13.8.15

Dopo il 25 aprile. La restaurazione giudiziaria (M. Franzinelli - N. Graziano)

Quelle che qui “posto” sono le pagine iniziali di un bel libro di storia, opera di Mimmo Franzinelli, storico di mestiere, autore - fra molto altro - di un volume sull'OVRA che vinse il premio Viareggio, e di Nicola Graziano, magistrato. Si intitola Un'odissea partigiana ed ha al centro le vicende che portarono alcune decine di partigiani nei manicomi giudiziari. L'incipit riassume in poche frasi e in alcuni casi esemplari il processo di restaurazione, giudiziaria ma non solo, che seguì il 25 aprile e la Liberazione. (S.L.L.)

Nel secondo dopoguerra vengono arrestate diverse centinaia di ex partigiani, per episodi commessi nella lotta clandestina oppure successivi alla cessazione dei combattimenti. Durante l’occupazione tedesca e la lotta di liberazione si verificarono molti casi di “giustizia sommaria”, contro civili sospettati di spionaggio o comunque invisi ai “ribelli”, e svariate uccisioni di aderenti alla Repubblica sociale italiana, alla spicciolata, secondo le modalità della guerriglia. Episodi tragici, da inquadrarsi nello scenario bellico imboccato da Mussolini, degradato in guerra civile nell'autunno 1943 con la nascita della Repubblica sociale italiana, nella spietata repressione nazista e dei collaborazionisti di Salò, con il massiccio ricorso a deportazioni, torture, rappresaglie, fucilazioni, eccidi.
Il ritorno alla pace è turbato da vendette e ritorsioni che da sempre accompagnano la caduta delle dittature, epilogo di sanguinosi scontri intestini. Dopo mesi di vita alla macchia, è difficile tornare d’un tratto alla normalità, stante l’impatto traumatico della guerra su tanti giovani “ribelli”, che reagiscono a loro modo - anche con derive estremiste e giustizialiste - a gattopardismi e restaurazioni.
L'Italia è al bivio tra rinnovamenti radicali e ripristino di vecchi apparati. Alle spinte iniziali corrispondono crescenti reazioni autodifensive di strutture e funzionari statali. In pochi mesi si infrangono, per poi ricostruirsi miracolosamente, prestigiose carriere. Il tracollo della democratizzazione della polizia è personificato dall’ex capo dell’Ovra, Guido Leto, destituito e riabilitato dopo un fugace soggiorno a Regina Coeli, infine promosso direttore tecnico delle Scuole di polizia. In compenso, i partigiani immessi negli organici all’indomani della Liberazione ne sono presto allontanati. Si perde così l’occasione di riformare l’apparato fondamentale di controllo e garanzia dell’ordine pubblico.
Nel 1946, a essere epurati sono i prefetti nominati dal Comitato di liberazione nazionale, rimpiazzati dai “fidati” funzionari di carriera, già zelanti esecutori delle direttive mussoliniane. Rimane provvisoriamente in carica il solo Ettore Troilo, la cui rimozione, il 28 novembre 1947, determinerà l’occupazione della prefettura di Milano da parte di manifestanti capeggiati dal deputato comunista Gian Carlo Pajetta.
La discontinuità tra dittatura e democrazia è insomma attutita dalla riemersione di personaggi che si pensava dovessero uscire di scena con la sconfitta fascista.
Nella transizione dal regime mussoliniano a quello democratico - osserva Vladimiro Zagrebelsky - l’ordinamento giudiziario e l’orientamento culturale dei suoi componenti sono caratterizzati dal predominio della Corte suprema di cassazione, decisiva anche per la selezione dei giudici. Cassazione e Corte d’appello si confermano strumenti di gestione autocratico-conservatrice della magistratura: la direzione della macchina processuale spetta a personaggi forgiatisi culturalmente e professionalmente nel regime, da essi convintamente servito e nel quale si immedesimarono, ricavandone privilegi e potere.
A marzo del 1946 le pratiche di epurazione per l’ordine giudiziario dell’Alta Italia denotano un clamoroso fiasco: su 1248 istruttorie si dispongono 24 dispense... E a Roma le cose vanno, se possibile, ancora peggio.
Il sistema giudiziario rimane quello forgiato nel Ventennio; le carriere dei giudici fotografano l’inamovibilità dei vertici della magistratura.
Vincenzo Eula - il pubblico ministero del Tribunale di Savona che nel 1927 aveva fatto condannare Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Carlo Rosselli per l’espatrio di Filippo Turati – scansata l'epurazione (invocata dal ministro della Giustizia Togliatti, negata dal presidente del Consiglio De Gasperi), diviene procuratore generale della Cassazione.
Luigi Oggioni, già procuratore generale della Repubblica sociale italiana, nel dopoguerra sarà presidente della Corte di cassazione e poi giudice della Corte costituzionale.
L’artefice della legislazione antiebraica della Rsi, Carlo Alliney, capogabinetto all’Ispettorato della razza, è promosso consigliere di Corte d’appello a Milano, procuratore della Repubblica a Palermo e infine giudice di Cassazione. Va ancora meglio all’ex presidente del Tribunale della razza, Gaetano Azzariti, destinato addirittura alla presidenza della Corte costituzionale.
Il fallimento dell’epurazione si accompagna alla disapplicazione dell’amnistia emanata nel novembre 1945 per i partigiani. “Le leggi contro il fascismo - osserva il giurista Achille Battaglia - furono interpretate secondo la volontà del legislatore soltanto quando la forza politica dell’antifascismo toccò il vertice; e furono interpretate alla rovescia, e applicate con il massimo d’indulgenza man mano che quella andò declinando.” Guido Neppi Modona ritiene che “la repressione antipartigiana si realizzò soprattutto mediante un uso molto vasto e spregiudicato della carcerazione preventiva; gli ordini di cattura venivano sovente emessi sulla base dei soli rapporti redatti anni prima dalla polizia della Repubblica di Salò, dove i partigiani erano appunto qualificati come banditi, autori di reati comuni”.

Un'odissea partigiana. Dalla Resistenza al manicomio, Feltrinelli, 2015

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