17.8.15

Sui significati del termine "riformista" (S.L.L. - stato di fb)

Giovanni Altamore, che a Gela m'era collega e compagno
e che scherzosamente solevo chiamare Giovanni Artabazo
A Gela, in una delle prime riunioni di sezione cui mi toccò partecipare, nel 1972, intervenne un vecchio compagno bracciante che si produsse in una vera e propria invettiva: "I riformisti ci hanno tradito e ci hanno venduto. Di tanti anni di lotte hanno approfittato loro per fare le loro speculazioni e i loro comodi".
In quel tempo non era il "riformismo" il bersaglio prediletto dal partito e non era a cagione del riformismo che si polemizzava contro i compagni socialisti, per cui non capivo chi fosse il destinatario di quelle frecciate e quali fossero le ragioni di tanta rabbia.
Gli interventi successivi e le conclusioni del segretario cittadino (era Giovanni Altamore) non ripresero la questione, per cui solo a fine riunione, a tarda sera, mi fu spiegato l'arcano da Totò Crocetta e Nené Carfì, con i quali feci un tratto di strada.
"Riformisti" nel gergo dei contadini gelesi erano quei braccianti fortunati che, dopo l'occupazione delle terre incolte e le altre dure lotte per la riforma agraria, avevano goduto della parziale vittoria, essendo stati estratti a sorte come beneficiari della espropriazione e divisione in piccoli lotti del latifondo. Molti di loro, in periodi diversi, avevano poi venduto quelle terre, che senza bonifiche e investimenti consistenti non erano in grado di produrre un reddito sufficiente per la famiglia.
Alcuni, i cui lotti non erano molto distanti dall'abitato, avevano marginalmente partecipato alla grande abbuffata legata all'abusivismo "di necessità". In una città in cui il bisogno abitativo cresceva molto, in mancanza di un piano regolatore adeguato e di interventi pubblici, i proprietari dei terreni vicini al già edificato, dentro l'abitato o ai margini di esso, vendevano piccolissimi lotti, anche di 100 o 200 mq, fingendo negli atti ufficiali che si trattasse di terreno agricolo a prezzi agricoli per uso agricolo. Su quelle aree si ergevano, in buona parte con il lavoro degli stessi proprietari, scadenti edifici di due o tre piani in zone spesso prive di viabilità e povere di servizi (luce e acqua in genere arrivavano benché si trattasse di abitazioni non registrate, talora senza via e numero). Ricordo - ma potrei sbagliare - che le abitazioni abusive assommavano al numero di 20 mila, coprendo più di un terzo del bisogno abitativo.
Come è evidente non si trattava tanto di speculazione edilizia, quanto di speculazione fondiaria. La parte del leone l'avevano avuta alcune famiglie di grandi proprietari (i Mattina, i Callea), ma le briciole erano arrivate anche ai piccoli proprietari e perfino a qualche beneficato della riforma agraria, a qualche "riformista". Il vecchio compagno era fortemente irritato di questo fatto, più che della speculazione dei "signori", che lunghi secoli di oppressione gli avevano reso più tollerabile.
Sono ricordi di un altro tempo, di un'altra storia, di un'altra vita in un certo senso, ma non credo casuale che, nel tempo delle riforme di Renzi, mi siano tornati in mente "i riformisti che speculano e che ci hanno traditi e venduti".

Stato di fb, 17 agosto 2015

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