14.10.15

Leonardo Sciascia in Francia. Un uomo libero (Mario Fusco)

L'autore dell'articolo, nonostante il suo nome, è francese. Nato nel 1930 era, al tempo in cui lo scrisse, professore dei Letteratura Italiana contemporanea all'Università di Parigi III. Il testo fu pubblicato su “Liber”, rivista internazionale pubblicata in francese, italiano, spagnolo e tedesco, a un anno dalla morte del maestro di Racalmuto. (S.L.L.)

I primi romanzi di Sciascia, che lo imposero molto presto in Italia come una personalità singolare e originale, risalgono alla fine degli anni cinquanta. Già nel 1961 Flammarion proponeva ai lettori francesi Il giorno della civetta, primo esempio di un genere di cui Sciascia si sarebbe poi servito spesso: il romanzo poliziesco, in cui l’indagine non è solo un semplice esercizio di deduzione logica, ma serve anche di pretesto per una dimostrazione di carattere sociale o politico. (In questo romanzo un capitano dei carabinieri incaricato di trovare gli autori di un omicidio, in Sicilia, porta un po’ alla volta alla luce una rete di interessi e di complicità certamente occulte, ma abbastanza potenti da impedire che la verità venga a galla e da ottenere il trasferimento del poliziotto). Senza frasi inutili, Sciascia metteva il dito sul ruolo della mafia nella società siciliana, in un momento in cui, in Italia, le autorità civili e religiose dichiaravano in ogni occasione che questa società segreta non era altro che un'invenzione dei giornalisti. Si e visto, in seguito, come stavano realmente le cose, anche se, peraltro, non è mai stato possibile estirpare la “ piovra” .
Questa prima traduzione non ebbe gran successo, e fu necessario aspettare alcuni anni prima che Maurice Nadeau si impegnasse, a sua volta, a far conoscere un’opera che non aveva fatto che confermare la posizione raggiunta da Sciascia. Uscirono, uno dopo l’altro, nella celebre collana dalla copertina gialla delle “Lettres nouvelles”, diversi volumi importanti, tra cui, in particolare, Le parrocchie di Regalpetra e Gli zii di Sicilia, che, come si è spesso osservato, costituiscono la matrice dell’opera di Sciascia (sia per la Sicilia che ne costituisce il contesto prediletto, sia per l'angolazione, a mezza strada tra l’analisi sociologica e l’interpretazione politica, su uno sfondo romanzesco).
Senza abbandonare i suoi interessi politici, Sciascia si è anche avventurato, con successo, sul terreno del romanzo storico, con testi come Morte di un inquisitore e Il consiglio d’Egitto, un capolavoro. Ne emergeva, in modo sempre più evidente, il suo profondo interesse per i problemi del diritto, sia quello delle persone, sia quello su cui si basa il funzionamento delle società civili, affrontati con un rigore e una costanza che talvolta potevano anche far temere un’evoluzione verso la saggistica (tanto più che spesso egli si basava su fatti di cronaca o su dossier di vicende giudiziarie che era bravissimo a scoprire in fondo agli archivi, e che ricostruiva per metterne in luce i meccanismi perversi). Alla base di questa incessante riflessione, che spesso ha indotto Sciascia a far seguire i suoi racconti o le sue novelle da una serie di saggi, che ne costituiscono sia il prolungamento che il prologo (come nel caso di La corda pazza, o di Cruciverba) c’era, naturalmente, un bagaglio di letture che risaliva all’adolescenza di questo maestro di scuola che si era formato praticamente da solo, sotto il regime fascista che aveva in odio, in una cittadina del centro della Sicilia, leggendo alla rinfusa Diderot, I Miserabili, Paul Louis Courier o Stevenson. Ma, di fatto, nutrì sempre la stessa ammirazione e, certamente, la stessa riconoscenza nei confronti degli enciclopedisti francesi del XVIII secolo, che gli avevano dimostrato come la letteratura potesse essere anche usata come arma contro l’ingiustizia, l’oppressione e contro gli interessi o i poteri particolari che, in seno alla società, si oppongono al libero gioco di uno stato fondato sulla ragione e sui valori civili. Ed è certo questa la ragione per cui, dal momento in cui i suoi libri incominciarono ad essere letti in Francia, prese l’abitudine di soggiornarvi a lungo, soprattutto a Parigi, dove sapeva di ritrovare un piccolo gruppo di amici e di ammiratori: il suo editore, i suoi traduttori e un fotografo e giornalista siciliano, Ferdinando Scianna, con cui realizzò diversi libri memorabili, dalle Feste religiose in Sicilia a quelle Ore di Spagna, pubblicate l’anno scorso e ancora inedite in Francia.
Risultato di questi ripetuti soggiorni (che gli fornirono l’occasione di incontrare numerosi scrittori e giornalisti e di concedere numerosissime interviste, cui si prestava volentieri pur rifiutando ostinata-mente di parlare in francese) è la posizione di primo piano occupata da Sciascia tra gli scrittori italiani conosciuti ed apprezzati in Francia, accanto a Moravia, a Calvino o a Pasolini. Infatti quasi tutti i suoi libri vi sono stati tradotti, spesso quasi subito dopo la loro pubblicazione in Italia; vi ha anche ottenuto numerosi premi letterari e nei 1979 gli è stato dedicato il numero speciale di una rivista. Occorre anche dire che gli adattamenti cinematografici di un certo numero di sue: romanzi, in particolare Todo modo e Cadaveri eccellenti, hanno contribuito in larga misura a renderlo popolare presso il pubblico francese (che, non è il caso di stupirsi, ha accolto con grande favore gli ultimi romanzi di Sciascia: è il caso di Il cavaliere e la morte, pubblicato poche settimane prima della sua morte e che è, senza alcun dubbio, uno dei più bei libri del genere poliziesco cui era affezionato, ma con una dimensione metafisica più manifesta e una risonanza autobiografica che rende certi passaggi densi di commozione). Ha forse contribuito al successo di questo libro, quasi un testamento, il contraccolpo dell’emozione provocata dalla morte prematura di Sciascia, ma sarebbe più giusto riconoscere che le qualità dello scrittore vi appaiono con un’evidenza e, forse, una libertà di espressione che sembravano esso, in precedenza, frenate da una preoccupazione di verità e di giustizia.
È ben evidente che, iniziando a pubblicare alla fine del periodo neorealista, Sciascia, più preoccupato dei valori etici che della virtuosità della forma, non aveva nessuna affinità con gli scrittori della neoavanguardia e che, assumendo ostinatamente quale terreno privilegialo di osservazione e meditazione, ha fatto della sua isola, che amava in modo viscerale e al tempo stesso esecrava, una metafora della società in cui viviamo. Senza dubbio i lettori francesi di Sciascia, come dimostrano le numerose riedizioni dei suoi libri in edizione economica, non sono sempre in grado di percepire tutte le implicazioni degli scontri politici da cui prendono le mosse i romanzi di questo temibile polemista, che non si preoccupava affatto del conformismo e che, a questo titolo, è stato a volte duramente attaccato. Non vi è dubbio, in compenso, che abbiano colto il senso profondo delle interpretazioni fornite da quest’uomo libero che, verso e contro tutti, e malgrado un crescente pessimismo, continuava a credere nella giustizia e a difendere l’ideale di una società fondata sul diritto. (trad. dal francese di Daniele Formento)


“Liber”, Anno 2 numero 3 ottobre 1990

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