Trotzkij alla stazione di San Pietroburgo |
In
che modo l’organizzazione statale viene in diretto contatto con la
popolazione? Come «tratta» la popolazione? Come tratta chi fa una
richiesta, una persona con una lagnanza o un «supplicante»? Come
considera l’individuo? Come si rivolge a lui, se effettivamente vi
si rivolge? Anche questo è un componente importante della «vita».
In
questo argomento, tuttavia, dobbiamo distinguere tra due aspetti:
forma e sostanza. In tutti i civilizzati paesi democratici la
burocrazia, ovviamente, «serve» il popolo. Questo non le impedisce
di elevarsi al di sopra di esso come una casta professionale, chiusa
e unita. Se effettivamente essa serve i magnati capitalisti,
prostrandosi di fronte a loro, allo stesso tempo tratta con arroganza
l’operaio e il contadino, e lo stesso vale che ci si trovi in
Francia, in Svizzera o in America. Ma nelle «democrazie»
civilizzate ciò è mascherato da certe forme di educazione e
cortesia, a un grado maggiore o minore nei differenti paesi. Quando
però è necessario (e questo tipo di occasioni ricorrono
quotidianamente) la parvenza di educazione viene facilmente messa da
parte lasciando il posto alla brutalità poliziesca; gli scioperanti
vengono picchiati nelle stazioni di polizia a Parigi, New York e in
altri centri del mondo. Tuttavia la cortesia «democratica» nelle
relazioni tra burocrazia e popolazione è principalmente un prodotto
e un’eredità delle rivoluzioni borghesi. Lo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo è rimasto, ma la sua forma è differente, meno
«brutale», adornata da un manto di uguaglianza e raffinata
cortesia.
La
nostra macchina burocratica sovietica è unica, complessa... Per noi
la cortesia, come regola generale, non esiste. Invece, di
maleducazione ereditata dal passato ne abbiamo quanta se ne vuole. Ma
la nostra maleducazione in se stessa non è omogenea. C’è la
semplice maleducazione di origine contadina, che non è attraente
senza dubbio, ma neanche degradante. Essa diventa intollerabile e
oggettivamente reazionaria solo quando i nostri giovani romanzieri se
ne vantano come se fosse un’acquisizione estremamente «artistica».
I principali elementi operai guardano a tale falsa semplicità con
un’ostilità istintiva poiché giustamente vedono nella volgarità
del linguaggio e della condotta un segno della vecchia schiavitù e
aspirano ad acquisire un linguaggio colto con la sua disciplina
interiore.
A
fianco a questo tipo di consueta maleducazione passiva del contadino
ne abbiamo un’altra, un tipo speciale - quella rivoluzionaria -,
una maleducazione dovuta all’impazienza, al desiderio
eccessivamente ardente, all’irritazione causata dall’indifferenza,
a una encomiabile tensione nervosa. Ovviamente anche questa
maleducazione, se presa in sé, non è attraente e noi ci dissociamo
da essa; ma in origine essa è nutrita dalla stessa fonte morale
rivoluzionaria che, in più di un’occasione in questi anni, è
stata capace di muovere le montagne. In questo caso ciò che è da
cambiare non è la sostanza - che è nell’insieme sana, creativa e
progressiva - ma la forma distorta.
Poi
continuiamo ad avere la maleducazione della vecchia aristocrazia, con
un tocco di feudalesimo. Questo aspetto è completamente spregevole e
vizioso. E ancora tra noi, non è sradicato e non è facile da
sradicare.
Negli
uffici di Mosca, specialmente nei più importanti, questa
maleducazione aristocratica non si manifesta nella forma aggressiva
di gridare o agitare i pugni in faccia a un supplicante; essa si
mostra più frequentemente attraverso un formalismo insensibile.
Ovviamente quest’ultimo non è la sola causa del burocratismo; una
causa veramente essenziale è la completa indifferenza all’essere
umano vivo e al suo vivo lavoro. Se potessimo fissare su una lastra
sensibile l’impressione delle maniere, delle risposte, delle
spiegazioni, degli ordini e delle firme di ogni cellula
dell’organismo burocratico, stando per un solo giorno a Mosca, il
risultato ottenuto sarebbe una straordinaria confusione. E nelle
province è peggio, specialmente lungo il confine dove città e
campagna si incontrano, il confine che è il più vitale di tutti.
Il
burocratismo è un fenomeno complesso, in nessun senso omogeneo; è
piuttosto un conglomerato di fenomeni e processi di differenti
origini storiche.
I
principi che mantengono e nutrono il burocratismo sono a loro volta
vari. Tra loro c’è innanzitutto la condizione della nostra
cultura: l’arretratezza e l’analfabetismo di una larga parte
della popolazione. La generale confusione prodotta da una macchina
statale in continuo processo di ricostruzione, inevitabile in un
processo rivoluzionario e causa di molti attriti superflui, gioca un
ruolo importante nella costituzione del burocratismo. L’eterogeneità
di classe della macchina statale sovietica - la mescolanza della
tradizione aristocratica, borghese e sovietica - è responsabile
delle forme più repellenti.
Conseguentemente,
la lotta al burocratismo non può che avere un carattere
diversificato. All’origine vi è la battaglia contro l’arretratezza
della cultura, l’analfabetismo, la sporcizia e la povertà. Il
miglioramento tecnico, la diminuzione del personale, l’introduzione
di maggior ordine, attenzione e precisione nel lavoro, e altre misure
della stessa natura, non possono ovviamente esaurire il problema
storico, ma aiutano a indebolire gli aspetti più negativi del
burocratismo. Le difficoltà di educare migliaia di nuovi lavoratori
nello spirito del servizio, della semplicità e dell’umanità, in
condizioni di transizione e con istruttori ereditati dal passato,
sono grandi. Grandi ma non insuperabili. Non possono essere superate
in una sola volta, ma solo gradualmente.
I
provvedimenti enumerati richiederanno relativamente molti anni per
essere realizzati, ma non escludono un’immediata battaglia
inesorabile contro il burocratismo, contro il disprezzo ufficiale per
l’essere umano vivo e le sue vicende, il nichilismo che certamente
corrompe e che cela una morta indifferenza a qualsiasi cosa sulla
terra, contro una vile mancanza di iniziativa che rifiuta di prendere
atto della propria dipendenza, un conscio sabotaggio o l’istintivo
odio di un’aristocrazia deposta nei confronti della classe che l’ha
deposta.
Dobbiamo
raggiungere una condizione in cui l’individuo medio, componente
anonimo delle masse lavoratrici, cesserà di aver paura degli uffici
governativi con cui deve entrare in contatto. Maggiore è la sua
necessità di aiuto, per esempio, per la sua ignoranza e la sua
incultura, maggiore attenzione gli dovrebbe essere accordata. È un
principio essenziale che egli debba essere aiutato e non ce ne si
liberi subito. A questo proposito, oltre ad altri provvedimenti, è
essenziale che la nostra opinione pubblica sovietica mantenga
costantemente in primo piano l’argomento, guardandolo da
un’angolatura il più larga possibile, in particolare che lo faccia
il vero soviet, il vero rivoluzionario, il vero comunista, elementi
sensibili della macchina dello Stato che fortunatamente sono in gran
numero: sono loro che la mantengono in vita e la portano avanti.
La
stampa può giocare a questo riguardo un ruolo decisivo.
Sfortunatamente i nostri giornali in generale trattano poco argomenti
istruttivi sulla vita di ogni giorno. Se un tale argomento viene
effettivamente trattato è spesso riportato in modo stereotipato,
mentre invece la nostra vita attuale è piena di colore e ricca di
episodi istruttivi, in particolare lungo la linea di confine dove la
macchina dello Stato viene a contatto con le masse popolari. C’è
solo bisogno di rimboccarsi le maniche...
Ovviamente,
un obiettivo illuminante e istruttivo come questo deve guardarsi bene
dall’intrigo, deve purificarsi dalle ipocrisie e da ogni forma di
demagogia. Un’esemplare «agenda di lavoro» potrebbe essere quella
di cominciare a estrarre minuziosamente e imparzialmente un centinaio
di dipendenti pubblici - un centinaio di coloro che hanno mostrato un
radicato disprezzo nello svolgere i loro compiti per le masse operaie
— e dargli pubblicità in modo da buttarli fuori dalla macchina
dello Stato e impedire che possano rientrarci. Sarebbe un buon
inizio. Non dovremmo aspettarci che come risultato accadano miracoli.
Ma un piccolo cambiamento dal vecchio al nuovo è già un passo in
avanti e vale più di un discorso importante.
Da
“Pravda”, 4 aprile 1923, ora in Leon Trotsky, La vita è
bella, Chiarelettere, 2015
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