Quello che segue è un
bel profilo di Amedeo Bordiga, opera di Giorgio Bocca. Il taglio è giornalistico: i problemi teorici sono semplificati e
affrontati con disinvoltura e alcuni passaggi sono discutibili
più per le omissioni che per le affermazioni (del presunto
interventismo di Gramsci, ad esempio, non si spiega che durò
pochissime settimane e che, come redattore del “Grido del popolo”,
l'intellettuale sardo decisamente combatté nei primi mesi del 1915
le attività degli interventisti di destra e di sinistra). Ciò
detto, lo scritto di Bocca per “Storia Illustrata”, cui collaborò
per le ricerche la futura moglie del giornalista, Silvia Giacomoni,
va apprezzato perché demolisce molti luoghi comuni e restituisce a
Bordiga spessore e umanità. Un caro compagno, Maurizio Fratta, mi ha
fatto notare, a proposito di un altro “post” su Bordiga, come
pochi valorizzino un aspetto importante della sua ricerca teorica, la
denuncia della quantità enorme di merci inutili o dannose prodotte
dal capitalismo marcescente, che anticipa le tematiche ecologiste e
la problematica della decrescita. Ha ragione: “posterò” qualcosa
sull'argomento nei prossimi mesi. (S.L.L.)
Amadeo Bordiga |
Per lunghi anni Amadeo
Bordiga è stato il «diavolo» del nostro comunismo ortodosso,
l'equivalente italiano di Trotzki, il nemico, l'eretico; e siccome il
comunismo italiano ortodosso ha avuto ed ha il monopolio dei
documenti e degli archivi, siccome anche la revisione critica su
Bordiga è passata e passa, in gran parte, attraverso i canali
storici del PCI, si corre anche oggi il rischio di dare di Amadeo
Bordiga una immagine deformata, come del resto lo si corre con
Gramsci e con Togliatti, Abbiamo cercato perciò, nei limiti
dell'abbozzo biografico di tenere presente anche una conversazione
con Bruno Maffi, uno dei «figli di Bordiga» e storico della
sinistra comunista.
Come Togliatti, come
Gramsci, come quasi tutti i dirigenti comunisti, Amadeo Bordiga è di
estrazione borghese: nasce il 13 giugno 1889 a Resina dal professor
Oreste, un piemontese sceso a Portici alla scuola agraria; la madre
invece è fiorentina e nobildonna; ricorderà Ruggero Grieco nel
1923, nel saluto a Bordiga, arrestato dai fascisti, che «agli agi
della sua famiglia di antica nobiltà... ha preferito farsi
condottiero di masse». Non è qui il caso di ricostruire nei
dettagli la fanciullezza e la gioventù di Amadeo; basterà ai fini
di questo ritratto dire che egli è, naturaliter, una persona
colta, abituata alla frequentazione degli intellettuali, il che gli
consentirà fin dai primi anni della attività politica e
giornalistica di guardare alla cultura del suo tempo con sufficiente
distacco, senza infatuazioni e venerazioni, scegliendovi liberamente
i suoi interessi: «Non aveva letto» ricorderà Giuseppe Berti «una
pagina di Croce e di Gentile - se ne vantava , ed era vero - trovava
il positivismo infastidente ed approssimativo, gli sembrava che come
filosofia il marxismo largamente bastasse».
Gli studi universitari in
ingegneria lo portano a Pavia e poi a Napoli e a 21 anni ha già
fatto la sua scelta politica, si è iscritto alla sezione socialista
di Portici, ha già iniziato la collaborazione ad “Avanguardia”,
il giornale della gioventù socialista, e al foglio intransigente “La
soffitta”, assieme a Lazzari e a Serrati nonché al foglio locale
“La Voce di Castellamare”.
Si può dire che sia
proprio questa sua sicurezza nei confronti della cultura, questa sua
conoscenza della cultura borghese, a fornirgli la prima occasione di
affermarsi a livello nazionale. Nel 1912, al congresso giovanile
socialista di Bologna, e per lettera su “L'Unità” di Salvemini,
inizia infatti una polemica con Angelo Tasca che non passa
inosservata nel partito. E' la polemica che va sotto il nome di
«culturista». Raccogliendo una idea salveminiana, Tasca ha accusato
il partito socialista, i giovani in particolare, di essere incolti ed
ha attribuito a questa incoltura i ritardi del movimento. Bordiga
rifiuta questa posizione: il problema del socialismo, dice, non è
quello di una cultura che è e resta borghese e che nessun riformismo
riuscirà a cambiare, il vero problema del socialismo italiano è di
trovare una sua unità ideologica e di azione, è di sconfiggere «il
localismo e il particolarismo».
Il Bordiga del 1912 ha
dunque già sufficientemente chiara la visione critica del vecchio
partito che poi Gramsci chiamerà il Barnum, il grande vaso in cui si
raccolgono le forze più disparate, dai sindacalisti rivoluzionari ai
riformisti di destra. Non è questo il partito che può piacere
all'intransigente napoletano il quale, sempre nel 1912, ha fondato il
Circolo Carlo Marx assieme a Ruggero Grieco e a Oreste Lizzadri,
primo strumento di una opposizione che durerà fino alla scissione
socialista: «In tutto il periodo compreso tra il 1912 e il 1919»
osserverà Andreina De Clementi «la sua vicenda si identificò con
la storia della sua progressiva presa di coscienza... della
estraneità del PSI ai principi marxisti».
Nella storia del
comunisti ortodossi Bordiga appare solo nel 1921 e come antitesi del
gruppo torinese ordinovista di Gramsci e Togliatti. Diciamo
piuttosto, secondo la verità storica, che Bordiga, come Tasca, sono
già noti nel partito socialista nel 1914 mentre Gramsci e
soprattutto Togliatti sono degli illustri sconosciuti. Ma a parte la
notorietà, a parte il peso dentro il partito, vi è fra il Bordiga e
il Gramsci del 1914 un certo parallelismo. Entrambi sono mussoliniani
come lo sono molti fra i giovani, entrambi vedono in Mussolini l'uomo
che ha sbancato i riformisti del partito e che sembra capace di
guidarlo in senso rivoluzionario. «Anche Bordiga» ammette la sua
biografa De Clementi «aveva dato credito alla irruenza mussoliniana
e tra i due si era stabilita una corrente di viva, reciproca
simpatia, sfociata nella collaborazione del giovane napoletano alla
rivista teorica Utopia». Dal congresso socialista di Ancona alla
settimana rossa il giovane Bordiga segue Mussolini nella sua lotta
contro i massoni e contro i riformisti. E' solo nell'ottobre del 1914
che questa alleanza si rompe sul tema dell'interventismo. E' già in
corso la guerra mondiale fra gli imperi centrali, descritti come
reazionari e feudali, e le democrazie occidentali, che passano per le
continuatrici della rivoluzione francese, per le sostenitrici dei
principi di indipendenza nazionale e di autodeterminazione dei
popoli. Si tratta di definizioni molto opinabili così come sono
opinabili i giudizi che si possono dare del conflitto; ma è su esso
che il movimento socialista italiano si spacca una prima volta. Il
partito socialista ha fatto della neutralità, del rifiuto della
guerra il suo ubi consistam ideologico, il suo comune
denominatore; e fa scandalo che improvvisamente il 24 ottobre del
1914 proprio il direttore dell' Avanti, Mussolini, la metta in
dubbio, la discuta con un articolo che ha per titolo Per una
neutralità attiva ed operante e qui finisce anche il
parallelismo con Gramsci il quale invece commenta in modo quasi
favorevole l'articolo mussoliniano e poi, con Togliatti, imbocca la
strada dell'interventismo.
Bordiga, dicevamo, non ha
esitazioni e non si limita ad articoli teorici. Scrive, con altri, Il
soldo del soldato, un opuscolo destinato ai coscritti in cui si
rifiuta ogni distinzione fra guerra offensiva e difensiva perché la
guerra, comunque, è imperialista e volta allo sfruttamento del
proletariato. Una tale guerra va sabotata, osteggiata. Sono le idee
che un Bordiga isolato a Napoli, tagliato fuori dal movimento
socialista internazionale, svilupperà nel corso del conflitto
riscoprendo in certo senso il disfattismo rivoluzionario di Lenin.
Alla fine della guerra,
cadute le prudenze imposte dal conflitto la sinistra socialista
riprende con rinnovato ardore l'opposizione dentro il partito, e la
sorregge, la sprona l'entusiasmo per la rivoluzione russa, per la
nascita del primo stato socialista del mondo. Si vive in un periodo,
è bene ricordarlo, in cui l'attesa rivoluzionaria si è diffusa in
tutta Europa, in cui la fine del vecchio ordine pare imminente; e i
giovani premono perché il partito si adegui, perché sia pronto.
Bordiga e la sua corrente hanno preso il sopravvento a Napoli, il
sindacato che controllano ha 7000 iscritti, il 22 dicembre è uscito
il giornale di corrente “Il Soviet”, in cui il giovane leader
espone le sue idee, sempre quelle: «il partito politico ... non è
nel concetto nostro organo di conquiste elettorali per gli
intellettuali che dirigono il movimento, ma è l'organo politico di
una classe sociale che, solo affratellata in una collettività che
superi gli individui, i gruppi, le categorie, le razze, le patrie,
potrà dare e superare le sue definitive battaglie». L'eterno
immutabile Bordiga del partito dei puri, rivoluzionario che farà
dire a Zinoviev: «Voi siete come un palo telegrafico, siete sempre
lì».
Cerchiamo di capire, per
brevi tratti, la situazione del partito socialista nei primi anni del
dopoguerra: la mobilitazione delle masse contadine ed operaie, le
inquietudini della media e piccola borghesia, lo hanno ingigantito e
al tempo stesso svuotato; ha conquistato moltissimi seggi nelle
elezioni, è il partito con il maggior numero di iscritti ma è anche
un partito che mira ai voti, ai municipi assai più che alla
rivoluzione.
Non è questo partito che
può piacere ai socialisti intransigenti riuniti attorno al Soviet di
Bordiga, e neppure a quelli che leggono l' Ordine Nuovo a Torino e
che hanno Gramsci come leader.
Ma i due gruppi hanno
idee diverse su modo di uscire dalla crisi: Gramsci punta tutto sui
consigli operai che prima si impadroniscono delle industrie e poi
dell'intero Paese; Bordiga capisce invece che l'Italia non è Torino,
che le avanguardie operaie non bastano a guidare le masse contadine,
che bisogna creare un partito politico capace di arrivare alla
conquista del potere politico. Posizioni polemiche, ma di reciproca
stima intellettuale: Bordiga sale spesso a Torino per convincere
Gramsci e gli ordinovisti e nasce fra i due un rapporto critico ma
affettuoso. Bordiga non permetterà mai che si parli in sua presenza
in termini spregiativi di Gramsci, e quando sarà al confino offrirà
il suo aiuto disinteressato per la liberazione di Antonio.
Allorché finalmente,
sotto la spinta di Lenin e della nuova internazionale comunista si
arriva alla scissione di Livorno del 1921, Bordiga è l'incontrastato
leader del partito e il dominatore del congresso. La storia sacra dei
comunisti ortodossi arriverà a dire, come è noto, che Gramsci e
Togliatti sono stati i fondatori del partito comunista, ma è vero il
contrario; Togliatti è a Torino a fare il giornalista e Gramsci
riesce a stento ad entrare nella direzione. E presto tutti gli
ordinovisti, con la sola eccezione di Antonio, forse, sono degli
accesi bordighisti, lo seguono nella sua linea intransigente.
Impressiona, in questo Bordiga, la sicurezza in se stesso, il
sentimento di indipendenza, la certezza di aver cercato e trovato una
vita autonoma al socialismo. Gli dicono che Lenin è in disaccordo
con lui sull'astensione dalle elezioni? Risponde: Lenin ed io siamo
figli di Marx a parità di diritti. E la situazione russa non è
quella italiana. Ai bolscevichi, ai rivoluzionari sovietici Bordiga
appare come la personalità dominante del partito italiano. Dirà di
lui Kamenev: «Amadeo è un leone».
Bordiga ha doti
tribunizie, è un oratore trascinante. Gramsci è seguito soprattutto
per la sua intelligenza, ma in Amadeo l'intelligenza si accompagna
alla passione. E' uomo vivo, pieno, gran bevitore, gran mangiatore,
quando capita in casa Maffi a Milano non dimentica di portare i dolci
napoletani; ha sposato Ortensia, una compagna bella con occhi
luminosi, grande combattente anche lei, pronta a «giustiziare»
Mussolini quando tradisce il partito, capace di rifiutare la mano al
comunista francese Cachin che giudica troppo spostato a destra.
Bordiga non ha complessi di inferiorità neppure di fronte alla
mitica Terza Internazionale meglio nota come Comintern. La divergenza
compare quasi subito: l'Internazionale crede di poter pensare alla
strategia generale del movimento a cui i singoli partiti devono
adattarsi in modo tattico: il partito italiano per esempio tenga
presente la situazione italiana di fascismo nascente e si adegui,
cerchi una alleanza tattica con i socialisti. Bordiga non ci crede:
per lui il fascismo non è che un aspetto del governo borghese; se
viene il fascismo un buon comunista non deve rinunciare ai propri
ideali gridando viva la democrazia che è l'altro aspetto del governo
borghese; deve invece serrare le file, tenere in piedi
l'organizzazione rivoluzionaria, e tenerla in piedi evitando le
contaminazioni socialdemocratiche. E' certamente un errore: il
fascismo passerà più facilmente con un antifascismo diviso e sarà
in grado di distruggere tutte le organizzazioni rivoluzionarie.
Bordiga, va però sottolineato, espone questa tesi prima della
esperienza fascista e non è giusto giudicarlo con il senno di poi,
sul metro di un fascismo rivelatosi alla nazione e al mondo come un
fenomeno nuovo. Si tratta comunque di due posizioni, quella della
Internazionale e quella di Bordiga, difficilmente conciliabili. Ma
non è giusto, come si è fatto da parte dei comunisti staliniani,
presentare Bordiga solo come un cocciuto schematico e astratto:
Amadeo ha una sua idea del partito rivoluzionario che non ha più
avuto alcuna possibilità di essere verificata da quando il movimento
comunista ha rinunciato a quel tipo di rivoluzione.
Nel 1923, a marcia su
Roma compiuta, Bordiga venne arrestato dai fascisti. Il partito dei
«puri», come lo ha voluto, non ha opposto resistenza al colpo di
stato fascista; si impone in extremis, la necessità di rovesciare la
sua politica, di cercare una alleanza con i socialisti. Nel giugno
del 1923 l'esecutivo allargato dell'Internazionale sconfessa Bordiga,
e impone un rinnovamento della direzione in cui entrano i «destri»
come Tasca e Vota. Amadeo, dal carcere, risponde con la abituale
fierezza: «Non pretendo di rappresentare altro che il signor me
stesso, ma dichiaro ... che non collaborerò in alcun modo al lavoro
di direzione del partito. Dall'esecutivo sono lieto di essere già
escluso ... Non mi dimetto da non so che cariche che mi hanno dato a
Mosca, ma se dovessi uscire, non andrò laggiù neanche per poco
tempo».
Il partito è lacerato,
non vuole rompere con Mosca ma non vuole neppure ripudiare l'amato
leader. L'operazione per estromettere Bordiga e i suoi fedelissimi
dalla direzione sarà diretta da Gramsci, e durerà fino al 1925, con
una lenta conquista dei quadri. Bordiga però non si dà per vinto e,
se volesse, il suo ruolo all'Internazionale resterebbe di primo
piano: il gruppo Bucharin-Stalin che dirige il partito russo non è
sicuro di Gramsci, Bordiga potrebbe servire come carta di riserva. Ma
Bordiga non è uomo da stretti calcoli di potere, Bordiga guarda alle
questioni di fondo. Egli è il primo che abbia il coraggio di porre
ai sovietici e a Stalin la domanda decisiva: «Dove sta andando
l'Unione Sovietica?». Sta costruendo davvero il socialismo o sta
fabbricando un colossale capitalismo di stato?
Il 1° marzo 1926 c'è
fra Bordiga e Stalin un incontro storico. Bordiga chiede informazioni
sui programmi industriali, sul modo socialista di industrializzare il
paese e poi pone una domanda decisiva: «Il compagno Stalin pensa che
lo sviluppo della situazione russa e dei problemi interni del partito
russo è legato allo sviluppo del movimento proletario
internazionale?». Come a dire: voi sovietici vi preoccupate ancora
della rivoluzione mondiale o badate soltanto al socialismo nel vostro
paese? E Stalin con sdegno, non sappiamo se sincero o simulato,
risponde: «Questa domanda non mi è mai stata rivolta. Non avrei mai
creduto che un comunista potesse rivolgermela. Dio vi perdoni di
averlo fatto».
Uno scontro duro,
dignitoso, non lo Stalin che umilia e ridicolizza Bordiga come si
leggerà nella storia sacra togliattiana. Bordiga è così poco
umiliato che ventiquattro ore dopo al VI Plenum dell'Internazionale
pronuncia il solo vero discorso di opposizione entrando nel merito
della questione russa, nel merito dei metodi russi: «In questi
ultimi tempi si impiega nel partito uno sport che consiste a colpire,
intervenire, spezzare, aggredire; ed in questi casi i colpiti sono
spesso degli ottimi rivoluzionari. Trovo che questo sport del terrore
nell'interno del partito non ha nulla di comune con il nostro
lavoro... L'unità si giudica dai fatti, non da un regime di minaccia
e di terrore. Quando gli elementi deviano in modo evidente dal
cammino comune bisogna colpirli, ma se in una società l'applicazione
del codice criminale diventa la regola, ciò significa che la società
è imperfetta... Ci occorre assolutamente un regime più sano nel
partito, è assolutamente necessario che si dia al partito la
possibilità di costruire la sua opinione... Il partito russo lottava
in condizioni speciali cioè in un paese in cui l'aristocrazia
feudale non era stata ancora sopraffatta dalla borghesia
capitalistica. E' necessario per noi sapere come si attacca uno stato
democratico moderno...»
E' difficile immaginare
una critica più pertinente al sistema staliniano in formazione, e
una formulazione più esatta dei problemi fondamentali della
rivoluzione dei Paesi avanzati.
Togliatti, che
rappresenta a Mosca il partito italiano di Gramsci, se ne avvede e
deve dire: «Avete sentito tutti Bordiga, e sembra che abbiate una
certa simpatia per lui. Pone i problemi in modo sincero e pare avere
la forza di un capo. Ma noi non crediamo che sia un grande capo
rivoluzionario». E magari è così, ma resta aperta la questione se
ai fini del socialismo sia stata più utile la sua intransigenza, o
il realismo togliattiano. Bordiga, arrestato nel 1926, mandato al
confino, viene espulso dal partito comunista nel 1930, dopo che
Togliatti si è arreso senza condizioni a Stalin, e approfittando
delle purghe che Stalin pretende in tutti i partiti dei presunti
trotzkisti. La identificazione di Bordiga con Trotzki è quanto mai
approssimativa e vale come tutte le altre identificazioni fra i
nemici dello stalinismo.
Le calunnie degli
stalinisti
Bordiga torna a Napoli,
si dedica alla sua professione di ingegnere, e sopporta l'isolamento
politico e la calunnia a cui i comunisti ortodossi lo sottopongono
dall'esilio. L'odio e l'indignazione dei togliattiani nei riguardi
dell'ex-leader sono artificiosi, fatti per compiacere Stalin, per
rafforzare nei militanti di base l'odio verso l'eresia trotzkista. E
nel periodo del peggiore stalinismo le requisitorie contro Bordiga si
succederanno ossessivamente. Si arriva a scrivere che «l'avversione
a Bordiga e al bordighismo è sempre stata profonda in Togliatti,
direi quasi fisica». E poiché ha assistito al matrimonio di una
nipote, a cui sono presenti anche dei fascisti, lo si accusa di
essere «una canaglia trotzkista, protetto dalla polizia e dai
fascisti».
In verità Bordiga vive
isolato nel suo alloggio di corso Garibaldi a Napoli, e i suoi unici
amici sono i comunisti, pochi, che non lo hanno abbandonato. Egli è
convinto che l'uscita dallo stalinismo prenderà un tempo molto
lungo, e sa che un uomo come lui non ha il minimo spazio: o lo
reprimono i fascisti, o lo eliminano gli stalinisti. Meglio dunque
attendere, e intanto ripensare il marxismo, ripensare il partito
rivoluzionario.
Alla fine della Seconda
Guerra Mondiale Bordiga prende atto che lo stalinismo non è finito,
e che una sua uscita in campo aperto contro il partito togliattiano
non avrebbe alcuna possibilità di successo. Ma è in questi anni fra
il 1944 e il 1965 che svolge un enorme lavoro ideologico, scrivendo
su “Programma comunista” e compilando saggi come il Dialogato
con Stalin del 1953 e Dialogato coi morti del 1956, in
polemica con Krusciov.
A Napoli egli ha più
ammiratori che compagni di partito, i militanti più numerosi sono al
nord. Negli ultimi anni Bordiga era stato colpito da una paresi, ma
continua a pensare, a scrivere, a parlare come si è visto in una
drammatica intervista televisiva trasmessa post mortem.
Il breve abbozzo
biografico di Amadeo Bordiga si ferma qui. Certamente l'uomo non è
stato mondo di difetti e di errori come pretenderebbero i suoi
seguaci. Certamente alla prova del fascismo Bordiga ha compiuto
errori gravi di analisi e di scelta tattica, ma da tutti i suoi
scritti, da tutti i suoi atti emana una intelligenza sincera,
generosa, nobile, che lo accomuna più a Gramsci che a Togliatti. E
che comunque gli merita un giudizio più equo e una storia più
onesta di quelli usciti fin qui dal partito comunista togliattiano.
Storia Illustrata, n.
189, agosto 1973.
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