26.10.14

Partecipazioni statali e privatizzazioni. Dall'IRI a Berlusconi (Galapagos)

Chiaro e puntuale è l'articolo rievocativo di Galapagos (Roberto Tesi) per uno speciale del “manifesto”, che nella sua brevità mi pare cogliere i passaggi decisivi di un processo. (S.L.L.)
DONATO MENICHELLA (1896 - 1984)

Si racconta che nel 1937 Donato Menichella, direttore generale dell’Iri, convocasse i principali industriali italiani per cercare di trattare lo smobilizzo (cioè la privatizzazione) di alcune imprese italiane finite in mano pubblica a seguito della crisi del ‘29. Una delle aziende offerte era la Timo, una delle compagnie telefoniche, ma la risposta degli interlocutori fu «No grazie: è un settore senza futuro». Una dimostrazione di cecità dei «padroni del vapore» per dirla con Ernesto Rossi. Padroni abituati a fare affari unicamente con le forniture allo stato e con i monopoli. E 50 anni più tardi, al momento della privatizzazione della Telecom, i padroni si dimostrarono altrettanto miopi. Salvo
poi scatenarsi per impadronirsi (a debito) del colosso italiano delle telecomunicazioni.

Nasce l’Iri
Il fascismo si ritrovò per le mani – a metà degli anni ‘30 - buona parte dell’industria (e non solo) italiana. Tutto iniziò con la nascita dell’Iri - Istituto per la ricostruzione industriale - nel gennaio del 1934. Alla vigilia della seconda guerra mondiale controllava – oltre a imprese storicamente pubbliche, come ferrovie e poste - ampie porzioni dell’industria nazionale e del sistema creditizio, in particolare nei settori ad alta intensità di capitale con imprese di grandi dimensioni:
Vale la pena ricordare alcune percentuali di questo controllo.
  • 100% della siderurgia bellica (Terni, Ansaldo, Cogne)
  • 40% della siderurgia comune
  • 80-90% delle costruzioni navali
  • 30% dell’industria elettrica
  • 25% dell’industria meccanica
  • 20% dell’industria del rayon
  • 15% dell’industria chimica
  • 15% dell’industria cotoniera
  • 80% del settore bancario (con le tre principali banche italiane: Banca commerciale italiana, Credito italiano, Banco di Roma alle quali si aggiungevano le grandi banche di interesse nazionale).
Evidente come il capitale privato, uscito massacrato dalla grande crisi, si era ridotto a poca cosa.

Il miracolo dell’economia pubblica
Il dopoguerra non porta cambiamenti. Anzi. L’Iri si «allarga» ed espande la sua sfera di intervento diversificando la propria presenza in molteplici settori dell’economia italiana, ma soprattutto assumendo un ruolo fondamentale nella politica economica: le partecipazioni statali diventano infatti protagoniste dei nuovi complessi obiettivi delle politiche keynesiane e di indirizzo del mercato (riequilibri settoriali, riequilibrio nord-sud, gestione anticiclica della spesa pubblica), fino all’assunzione di obiettivi generali come la politica dell’occupazione e di investimenti in localizzazioni industriali svantaggiose.
Sulla strada della modernizzazione e della competitività del sistema industriale sono molto importanti i risultati conseguiti nel settore siderurgico a ciclo integrale e le prime realizzazioni nel settore energetico. Nel 1950 viene avviato il programma per la costruzione della rete autostradale con la costituzione della Società Autostrade, viene potenziato il settore navale e quello telefonico. Inoltre si creano nuovi campi di attività diretta: la radiotelevisione con l’Eiar (che diventò poi la Rai), i trasporti aerei con l’Alitalia e la produzione del cemento con la Cementir. Di più: nel 1953 viene creato l’Eni (Ente nazionale idrocarburi) con il quale Enrico Mattei puntava all’indipendenza energetica del paese. Nella seconda metà di quel decennio l’intero sistema delle partecipazioni dello Stato venne coinvolto nel programma di sviluppo del Mezzogiorno: furono avviati nuovi impianti siderurgici a Taranto, una nuova linea dell’Alfa Romeo a Pomigliano, nuovi investimenti nelle industrie meccaniche, cantieristiche e dell’ingegneria impiantistica. Purtroppo i risultati non furono quelli sperati: la dicotomia con il Nord cresceva.
Il «miracolo» italiano fu, copmunque, soprattutto opera dell’economia pubblica e dell’economia mista. Le Ppss rompono progressivamente il cordone ombelicale che le legava alla Confindustria. Inizialmente (il 22 luglio del 1954) con una direttiva del governo che vieta ai vertici dell’Iri di assumere incarichi nell’organizzazione confindusriale; la tappa successiva (il 22 dicembre del ‘56) fu la nascita del Ministero delle Partecipazioni statali. Infine nel 1958 si diede vita all’alternativa della Confindustria: l’Intersind, la Confederazione sindacale delle imprese pubbliche. Intanto, sempre nel 1954, l’Eni di Mattei rileva la Pignone che poi sarà ceduta alla General Electrics. Nel 1958 vengono creati tre nuovi enti di gestione statale: l’Eagat (per le aziende termali), l’Egam (per il settore minerario) e l’Eagc (per il cinema). Nel 1960 Enrico Mattei pressato da Giorgio La Pira (come nel 1954 per la Pignone) rileva le Officine Galileo di Firenze (settore ottico) dalla Sade (responsabile della strage del Vajont) che voleva licenziare oltre 900 dipendenti. Nel 1962 il sistema pubblico si allarga ulteriormente con la nazionalizzazione dell’industria elettrica. Le attività dell’holding Sme (Società meridionale di elettricità) vengono trasferite dall’Iri all’Enel e la Sme inizia a assumere partecipazioni nel settore alimentare.
A metà degli anni ‘60 l’Iri è uno dei principali gruppi europei ed è al terzo posto in Italia (dopo Fiat e Montedison) per utili netti. Si autofinanzia grazie agli utili elevati e ai prestiti obbligazionari.
Nel 1965 l’Iri cede alla Montecatini (in mano ai privati) la Edison: nascerà la Montedison, seconda società italiana per dimensione dopo la Fiat.

Primi segnali di crisi
L’elevato tasso di crescita dell’Italia (5,8% l’anno tra il 1950 e il 1970) mette a tacere tutte le polemiche sul controllo pubblico sull’economia italiana. Ma ai primi segnali di forte rallentamento della crescita si riaccende il dibattito (a livello internazionale) sulla necessità di privatizzazioni che rilancino il capitalismo privato che grazie alla maggiore efficienza avrebbe ridato slancio all’economia. C’è da dire che comincia ad aumentare il costo del lavoro e al tempo stesso l’Italia comincia a subire la concorrenza estera.
Sulla fine degli anni ‘60 molte imprese vanno in crisi: l’Iri comincia a assumere le sembianze di un carrozzone che rileva dal fallimento molte società e settori eterogenei: gelati, panettoni (nel ‘68 la Sme acquisisce il 35% della Motta), pelati, aerei e settore nucleare.
Nel 1971 per la prima volta l’Iri va in perdita. È il primo shock petrolifero (alla fine del 1973) a dare fiato ai fautori del capitale privato. Gli anni ‘70 sono anni di forti conflitti sociali che coinvolgono soprattutto le imprese pubbliche sulle quali, oltretutto, cominciano a scatenarsi gli appetiti politici. Alle imprese pubbliche vengono affidati compiti di politica anti-ciclica, che sarebbe dovuta essere gestita direttamente dallo stato. Il risultato è una crescita dell’inefficienza e una caduta della produttività.
Di più: l’inflazione rende estremamente alti gli oneri finanziari (nel 1975 toccano il 16% del fatturato) e aumentano i costi delle materie prime e dell’energia.
Si fanno strada parole d’ordine assurde come «piccolo è bello». Falso: fin da allora era evidente la mancanza di una politica di innovazione che rendesse più competitive le imprese italiane che vivacchiavano puntando tutto sulla flessibilità del cambio. Cioè sulle continue svalutazioni. Ma nessun governo concretamente si muove per avviare processi di privatizzazione. L’unica eccezione (il 6 novembre del 1986) è la vendita agli Agnelli dell’Alfa Romeo reduce tra l’altro dalla sciagurata
alleanza produttiva nel 1980 con la giapponese Nissan. La Fiat, con l’acquisto anche della Lancia, diventa l’unico produttore in Italia di auto.
Con Prodi presidente dell’Iri va invece a vuoto - nel 1985 - il tentativo di cessione della Sme (settore alimentare) a Carlo De Benedetti.
A partire dal 1983, tuttavia, vengono realizzate alcune dismissioni.

Un debito enorme
La situazione dell’Iri intanto è diventata drammatica: nel 1977 ha 530 mila dipendenti: è vero che due anni dopo realizza un fatturato di 16 mila miliardi di lire, ma con quasi 1.500 miliardi di perdite (800 solo dalla Finsider e 200 dalla Fimneccanica che controlla l’Alfa Romeo). Il tutto con 20 mila miliardi di debiti consolidati.
Nel 1981 i debiti dell’Iri salgono a 30 mila miliardi (11.300 della Finsider). In perdita (621 miliardi) anche la Stet rimasta indietro con i piani di sviluppo.
Nell’82 il fatturato Iri sale a 35 mila miliardi, ma gli oneri finanziari toccano i 5 mila miliardi, le perdite sfiorano i 2500 miliardi, il debito consolidato sfiora i 35 mila miliardi, mentre i dipendenti sono saliti a 550 mila. A fine anno Romano Prodi viene nominato presidente dell’Iri.
Nel 1983 inizia la fase di ristrutturazione: vengono prepensionati 20 mila dipendenti del settore dell’acciaio, ma intanto le perdite superano i 3 mila miliardi, gli oneri finanziari a 5.800 miliardi contro un fatturato salito a 42.300 miliardi. Solo nel 1984 le perdite «scendono» a 2.737 miliardi.
Nel 1985 il fondo di dotazione dell’Iri viene aumentato di 3.500 miliardi (5 mila miliardi erano stati immessi nell’84 e altri 3.500 miliardi lo saranno nel 1986). In totale durante la presidenza Prodi vengono versati 17.700 miliardi.
Intanto procedono le dismissioni tra le quali l’Ansaldo Motori e la Ducati Meccanica: le perdite si riducono a 980 miliardi. Procede il processo di riduzione dei dipendenti: a fine ‘87 erano 420 mila e nel 1988 l’Iri torna in utile, grazie a sistemi un po’ particolari di imputazione delle svalutazioni per perdite delle società controllate. Sempre nell’87 viene collocata in borsa la società Autostrade, mentre la Cementir viene ceduta al gruppo Caltagirone per 480 miliardi.
Nel 1992 viene abrogato - con un referendum - il Ministero delle partecipazioni statali. La legge Amato trasforma in Spa gli Istituti di diritto pubblico e le casse di risparmio, anche se le Fondazioni seguitano a controllare quasi tutte le nuove Spa. C’è molto movimento nel settore bancario: si realizza una prima grande fusione: tra Banco di Roma, Banco di Santo Spirito e Cassa di Risparmio di Roma. Nasce la Banca di Roma controllata al 65% dalla Fondazione Cassa di Roma e per il 35% dall’Iri. Che nel frattempo (11 luglio) cessa di essere un ente pubblico economico e si trasforma in Società per azioni. Intanto tornano a esplodere le perdite dell’Iri, ora Spa: 10.200 miliardi (oltre 70 mila miliardi il debito consolidato), dei quali 2.250 provenienti dalla sola gestione dell’Ilva, nata nel 1989 per le attività del settore siderurgico. L’economia italiana è a pezzi: la lira viene attaccata (con la sterlina) e viene varata una manovra correttiva gigantesca: circa 90 mila miliardi.

Arriva «mani pulite»
Di fatto l’unico settore pubblico che fa utili è quello bancario: e sulla dismissione della banche si punta decisamente per fare cassa e ottenere capitali da impiegare nei settori delle Partecipazioni statali in perdita. Ormai sono in molti a richiedere un ampio processo di privatizzazione. Le cause sono molteplici. La prima è in «mani pulite»: l’inchiesta milanese del pool dimostra l’ intreccio tra la politica e il mondo dell’economia. Nelle partecipazioni statali sono stati infiltrati manager legati strettamente ai partiti e quote delle tangenti finiscono nelle casse dei partiti. In realtà anche il settore privato è coinvolto in «mani pulite», ma questo non scoraggia i fautori della maggiore efficienza del settore privato. Un colpo di grazia lo dà l’arresto di Franco Nobili (il 12 maggio del ‘93) coinvolto nell’inchiesta «mani pulite», successore di Prodi alla guida dell’Iri. Il quale Prodi viene richiamato con grandi consensi a succedere a Nobili. Altro fatto che fa scalpore è l’arresto e il successivo suicidio in carcere di Gabriele Cagliari, area Psi, presidente dell’Eni. Il suo suicidio è del 20 agosto
del 1993. Un anno prima, il 2 settembre 1992, si era suicidato il politico socialista Sergio Moroni. In una lettera si dichiarava colpevole, sottolineando però che i crimini commessi non erano per il proprio tornaconto ma a beneficio del partito, e accusava il sistema di finanziare tutti i partiti.
Tra le molte voci circolate sulle privatizzazioni, viene spesso ricordata una riunione avvenuta il 2 giugno del 1992 sul panfilo della Regina Elisabetta al largo delle coste toscane. Su quella nave, si dice, c’erano: un gruppo di banchieri della city londinese, Mario Draghi, direttore generale del Tesoro, oggi governatore della Banca d’Italia e Romano Prodi. Negli anni successivi Draghi fu protagonista di tutte le privatizzazioni che hanno trasformato il panorama economico riportandolo alla situazione pre-1930. Un processo caratterizzato da un fitto intreccio tra banche alle quali il governo Ciampi - secondo una direttiva Cee - consente di acquistare partecipazioni fino al 15% del capitale delle aziende industriali.
Sempre nel 1993 viene, infine, approvata la legge istitutiva dei Fondi pensione: avrebbero dovuto favorire i processi di privatizzazione e i lavoratori sarebbero, indirettamente, divenuti azionisti delle aziende. Mancano, però i regolamenti di attuazione e il primo fondo vede la luce solo nel 1998 quando larga parte del cammino delle privatizzazioni è già stato compiuto.


Privati – supplemento a “il manifesto”, novembre 2010


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