7.2.15

I segni della morte (Franco Fortini)

Ho rinvenuto la riflessione che segue, di Franco Fortini, proprio mentre tra me e me piangevo le sorti della nostra letteratura e della nostra lingua. Mi è sembrato venire a proposito. (S.L.L.)
In un congresso palermitano, uno scrittore sovietico, sollecitato a dire la sua sui movimenti pacifisti, ha dichiarato che le forze armate del suo paese non difendono soltanto il suolo della patria e le sue istituzioni ma anche la sua letteratura. Ecco una verità che dimentichiamo volentieri, nella illusione che Dante o Leopardi si difendano da soli. L'italiano è assalito dal di dentro, nei nessi sintattici, nell'ordine della frase, nel sistema dei valori stilistici. Scrivere in una lingua che ha i segni della morte in volto non è divertente anche se è un buon esercizio di stile. Vent'anni fa avevo pensato seriamente ad emigrare e a scrivere in francese o in inglese. Ma sarebbe stato comunque un pessimo francese, un pessimo inglese. Meglio sia un pessimo italiano, infeltrito, inamidato. Meglio aver veduto, anzi vissuto come una malattia, che cosa è stato fatto (che cosa abbiamo fatto) delle campagne, delle città e di noi.

da Vecchio e nuovo (gennaio '82) in Insistenze, Garzanti, 1985

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