1.11.14

Alberto Granado e Che Guevara. Due uomini, un'avventura (Aldo Garzia)

L'articolo che segue fu ripubblicato nel 1993 nel primo dei tre inserti speciali che “il manifesto” dedicò in quell'anno ad Ernesto Che Guevara, ma risale al 1991. Al tempo non erano ancora interamente noti i cosiddetti Diari della motocicletta, di cui qui Garzia si serve e non era stato prodotto il film che rese famoso l'avventuroso viaggio di Granado e Guevara, svoltosi tra il dicembre 1951 e il luglio 1952. Il pezzo di Garzia, che utilizza la testimonianza raccolta in un colloquio con Granado a Cuba, mi pare suggestivo. (S.L.L.)
Granado e Guevara sulla "caravella" Mambo Tango

L'idea di un viaggio per le terre sconfinate del Sudamerica Granado la matura nel '40. «Volevo conoscere il mio continente - scrive in Con el Che por Sudamerica - non con gli occhi del turista. Mi piaceva l'idea di incontrare uomini e donne, tradizioni e costumi di altri paesi che conoscevo poco o nulla. Quel viaggio era un'utopia che valeva la pena di perseguire a costo d'ogni sacrifìcio». «Io studiavo biologia all'università e non davo molta importanza agli amici più giovani che circondavano mio fratello - racconta Granado - ma una volta sono stato fermato dalla polizia per una manifestazione studentesca contro l'autoritarismo dei professori. Sono rimasto in una cella del commissariato di Cordoba per alcuni giorni. Mio fratello Tomas e Guevara venivano a portarmi da mangiare. Con loro discutevo delle ragioni di noi studenti, ma non c'era niente da fare. Non c'era verso di convincerli».
Nonostante la differenza di età, Alberto e Ernesto prendono a frequentarsi con assiduità. Parlano del mitico viaggio da compiere per il Sudamerica, ma intanto si danno allo sport: rugby, calcio. Ernesto soffre di asma per una polmonite mal curata quando aveva quindici giorni di vita e si illude che l'attività sportiva possa aiutarlo a star meglio. «Nell'ottobre del '50 - ricorda Granado - io avevo deciso che sarei finalmente partito per il mio viaggio a bordo di una moto sgangherata che si chiamava Poderosa II. Ne parlai con Ernesto, ma lui mi pregò di aspettarlo perché doveva sostenere degli esami. Finì per convincermi e così partimmo senza una meta precisa il 29 dicembre del '51». Di quel viaggio a due, durato fino al 26 luglio del '52, non esiste solo la testimonianza di Granado. Nel libro Mio figlio il Che (Editori Riuniti, 1981) il padre di Guevara pubblica alcune pagine di un diario che erano rimaste a lungo nei cassetti di famiglia.
Le pagine dei diari di Granado e del Che si intrecciano. Scoprono la natura selvaggia delle Ande, le pianure desolate, la vita dei minatori. La vecchia moto di Granado si rompe ben presto e allora prendono a viaggiare sugli autobus, sui camion. Non hanno soldi, non hanno viveri ma da Valparaiso decidono di partire per l'Isola di Pasqua. E così si imbarcano come clandestini in una piccola nave dove il Che finisce per essere addetto alla pulizia dei bagni e Granado alla pelatura delle patate.
Alberto Granado prende appunti su tutto quello che vede con ossessionata precisione e aggiunge alle sue note osservazioni sul carattere del giovane compagno di viaggio. «Era curioso per tutto quello che vedeva - racconta - e non lasciava perdere nessuna occasione per ribadire quelle che erano le sue convinzioni. Aveva una sete furibonda di sapere: si guardava intorno, domandava, poi scaricava le sue conclusioni sugli altri». Dovunque passano Guevara e Granado lasciano la traccia di una discussione animata, un giornale cileno, dopo la loro partenza da Temuco, scrive nella cronaca locale:«Due argentini specialisti di lebbra percorrono il Sudamerica in motocicletta». La moto di Granado - prima di spegnersi per sempre - è carica fino all'inverosimile: tegami da cucina, impermeabili, copertoni di riserva, vestiti, maglie di lana, sacchi a pelo. In una delle prime lettere del Che a sua madre, il giovane studente di medicina non può fare a meno di riferire che «dopo i primi 1.200 chilometri abbiamo imparato cosa sia la distanza e ora sappiamo che dobbiamo rispettarla. La moto proprio non ce la fa a tenere il carico e così siamo già caduti per terra due volte». Gli incontri non sono tutti uguali e per Granado e Guevara il viaggio si trasforma ben presto in una sorta di educazione sentimentale.
Il 18 giugno Alberto annota nel suo diario: «Siamo in piena selva tropicale, vicino al fiume Amazonas. Sta piovendo violentemente sul lebbrosario di San Fabio in Perù. Una garza grigia sembra avvolgere gli alberi che si vedono all'orizzonte. La nostalgia ronza attorno a tutto l'ambiente circostante: non mi distrae né la pioggia né l'imponente aspetto del fiume. Dieci giorni fa abbiamo conosciuto il dottor Bresciani, direttore del lebbrosario». Il Che rimane colpito dall'isolamento e dalla fatica con cui il dottor Bresciani deve lottare contro la lebbra e ne invia un dettagliato resoconto alla madre Celia. Il 20 giugno Granado e Guevara decidono che è venuta l'ora di partire. «Quando stavamo per imbarcarci - racconta Granado - ci siamo accorti che i malati avevano dipinto su una facciata della prua la scritta Mambo e sull'altra Tango. E così la nostra caravella si chiamò MamboTango,come i due ritmi che ci avevano unito: il loro e il nostro».
Il Che e Granado si erano imbattuti per la prima volta in un lebbrosario. «Tutti gli ammalati - annota Granado - vivono insieme alla loro famiglia ed è difficile condurli al sanatorio. Qui, lungo i fiumi Ucayali e Varavi, la lebbra è una malattia endemica». Un incontro decisivo per i due viaggiatori erranti avviene nell'ospedale di Guia. «Avevamo una lettera di presentazione per il dottor Hugo Pesce, che gentilmente accettò di alloggiarci nel suo ospedale nonostante il nostro aspetto trasandato». Il Che simpatizza con questo dottore e inizia a chiamarlo insistentemente «maestro». Lo colpisce la notizia che Pesce, per la sua militanza nel partito comunista peruviano, ha dovuto abbandonare la cattedra di medicina tropicale all'università di Lima e andarsene lontano dalla capitale per esercitare la propria professione. Quel medico aveva descritto tutta la sua esperienza nel libro Latitudini del silenzio. Un testo che al Che sembra pessimista e remissivo, racconta Granado. Lui aveva un'altra idea su come fare il medico.
Il 26 luglio,a Caracas, il Che si convince che è venuto il momento di tornarsene a Cordoba. Granado preferisce fermarsi in Venezuela e scrive nel suo diario: «Dopo tanti mesi passati insieme la separazione è dura. Entrambi stiamo nascondendo la tristezza che vela i nostri sguardi. Sappiamo che la separazione sarà solo temporanea, che torneremo a unirci...»: Guevara prenderà la laurea in medicina, partirà nuovamente per il suo continente iniziando a fare il medico, ma scriverà a sua madre che in fondo il suo «sogno è andare a vivere per un po' in Europa, sicuramente a Parigi». Nel '54, in Guatemala, si sposa con Hilda Gadea. In Messico, il 24 settembre del '55, conosce Fidel Castro e gli altri dirigenti del Movimento 26 luglio. Finirà in galera con loro, nelle carceri messicane, poi partirà a bordo del piccolo panfilo Granma alla volta di Cuba per tentare una lotta rivoluzionaria: unico straniero in un gruppo di esiliati cubani. «L'ultima volta che ho visto il Che - dice Granado - è stato a Santiago di Cuba nel '65. Stavo tenendo una lezione all'università e lo vidi entrare nell'aula con la sua nuova moglie, Aleida March. Gli chiesi il motivo della sua visita, ma rispose con un cenno. Lo invitai a mangiare in una pizzeria che si chiamava "Fontana di Trevi" Parlammo con la solita amicizia di sempre. Infine mi salutò dicendo che aveva lasciato due libri per me all'Avana». Era un addio.
Quei due libri (Guerra di guerriglia dello stesso Che e L'ingenio di Moreno Fraginals) furono recapitati a Granado - per volontà del Che - solo alla fine del '67, dopo la morte di Guevara in Bolivia. Entrambi contenevano una dedica scritta a mano. Una dice: «Alberto, perché tu abbia la speranza di non finire i tuoi giorni senza sentire l'odore della polvere e il grido di guerra dei popoli, una forma sublime di ricevere emozioni forti, non meno interessanti e forse più utili di quelle ricevute lungo l'Amazonas» . Il riferimento, 14 anni dopo, era per quel fiume peruviano lungo il quale Alberto Granado e il Che avevano scoperto le amarezze e la durezza della vita in un lebbrosario. Un gesto di commiato dall'amico d'avventura di tanti anni prima, che questa volta non aveva potuto intraprendere l'ultimo viaggio con il Che verso la Bolivia. Un viaggio ancora una volta avventuroso. Questa volta fatale.


Il primo a sinistra, I, supplemento a “il manifesto”, 1993

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