente ed approssimativo, gli sembrava che come filosofia il marxismo largamente bastasse».
Gli studi universitari in ingegneria lo portano a Pavia e poi a Napoli e a 21 anni ha già fatto la sua scelta politica, si è iscritto alla sezione socialista di Portici, ha già iniziato la collaborazione ad “Avanguardia”, il giornale della gioventù socialista, e al foglio intransigente “La soffitta”, assieme a Lazzari e a Serrati nonché al foglio locale “La Voce di Castellamare”.
Si può dire che sia proprio questa sua sicurezza nei confronti della cultura, questa sua conoscenza della cultura borghese, a fornirgli la prima occasione di affermarsi a livello nazionale. Nel 1912, al congresso giovanile socialista di Bologna, e per lettera su “L'Unità” di Salvemini, inizia infatti una polemica con Angelo Tasca che non passa inosservata nel partito. E' la polemica che va sotto il nome di «culturista». Raccogliendo una idea salveminiana, Tasca ha accusato il partito socialista, i giovani in particolare, di essere incolti ed ha attribuito a questa incoltura i ritardi del movimento. Bordiga rifiuta questa posizione: il problema del socialismo, dice, non è quello di una cultura che è e resta borghese e che nessun riformismo riuscirà a cambiare, il vero problema del socialismo italiano è di trovare una sua unità ideologica e di azione, è di sconfiggere «il localismo e il particolarismo».
Il Bordiga del 1912 ha dunque già sufficientemente chiara la visione critica del vecchio partito che poi Gramsci chiamerà il Barnum, il grande vaso in cui si raccolgono le forze più disparate, dai sindacalisti rivoluzionari ai riformisti di destra. Non è questo il partito che può piacere all'intransigente napoletano il quale, sempre nel 1912, ha fondato il Circolo Carlo Marx assieme a Ruggero Grieco e a Oreste Lizzadri, primo strumento di una opposizione che durerà fino alla scissione socialista: «In tutto il periodo compreso tra il 1912 e il 1919» osserverà Andreina De Clementi «la sua vicenda si identificò con la storia della sua progressiva presa di coscienza... della estraneità del PSI ai principi marxisti».
Nella storia del comunisti ortodossi Bordiga appare solo nel 1921 e come antitesi del gruppo torinese ordinovista di Gramsci e Togliatti. Diciamo piuttosto, secondo la verità storica, che Bordiga, come Tasca, sono già noti nel partito socialista nel 1914 mentre Gramsci e soprattutto Togliatti sono degli illustri sconosciuti. Ma a parte la notorietà, a parte il peso dentro il partito, vi è fra il Bordiga e il Gramsci del 1914 un certo parallelismo. Entrambi sono mussoliniani come lo sono molti fra i giovani, entrambi vedono in Mussolini l'uomo che ha sbancato i riformisti del partito e che sembra capace di guidarlo in senso rivoluzionario. «Anche Bordiga» ammette la sua biografa De Clementi «aveva dato credito alla irruenza mussoliniana e tra i due si era stabilita una corrente di viva, reciproca simpatia, sfociata nella collaborazione del giovane napoletano alla rivista teorica Utopia». Dal congresso socialista di Ancona alla settimana rossa il giovane Bordiga segue Mussolini nella sua lotta contro i massoni e contro i riformisti. E' solo nell'ottobre del 1914 che questa alleanza si rompe sul tema dell'interventismo. E' già in corso la guerra mondiale fra gli imperi centrali, descritti come reazionari e feudali, e le democrazie occidentali, che passano per le continuatrici della rivoluzione francese, per le sostenitrici dei principi di indipendenza nazionale e di autodeterminazione dei popoli. Si tratta di definizioni molto opinabili così come sono opinabili i giudizi che si possono dare del conflitto; ma è su esso che il movimento socialista italiano si spacca una prima volta. Il partito socialista ha fatto della neutralità, del rifiuto della guerra il suo ubi consistam ideologico, il suo comune denominatore; e fa scandalo che improvvisamente il 24 ottobre del 1914 proprio il direttore dell' Avanti, Mussolini, la metta in dubbio, la discuta con un articolo che ha per titolo Per una neutralità attiva ed operante e qui finisce anche il parallelismo con Gramsci il quale invece commenta in modo quasi favorevole l'articolo mussoliniano e poi, con Togliatti, imbocca la strada dell'interventismo.
Bordiga, dicevamo, non ha esitazioni e non si limita ad articoli teorici. Scrive, con altri, Il soldo del soldato, un opuscolo destinato ai coscritti in cui si rifiuta ogni distinzione fra guerra offensiva e difensiva perché la guerra, comunque, è imperialista e volta allo sfruttamento del proletariato. Una tale guerra va sabotata, osteggiata. Sono le idee che un Bordiga isolato a Napoli, tagliato fuori dal movimento socialista internazionale, svilupperà nel corso del conflitto riscoprendo in certo senso il disfattismo rivoluzionario di Lenin.
Alla fine della guerra, cadute le prudenze imposte dal conflitto la sinistra socialista riprende con rinnovato ardore l'opposizione dentro il partito, e la sorregge, la sprona l'entusiasmo per la rivoluzione russa, per la nascita del primo stato socialista del mondo. Si vive in un periodo, è bene ricordarlo, in cui l'attesa rivoluzionaria si è diffusa in tutta Europa, in cui la fine del vecchio ordine pare imminente; e i giovani premono perché il partito si adegui, perché sia pronto. Bordiga e la sua corrente hanno preso il sopravvento a Napoli, il sindacato che controllano ha 7000 iscritti, il 22 dicembre è uscito il giornale di corrente “Il Soviet”, in cui il giovane leader espone le sue idee, sempre quelle: «il partito politico ... non è nel concetto nostro organo di conquiste elettorali per gli intellettuali che dirigono il movimento, ma è l'organo politico di una classe sociale che, solo affratellata in una collettività che superi gli individui, i gruppi, le categorie, le razze, le patrie, potrà dare e superare le sue definitive battaglie». L'eterno immutabile Bordiga del partito dei puri, rivoluzionario che farà dire a Zinoviev: «Voi siete come un palo telegrafico, siete sempre lì».
Cerchiamo di capire, per brevi tratti, la situazione del partito socialista nei primi anni del dopoguerra: la mobilitazione delle masse contadine ed operaie, le inquietudini della media e piccola borghesia, lo hanno ingigantito e al tempo stesso svuotato; ha conquistato moltissimi seggi nelle elezioni, è il partito con il maggior numero di iscritti ma è anche un partito che mira ai voti, ai municipi assai più che alla rivoluzione.
Non è questo partito che può piacere ai socialisti intransigenti riuniti attorno al Soviet di Bordiga, e neppure a quelli che leggono l' Ordine Nuovo a Torino e che hanno Gramsci come leader.
Ma i due gruppi hanno idee diverse su modo di uscire dalla crisi: Gramsci punta tutto sui consigli operai che prima si impadroniscono delle industrie e poi dell'intero Paese; Bordiga capisce invece che l'Italia non è Torino, che le avanguardie operaie non bastano a guidare le masse contadine, che bisogna creare un partito politico capace di arrivare alla conquista del potere politico. Posizioni polemiche, ma di reciproca stima intellettuale: Bordiga sale spesso a Torino per convincere Gramsci e gli ordinovisti e nasce fra i due un rapporto critico ma affettuoso. Bordiga non permetterà mai che si parli in sua presenza in termini spregiativi di Gramsci, e quando sarà al confino offrirà il suo aiuto disinteressato per la liberazione di Antonio.
Allorché finalmente, sotto la spinta di Lenin e della nuova internazionale comunista si arriva alla scissione di Livorno del 1921, Bordiga è l'incontrastato leader del partito e il dominatore del congresso. La storia sacra dei comunisti ortodossi arriverà a dire, come è noto, che Gramsci e Togliatti sono stati i fondatori del partito comunista, ma è vero il contrario; Togliatti è a Torino a fare il giornalista e Gramsci riesce a stento ad entrare nella direzione. E presto tutti gli ordinovisti, con la sola eccezione di Antonio, forse, sono degli accesi bordighisti, lo seguono nella sua linea intransigente. Impressiona, in questo Bordiga, la sicurezza in se stesso, il sentimento di indipendenza, la certezza di aver cercato e trovato una vita autonoma al socialismo. Gli dicono che Lenin è in disaccordo con lui sull'astensione dalle elezioni? Risponde: Lenin ed io siamo figli di Marx a parità di diritti. E la situazione russa non è quella italiana. Ai bolscevichi, ai rivoluzionari sovietici Bordiga appare come la personalità dominante del partito italiano. Dirà di lui Kamenev: «Amadeo è un leone».
Bordiga ha doti tribunizie, è un oratore trascinante. Gramsci è seguito soprattutto per la sua intelligenza, ma in Amadeo l'intelligenza si accompagna alla passione. E' uomo vivo, pieno, gran bevitore, gran mangiatore, quando capita in casa Maffi a Milano non dimentica di portare i dolci napoletani; ha sposato Ortensia, una compagna bella con occhi luminosi, grande combattente anche lei, pronta a «giustiziare» Mussolini quando tradisce il partito, capace di rifiutare la mano al comunista francese Cachin che giudica troppo spostato a destra. Bordiga non ha complessi di inferiorità neppure di fronte alla mitica Terza Internazionale meglio nota come Comintern. La divergenza compare quasi subito: l'Internazionale crede di poter pensare alla strategia generale del movimento a cui i singoli partiti devono adattarsi in modo tattico: il partito italiano per esempio tenga presente la situazione italiana di fascismo nascente e si adegui, cerchi una alleanza tattica con i socialisti. Bordiga non ci crede: per lui il fascismo non è che un aspetto del governo borghese; se viene il fascismo un buon comunista non deve rinunciare ai propri ideali gridando viva la democrazia che è l'altro aspetto del governo borghese; deve invece serrare le file, tenere in piedi l'organizzazione rivoluzionaria, e tenerla in piedi evitando le contaminazioni socialdemocratiche. E' certamente un errore: il fascismo passerà più facilmente con un antifascismo diviso e sarà in grado di distruggere tutte le organizzazioni rivoluzionarie. Bordiga, va però sottolineato, espone questa tesi prima della esperienza fascista e non è giusto giudicarlo con il senno di poi, sul metro di un fascismo rivelatosi alla nazione e al mondo come un fenomeno nuovo. Si tratta comunque di due posizioni, quella della Internazionale e quella di Bordiga, difficilmente conciliabili. Ma non è giusto, come si è fatto da parte dei comunisti staliniani, presentare Bordiga solo come un cocciuto schematico e astratto: Amadeo ha una sua idea del partito rivoluzionario che non ha più avuto alcuna possibilità di essere verificata da quando il movimento comunista ha rinunciato a quel tipo di rivoluzione.
Nel 1923, a marcia su Roma compiuta, Bordiga venne arrestato dai fascisti. Il partito dei «puri», come lo ha voluto, non ha opposto resistenza al colpo di stato fascista; si impone in extremis, la necessità di rovesciare la sua politica, di cercare una alleanza con i socialisti. Nel giugno del 1923 l'esecutivo allargato dell'Internazionale sconfessa Bordiga, e impone un rinnovamento della direzione in cui entrano i «destri» come Tasca e Vota. Amadeo, dal carcere, risponde con la abituale fierezza: «Non pretendo di rappresentare altro che il signor me stesso, ma dichiaro ... che non collaborerò in alcun modo al lavoro di direzione del partito. Dall'esecutivo sono lieto di essere già escluso ... Non mi dimetto da non so che cariche che mi hanno dato a Mosca, ma se dovessi uscire, non andrò laggiù neanche per poco tempo».
Il partito è lacerato, non vuole rompere con Mosca ma non vuole neppure ripudiare l'amato leader. L'operazione per estromettere Bordiga e i suoi fedelissimi dalla direzione sarà diretta da Gramsci, e durerà fino al 1925, con una lenta conquista dei quadri. Bordiga però non si dà per vinto e, se volesse, il suo ruolo all'Internazionale resterebbe di primo piano: il gruppo Bucharin-Stalin che dirige il partito russo non è sicuro di Gramsci, Bordiga potrebbe servire come carta di riserva. Ma Bordiga non è uomo da stretti calcoli di potere, Bordiga guarda alle questioni di fondo. Egli è il primo che abbia il coraggio di porre ai sovietici e a Stalin la domanda decisiva: «Dove sta andando l'Unione Sovietica?». Sta costruendo davvero il socialismo o sta fabbricando un colossale capitalismo di stato?
Il 1° marzo 1926 c'è fra Bordiga e Stalin un incontro storico. Bordiga chiede informazioni sui programmi industriali, sul modo socialista di industrializzare il paese e poi pone una domanda decisiva: «Il compagno Stalin pensa che lo sviluppo della situazione russa e dei problemi interni del partito russo è legato allo sviluppo del movimento proletario internazionale?». Come a dire: voi sovietici vi preoccupate ancora della rivoluzione mondiale o badate soltanto al socialismo nel vostro paese? E Stalin con sdegno, non sappiamo se sincero o simulato, risponde: «Questa domanda non mi è mai stata rivolta. Non avrei mai creduto che un comunista potesse rivolgermela. Dio vi perdoni di averlo fatto».
Uno scontro duro, dignitoso, non lo Stalin che umilia e ridicolizza Bordiga come si leggerà nella storia sacra togliattiana. Bordiga è così poco umiliato che ventiquattro ore dopo al VI Plenum dell'Internazionale pronuncia il solo vero discorso di opposizione entrando nel merito della questione russa, nel merito dei metodi russi: «In questi ultimi tempi si impiega nel partito uno sport che consiste a colpire, intervenire, spezzare, aggredire; ed in questi casi i colpiti sono spesso degli ottimi rivoluzionari. Trovo che questo sport del terrore nell'interno del partito non ha nulla di comune con il nostro lavoro... L'unità si giudica dai fatti, non da un regime di minaccia e di terrore. Quando gli elementi deviano in modo evidente dal cammino comune bisogna colpirli, ma se in una società l'applicazione del codice criminale diventa la regola, ciò significa che la società è imperfetta... Ci occorre assolutamente un regime più sano nel partito, è assolutamente necessario che si dia al partito la possibilità di costruire la sua opinione... Il partito russo lottava in condizioni speciali cioè in un paese in cui l'aristocrazia feudale non era stata ancora sopraffatta dalla borghesia capitalistica. E' necessario per noi sapere come si attacca uno stato democratico moderno...»
E' difficile immaginare una critica più pertinente al sistema staliniano in formazione, e una formulazione più esatta dei problemi fondamentali della rivoluzione dei Paesi avanzati.
Togliatti, che rappresenta a Mosca il partito italiano di Gramsci, se ne avvede e deve dire: «Avete sentito tutti Bordiga, e sembra che abbiate una certa simpatia per lui. Pone i problemi in modo sincero e pare avere la forza di un capo. Ma noi non crediamo che sia un grande capo rivoluzionario». E magari è così, ma resta aperta la questione se ai fini del socialismo sia stata più utile la sua intransigenza, o il realismo togliattiano. Bordiga, arrestato nel 1926, mandato al confino, viene espulso dal partito comunista nel 1930, dopo che Togliatti si è arreso senza condizioni a Stalin, e approfittando delle purghe che Stalin pretende in tutti i partiti dei presunti trotzkisti. La identificazione di Bordiga con Trotzki è quanto mai approssimativa e vale come tutte le altre identificazioni fra i nemici dello stalinismo.

Le calunnie degli stalinisti
Bordiga torna a Napoli, si dedica alla sua professione di ingegnere, e sopporta l'isolamento politico e la calunnia a cui i comunisti ortodossi lo sottopongono dall'esilio. L'odio e l'indignazione dei togliattiani nei riguardi dell'ex-leader sono artificiosi, fatti per compiacere Stalin, per rafforzare nei militanti di base l'odio verso l'eresia trotzkista. E nel periodo del peggiore stalinismo le requisitorie contro Bordiga si succederanno ossessivamente. Si arriva a scrivere che «l'avversione a Bordiga e al bordighismo è sempre stata profonda in Togliatti, direi quasi fisica». E poiché ha assistito al matrimonio di una nipote, a cui sono presenti anche dei fascisti, lo si accusa di essere «una canaglia trotzkista, protetto dalla polizia e dai fascisti».
In verità Bordiga vive isolato nel suo alloggio di corso Garibaldi a Napoli, e i suoi unici amici sono i comunisti, pochi, che non lo hanno abbandonato. Egli è convinto che l'uscita dallo stalinismo prenderà un tempo molto lungo, e sa che un uomo come lui non ha il minimo spazio: o lo reprimono i fascisti, o lo eliminano gli stalinisti. Meglio dunque attendere, e intanto ripensare il marxismo, ripensare il partito rivoluzionario.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale Bordiga prende atto che lo stalinismo non è finito, e che una sua uscita in campo aperto contro il partito togliattiano non avrebbe alcuna possibilità di successo. Ma è in questi anni fra il 1944 e il 1965 che svolge un enorme lavoro ideologico, scrivendo su “Programma comunista” e compilando saggi come il Dialogato con Stalin del 1953 e Dialogato coi morti del 1956, in polemica con Krusciov.
A Napoli egli ha più ammiratori che compagni di partito, i militanti più numerosi sono al nord. Negli ultimi anni Bordiga era stato colpito da una paresi, ma continua a pensare, a scrivere, a parlare come si è visto in una drammatica intervista televisiva trasmessa post mortem.
Il breve abbozzo biografico di Amadeo Bordiga si ferma qui. Certamente l'uomo non è stato mondo di difetti e di errori come pretenderebbero i suoi seguaci. Certamente alla prova del fascismo Bordiga ha compiuto errori gravi di analisi e di scelta tattica, ma da tutti i suoi scritti, da tutti i suoi atti emana una intelligenza sincera, generosa, nobile, che lo accomuna più a Gramsci che a Togliatti. E che comunque gli merita un giudizio più equo e una storia più onesta di quelli usciti fin qui dal partito comunista togliattiano.


Storia Illustrata, n. 189, agosto 1973.   

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