26.10.15

Agosto 39, il Patto Ribbentrop-Molotov. Un divano per Togliatti (Gianni Corbi)

Una vivace rievocazione giornalistica delle reazioni nel movimento comunista internazionale, soprattutto francese e italiano, alla notizia dell'accordo tra Hitler e Stalin. (S.L.L.)
Mosca 1939. Molotov firma per l'Urss il patto ventennale di non aggressione con la Germania
La notizia del Patto Ribbentrop-Molotov firmato il 23 agosto del 1939 a Mosca si abbatté come un terribile elettroshock su tutto il corpo del comunismo mondiale. Le parole di Stalin rivolte al ministro degli Esteri nazista: “Io so quanto la nazione tedesca ami il suo Fuhrer, io bevo dunque alla sua salute” sono, per tutti i rivoluzionari professionali, i militanti di base, i simpatizzanti, un insulto e un evento difficile da capire, da accettare, da spiegare.
L'avvenimento era stato però preceduto da segnali allarmanti che potevano anche far presagire il peggio. Fin dal maggio del 1939 i dirigenti comunisti europei seguendo la stampa sovietica avevano capito che qualcosa di grosso stava maturando a Mosca, e che Stalin aveva deciso di non lasciare l'iniziativa ai tedeschi e agli anglofrancesi. Il 3 maggio il duro e fidato Molotov aveva sostituito il più duttile Litvinov al Commissariato degli Esteri. Venti giorni dopo i giornali davano notizia delle prime trattative commerciali tra russi e tedeschi, ed il 30 maggio di quelle politiche. Le voci di una possibile intesa tra Mosca e Berlino s' infittiscono nei mesi di giugno e luglio, ma sembrano talmente incredibili da non meritare grande spazio nei più importanti giornali europei e degli Stati Uniti.
Ciò che bolle nella pentola sovietica è naturalmente oggetto di accalorate discussioni nei gruppi dirigenti comunisti. L'epicentro della crisi è la Francia, appena uscita dall'esperienza del Fronte popolare e dove opera il più forte e organizzato partito comunista legale dell' Occidente. La Francia, in quell'estate del 1939, vive già in un clima di preguerra e di mobilitazione.
Quando i giornali di Parigi pubblicano a caratteri cubitali la notizia del Patto firmato a Mosca, lo stato maggiore del Pcf è in vacanza. Maurice Thorez nelle Alpi, Charles Tillon nella Haute-Vienne, Jacques Duclos in un villaggio dei Pirenei. Qualche avvisaglia, in realtà, il Pcf l'aveva avuta. Alcuni giorni prima della firma del patto Georges Gosnat un alto dirigente molto amico dei sovietici era stato convocato d' urgenza a Mosca per consultazioni. Qui il segretario del Comintern in persona, Dimitrov, lo aveva informato della gravità della situazione internazionale. In particolare il Pcf avrebbe fatto bene a stare in guardia. Maurice Gitton, quando scoppia la bomba, è il solo membro della direzione ad essere presente in sede. Che fare? Come rassicurare i 318.000 iscritti comunisti dando loro direttive credibili? Il 23 agosto “l'Humanité” ha pubblicato forse ispirata dai rappresentanti del Comintern in Francia uno strano articolo nel quale si auspica, in nome della pace mondiale, un generale embrassons nous, comprendendo la Germania di Hitler e l'Italia di Mussolini.
Il giorno dopo 24 agosto il Pcf è già ben allineato mentre l'indignazione dei francesi, senza troppe distinzioni di classe o di credo politico, è al massimo. Gitton sull'“Humanité” e Louis Aragon su “Ce Soir”, sostengono la tesi quasi obbligata che il Patto è una vittoria dell'Urss, di Stalin, del pacifismo. Ma le acrobazie dialettiche servono a poco. La situazione per il Pcf diventa di ora in ora più pesante. Il 25 agosto il presidente del Consiglio Daladier ordina la sospensione di “Ce Soir” e dell'“Humanité” e di tutti gli organi di stampa che possano danneggiare la difesa nazionale.
Stalin stringe la mano a Ribbentrop, ministro degli Esteri del Terzo Reich
 Quella terribile fotografia
Il primo settembre è il giorno cruciale. Hitler invade la Polonia, e Daladier ordina la mobilitazione generale. Due giorni dopo la Francia è in guerra. Il governo proibisce comizi e manifestazioni comuniste, mentre la polizia comincia a sorvegliare strettamente le attività dei permanents, i quadri professionali del partito. Il 26 settembre in un'atmosfera di crescente confusione e disorientamento il governo decreta lo scioglimento del Pcf e l'arresto di molti membri del Comitato centrale, tra cui Francois Billoux membro dell'ufficio politico.
Poi la situazione precipita. Il Pcf è costretto a cambiar nome e i suoi parlamentari a presentarsi come Gruppo operaio e contadino. A decine di migliaia militanti, e simpatizzanti ripudiano il comunismo francese. Un'istruttoria è aperta a carico dei deputati del Pcf colpevoli di aver ricostituito un' associazione disciolta. Trentaquattro deputati comunisti sono arrestati. Ventisette si dimettono dal partito. Molte centinaia di consigli municipali a maggioranza comunista sono disciolti. Gran parte delle 12.658 cellule sono in via di decomposizione. Lo stesso segretario del partito Maurice Thorez dopo una fuga avventurosa, si rifugia in Belgio. E' una penosissima diaspora. Occorreranno anni - e soprattutto l'attacco di Hitler alla Russia - per rimarginare quella profonda ferita.
Per i comunisti italiani che vivono in carcere o da fuorusciti la situazione non è meno drammatica. La terribile fotografia in cui si vede Stalin stringere la mano a Ribbentrop, oltretutto, coglie il Pci in un momento di profonda crisi. I rapporti con i cugini socialisti tendono a peggiorare ogni giorno di più. La tensione all'interno dell'Unione popolare l'organizzazione che riunisce fin dal 1937 i partiti antifascisti aumenta al punto tale da far temere una prossima dissoluzione. Nel Pci il sospetto generalizzato paralizza da tempo la vita dell' apparato. Giuseppe Berti a quel tempo capo del partito è un uomo colto e intelligente ma incline in modo quasi paranoico a vedere spie e nemici dovunque. Ruggero Grieco e Giuseppe Dozza sono accusati di gravi errori, e da Mosca il potente Manuilski vice di Dimitrov lancia agli italiani accuse di passività e d'incapacità politica. Per completare il quadro il Comitato centrale del Pci è stato sciolto d' autorità in una data imprecisata del 1938.
Il primo a reagire contro il Patto e a dare il via alle ostilità è Pietro Nenni. Nenni è stato per anni il socialista più unitario, il più comprensivo verso le difficoltà dell'Unione Sovietica. Il suo intervento a favore della repubblica spagnola è stato generoso e senza riserve. Ma come accettare quel Patto scellerato e così contro natura? Perfino il comprensivo Nenni non lo può. Egli si dimette da segretario del partito e condivide, forse un po' a malincuore, le posizioni accesamente anticomuniste dei repubblicani e di Giustizia e Libertà. Sull'“Avanti” Nenni accusa Stalin di non aver detto una sola parola di giustificazione alla classe operaia internazionale che è stata così interamente abbandonata a se stessa. Riferendosi ai dirigenti del Pci lancia un appello: “La causa dell' unità è nelle vostre mani. Dite le parole che la vostra coscienza non può non dettarvi. Quello che noi vi chiediamo è di riconoscere che il Patto di Mosca non s' inserisce nella linea politica che abbiamo insieme difesa e che volevamo assieme far trionfare...”.

Da Ventotene i ricordi della Ravera
I dirigenti del Pci divisi e confusi non vogliono, né possono, seguire il consiglio di Nenni. Oltretutto non saprebbero neppure come far sentire la loro voce. Le autorità francesi subito dopo la firma del Patto hanno stretto i freni sopprimendo prima “Lo Stato operaio” e il 26 agosto “La voce degli italiani”. Felice Platone e Mario Montagnana fanno però a tempo a scrivervi gli ultimi editoriali nei quali espongono la tesi ardita che il Patto Molotov-Ribbentrop rappresenta in realtà una sconfitta dell'anticomunismo e, addirittura, un contributo per far rinculare il fascismo sulla via della guerra e della catastrofe.
Fortunatamente c'è a Parigi in quei giorni un ospite d'eccezione: Palmiro Togliatti. Togliatti è stato tra gli ultimi a lasciare la Spagna per raggiungere via Parigi, dopo un viaggio avventuroso nel maggio del 1939 la capitale sovietica. Inaspettatamente Togliatti uno dei più importanti dirigenti del Comintern viene rispedito solo tre mesi dopo alla fine di luglio a Parigi. Paolo Spriano nella lunga ed esauriente introduzione al IV volume delle Opere di Togliatti (Editori Riuniti) affaccia l'ipotesi del tutto credibile che egli sia stato mandato a Parigi per seguire da vicino la situazione francese in un momento delicato quale è quello del luglio 1939. Confrontando le varie testimonianze rese da importanti protagonisti dell'epoca si può arrivare alla conclusione che Stalin e Dimitrov abbiano inviato per conto del Comintern, ma soprattutto della diplomazia sovietica il più brillante e intelligente leader del comunismo a Parigi per controllare da vicino le nuove e difficili situazioni che l'intero fronte comunista occidentale avrebbe dovuto affrontare. 
 Togliatti ha sempre cercato di accreditare la tesi che la sua presenza a Parigi si era resa necessaria per riparare agli errori del gruppo dirigente: “Le cose non andavano molto bene. I migliori compagni erano stati a combattere in Spagna, e si era sentita la loro assenza. Era stato fatto qualche errore politico...”. Ma le cose sono molto più complicate di quanto Togliatti vorrebbe far credere. In una testimonianza resa a Giorgio Bocca, Berti allora segretario del Pci dà infatti una versione che combacia sostanzialmente con quella di Spriano. “Verosimilmente, dice infatti Berti, Togliatti aveva dei compiti orientativi e informativi presso i partiti italiano e francese, ma attendeva altre istruzioni di cui non conosceva la natura”. “Ricordo, spiega Berti, che andai a trovarlo; stava seduto su un divano, giocherellava con una pallottolina di carta. Se sei qui per il partito gli dissi dimmelo, ti lascio immediatamente la direzione. Lui sorrideva, si passava la pallottolina da una mano all'altra: “Nessuno mi ha mai detto di riprendere la direzione del partito, sto qui e aspetto. Ma devi almeno rientrare nella direzione!”. “Mi parve in uno stato d'animo incerto, preoccupato. Nei giorni che seguirono, quando si seppe del patto russo-tedesco, arrivai a pensare che fosse stato allontanato da Mosca per motivi diplomatici.
Togliatti, in effetti, non dimostra un grande attivismo. Che cosa abbia fatto e come si sia regolato in quei giorni non è chiaro. Togliatti, si limita a dire Spriano, fa propria la tesi del segretario del Pcf Maurice Thorez: “Si deve distinguere tra un giudizio sul Patto, che è positivo, e la necessità di battersi contro il nazismo se Hitler scatena la guerra”. Ma Togliatti non farà a tempo a sviluppare una più organica e convincente linea di difesa. Le retate di polizia contro i fuorusciti comunisti s'intensificano. La notte del 31 agosto è arrestato Luigi Longo. Il giorno dopo è la volta di Togliatti che fornito di falsi documenti e di un nome inventato viene trasferito prima nel carcere di Fresnes e poi alla Santé. Ma è soprattutto in Italia nelle carceri e nelle isole di confino dove sono rinchiusi i comunisti che la notizia del Patto provoca il maggior sconcerto e le più grandi lacerazioni. Al contrario dei compagni fuorusciti sono privi di notizie e possono leggere solo i giornali sportivi e le riviste fasciste. Nei cameroni di Civitavecchia, di Sulmona, di San Gimignano, di Castelfranco Emilia, è un continuo discutere ma, alla fine, a prevalere è come sempre l'idea che l'Urss e il compagno Stalin non possono sbagliare. A Ventotene è presente il Gotha del comunismo italiano. Oltre a Terracini, Scoccimarro, Secchia, Longo, La Ravera, ci sono in quell'isola più di 1700 quadri di partito e una minoranza di non comunisti: otto anarchici, Sandro Pertini, e una mezza dozzina del movimento Giustizia e Libertà. Che cosa avvenne in quelle tormentatissime giornate di fine agosto del 1939 lo ha raccontato anni fa Camilla Ravera all'autore di questa rievocazione.

Le clandestine “Lettere a a Spartaco”
Quel 23 agosto, ricorda la Ravera, come ogni pomeriggio mi recavo con altri compagni all'appello che si faceva due volte al giorno in piazza, nel piccolo centro abitato dell' isola. Dopo l'appello, spesso il proprietario dell'unico emporio dell'isola, d'accordo con la direzione della colonia, metteva la radio sul balcone di casa, specialmente se c'erano notizie favorevoli al fascismo.
“E così, continua la Ravera, quella sera, nello stile secco e senza commenti del giornale radio, sapemmo del patto Molotov-Ribbentrop. Lo sconcerto, l'incredulità, lo sbalordimento s'impadronì di tutti i confinati.
“Ma come è possibile!, non sarà vero, bisbigliarono tutti a caldo. Poi, il giorno dopo, la notizia fu confermata dai giornali. Ma fin da quel pomeriggio si accesero tra noi le discussioni. I non comunisti all'unanimità condannarono l'accordo con la Germania, accusando l'Urss di tradire le speranze di tutti i popoli che lottavano contro il nazifascismo. Questa era la posizione di Pertini, di Ernesto Rossi, di Riccardo Bauer, di Vincenzo Calace.
“Fra noi comunisti, spiega la Ravera, ci fu un acceso dibattito interno. L'unico a dare una risposta immediata, alla quale fu poi sostanzialmente fedele, fu Terracini. “Questo fatto non trova nessuna giustificazione”, diceva. Prima di tutto perché era convinto che la Russia, malgrado il Patto, sarebbe stata aggredita dalla Germania, come Hitler diceva e aveva anche scritto nel suo Mein Kampf. In secondo luogo perché un accordo fra la potenza nazista e il più grande paese socialista avrebbe sicuramente indebolito la lotta di tutti i paesi europei. Ma la posizione di Terracini, precisa Camilla Ravera, era in netta minoranza perché Longo, Scoccimarro, anche Secchia, che di solito era bastian contrario, decisero subito che questo patto non avrebbe dovuto creare una rottura tra il gruppo dirigente e la base del collettivo comunista così lo chiamavamo dei confinati di Ventotene. La posizione ufficiale, da me appoggiata in pieno, fu questa: noi siamo tagliati fuori da troppi anni dalla vita politica e dalle masse, e non abbiamo perciò gli elementi per giudicare. Non conoscendo né i motivi, né le clausole dell'accordo, va accettato per l'autorità da cui proviene, cioè da un paese che rappresenta la nostra lotta. Questa posizione che accomuna la disciplina di partito alla sconfinata fiducia nel compagno Stalin è ben sintetizzata da Giulio Cerreti, un importante dirigente, nelle sue memorie.
“Mi guarderei bene, dice Cerreti, dal gettare la croce su tutti quei compagni che in buonafede, nel 1939, di fronte al patto russo-tedesco persero la bussola... Per quelli come me che credevano ad occhi chiusi al mito di Stalin e dell'Urss, era relativamente facile superare quel momento drammatico. Ma per gli altri? Per gli scettici? In un momento simile solo la fede cieca nella causa socialista e nel primo Stato operaio del mondo poteva aiutarci...”.
Ma a questo punto per concludere la rievocazione delle ripercussioni del Patto Molotov-Ribbentrop sul mondo comunista dobbiamo tornare a Parigi. Abbiamo lasciato Togliatti nel carcere della Santé. Dimitrov in prima persona e l'intero apparato del Comintern si sono mobilitati per la sua liberazione, assoldando avvocati di grido e, probabilmente, trattando sottobanco con la polizia e i servizi segreti di Parigi. Uscito dal carcere, e prima di partire per Mosca, Togliatti trascorre un mese nascosto nella casa di Umberto Massola. Ed è qui che il capo dei comunisti italiani prepara quelle Lettere di Spartaco che costituiscono il punto più alto dello stalinismo del Pci, e forse sono la vera ragione della missione di Togliatti a Parigi. In quelle lettere il Patto viene giustificato e preso a pretesto per una serie di attacchi forsennati ai socialfascisti: “Fanno oggi quello che fecero nel corso della guerra imperialistica del 1914-1918. Sono al servizio della borghesia imperialista reazionaria e guerrafondaia, sono all'avanguardia nelle campagne di menzogne, di calunnie, e di provocazioni...”. Il 3 settembre del 1939 Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania. Comincia la drole de guerre che di lì a pochi mesi si trasformerà nella più spaventosa tragedia di questo secolo. Cinquant'anni sono trascorsi da quel fatal brindisi tra Stalin e Ribbentrop. Ma le scorie del Patto come certe piogge radioattive continuano a manifestare i loro effetti negativi.

la Repubblica 18 agosto 1989  

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