10.10.15

Educazione e cortesia (Lev Davidovic Trotzkij)

Trotzkij alla stazione di San Pietroburgo
In che modo l’organizzazione statale viene in diretto contatto con la popolazione? Come «tratta» la popolazione? Come tratta chi fa una richiesta, una persona con una lagnanza o un «supplicante»? Come considera l’individuo? Come si rivolge a lui, se effettivamente vi si rivolge? Anche questo è un componente importante della «vita».
In questo argomento, tuttavia, dobbiamo distinguere tra due aspetti: forma e sostanza. In tutti i civilizzati paesi democratici la burocrazia, ovviamente, «serve» il popolo. Questo non le impedisce di elevarsi al di sopra di esso come una casta professionale, chiusa e unita. Se effettivamente essa serve i magnati capitalisti, prostrandosi di fronte a loro, allo stesso tempo tratta con arroganza l’operaio e il contadino, e lo stesso vale che ci si trovi in Francia, in Svizzera o in America. Ma nelle «democrazie» civilizzate ciò è mascherato da certe forme di educazione e cortesia, a un grado maggiore o minore nei differenti paesi. Quando però è necessario (e questo tipo di occasioni ricorrono quotidianamente) la parvenza di educazione viene facilmente messa da parte lasciando il posto alla brutalità poliziesca; gli scioperanti vengono picchiati nelle stazioni di polizia a Parigi, New York e in altri centri del mondo. Tuttavia la cortesia «democratica» nelle relazioni tra burocrazia e popolazione è principalmente un prodotto e un’eredità delle rivoluzioni borghesi. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è rimasto, ma la sua forma è differente, meno «brutale», adornata da un manto di uguaglianza e raffinata cortesia.
La nostra macchina burocratica sovietica è unica, complessa... Per noi la cortesia, come regola generale, non esiste. Invece, di maleducazione ereditata dal passato ne abbiamo quanta se ne vuole. Ma la nostra maleducazione in se stessa non è omogenea. C’è la semplice maleducazione di origine contadina, che non è attraente senza dubbio, ma neanche degradante. Essa diventa intollerabile e oggettivamente reazionaria solo quando i nostri giovani romanzieri se ne vantano come se fosse un’acquisizione estremamente «artistica». I principali elementi operai guardano a tale falsa semplicità con un’ostilità istintiva poiché giustamente vedono nella volgarità del linguaggio e della condotta un segno della vecchia schiavitù e aspirano ad acquisire un linguaggio colto con la sua disciplina interiore.

A fianco a questo tipo di consueta maleducazione passiva del contadino ne abbiamo un’altra, un tipo speciale - quella rivoluzionaria -, una maleducazione dovuta all’impazienza, al desiderio eccessivamente ardente, all’irritazione causata dall’indifferenza, a una encomiabile tensione nervosa. Ovviamente anche questa maleducazione, se presa in sé, non è attraente e noi ci dissociamo da essa; ma in origine essa è nutrita dalla stessa fonte morale rivoluzionaria che, in più di un’occasione in questi anni, è stata capace di muovere le montagne. In questo caso ciò che è da cambiare non è la sostanza - che è nell’insieme sana, creativa e progressiva - ma la forma distorta.
Poi continuiamo ad avere la maleducazione della vecchia aristocrazia, con un tocco di feudalesimo. Questo aspetto è completamente spregevole e vizioso. E ancora tra noi, non è sradicato e non è facile da sradicare.
Negli uffici di Mosca, specialmente nei più importanti, questa maleducazione aristocratica non si manifesta nella forma aggressiva di gridare o agitare i pugni in faccia a un supplicante; essa si mostra più frequentemente attraverso un formalismo insensibile. Ovviamente quest’ultimo non è la sola causa del burocratismo; una causa veramente essenziale è la completa indifferenza all’essere umano vivo e al suo vivo lavoro. Se potessimo fissare su una lastra sensibile l’impressione delle maniere, delle risposte, delle spiegazioni, degli ordini e delle firme di ogni cellula dell’organismo burocratico, stando per un solo giorno a Mosca, il risultato ottenuto sarebbe una straordinaria confusione. E nelle province è peggio, specialmente lungo il confine dove città e campagna si incontrano, il confine che è il più vitale di tutti.
Il burocratismo è un fenomeno complesso, in nessun senso omogeneo; è piuttosto un conglomerato di fenomeni e processi di differenti origini storiche.

I principi che mantengono e nutrono il burocratismo sono a loro volta vari. Tra loro c’è innanzitutto la condizione della nostra cultura: l’arretratezza e l’analfabetismo di una larga parte della popolazione. La generale confusione prodotta da una macchina statale in continuo processo di ricostruzione, inevitabile in un processo rivoluzionario e causa di molti attriti superflui, gioca un ruolo importante nella costituzione del burocratismo. L’eterogeneità di classe della macchina statale sovietica - la mescolanza della tradizione aristocratica, borghese e sovietica - è responsabile delle forme più repellenti.
Conseguentemente, la lotta al burocratismo non può che avere un carattere diversificato. All’origine vi è la battaglia contro l’arretratezza della cultura, l’analfabetismo, la sporcizia e la povertà. Il miglioramento tecnico, la diminuzione del personale, l’introduzione di maggior ordine, attenzione e precisione nel lavoro, e altre misure della stessa natura, non possono ovviamente esaurire il problema storico, ma aiutano a indebolire gli aspetti più negativi del burocratismo. Le difficoltà di educare migliaia di nuovi lavoratori nello spirito del servizio, della semplicità e dell’umanità, in condizioni di transizione e con istruttori ereditati dal passato, sono grandi. Grandi ma non insuperabili. Non possono essere superate in una sola volta, ma solo gradualmente.
I provvedimenti enumerati richiederanno relativamente molti anni per essere realizzati, ma non escludono un’immediata battaglia inesorabile contro il burocratismo, contro il disprezzo ufficiale per l’essere umano vivo e le sue vicende, il nichilismo che certamente corrompe e che cela una morta indifferenza a qualsiasi cosa sulla terra, contro una vile mancanza di iniziativa che rifiuta di prendere atto della propria dipendenza, un conscio sabotaggio o l’istintivo odio di un’aristocrazia deposta nei confronti della classe che l’ha deposta.
Dobbiamo raggiungere una condizione in cui l’individuo medio, componente anonimo delle masse lavoratrici, cesserà di aver paura degli uffici governativi con cui deve entrare in contatto. Maggiore è la sua necessità di aiuto, per esempio, per la sua ignoranza e la sua incultura, maggiore attenzione gli dovrebbe essere accordata. È un principio essenziale che egli debba essere aiutato e non ce ne si liberi subito. A questo proposito, oltre ad altri provvedimenti, è essenziale che la nostra opinione pubblica sovietica mantenga costantemente in primo piano l’argomento, guardandolo da un’angolatura il più larga possibile, in particolare che lo faccia il vero soviet, il vero rivoluzionario, il vero comunista, elementi sensibili della macchina dello Stato che fortunatamente sono in gran numero: sono loro che la mantengono in vita e la portano avanti.
La stampa può giocare a questo riguardo un ruolo decisivo. Sfortunatamente i nostri giornali in generale trattano poco argomenti istruttivi sulla vita di ogni giorno. Se un tale argomento viene effettivamente trattato è spesso riportato in modo stereotipato, mentre invece la nostra vita attuale è piena di colore e ricca di episodi istruttivi, in particolare lungo la linea di confine dove la macchina dello Stato viene a contatto con le masse popolari. C’è solo bisogno di rimboccarsi le maniche...
Ovviamente, un obiettivo illuminante e istruttivo come questo deve guardarsi bene dall’intrigo, deve purificarsi dalle ipocrisie e da ogni forma di demagogia. Un’esemplare «agenda di lavoro» potrebbe essere quella di cominciare a estrarre minuziosamente e imparzialmente un centinaio di dipendenti pubblici - un centinaio di coloro che hanno mostrato un radicato disprezzo nello svolgere i loro compiti per le masse operaie — e dargli pubblicità in modo da buttarli fuori dalla macchina dello Stato e impedire che possano rientrarci. Sarebbe un buon inizio. Non dovremmo aspettarci che come risultato accadano miracoli. Ma un piccolo cambiamento dal vecchio al nuovo è già un passo in avanti e vale più di un discorso importante.

Da “Pravda”, 4 aprile 1923, ora in Leon Trotsky, La vita è bella, Chiarelettere, 2015

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