Per il decennale della
morte di Orson Welles “l'Unità” pubblicò in prima pagina (con
continuazione in terza) questo commento del sociologo Omar Calabrese,
che “posto” e ripropongo nel trentennale. (S.L.L.)
Orson Welles era un uomo
di spettacolo, è vero. Eppure il contributo che questo grande attore
e regista ha dato alla teoria delle comunicazioni di massa è enorme,
equivalente a quello degli studiosi più rinomati di questa
disciplina. È un contributo, ovviamente, non scritto e non
scientifico eppure, certe sue realizzazioni valgono più ai qualche
ponderoso manuale. E il caso - notissimo - della famosa trasmissione
radiofonica tratta da La guerra dei mondi, mediante la quale
Welles dimostrò nei fatti lo straordinario potere dei media, e il
funzionamento della credenza in una società di massa. Ed è
soprattutto il caso del suo film forse più conosciuto, Quarto
potere, che è diventato per l’appunto un modo proverbiale per
definire 1 influenza del giornalismo sui meccanismi di manipolazione
della collettività (Va detto, però, che questo vale soltanto per il
nostro paese il titolo originale del film era più banalmente Citizen
Kane, «il cittadino Kane»).
In quella pellicola, si
narra sotto forma di «giallo» la ricostruzione della vita del
suddetto Mr. Kane. un magnate dell’economia che riesce ad
innalzarsi alle massime vette del potere grazie al fatto che è
proprietario di una catena di giornali. Opera di mirabile fattura,
Quarto potere si regge su un doppio binario la vera e propria
indagine sulla controversa biografia pubblica del personaggio, e il
mistero «privato» di Kane, che si configura nell’ultima parola da
lui pronunciata prima di morire, «Rosebud», di cui il film non dà
soluzione definitiva.
Ma rimaniamo alla parte
mediologica di Quarto potere. Il film racconta, come si
diceva, la scalata ai massimi livelli della società di un individuo
con pochi scrupoli e molto denaro, che si serve dei giornali (uno in
particolare) per sostenere le posizioni proprie e dei suoi alleati
politici (pian piano sempre più fantocci collocati nelle cariche più
importanti), per denigrare gli avversari, per organizzare insomma il
consenso. Il delirio di onnipotenza di Kane arriva fino al punto di
creare, nella propria fidanzata assai poco dotata in materia, una
star dello spettacolo. Quarto potere è senza dubbio molto
credibile. E lo è soprattutto oggi, nel momento in cui una società
estremamente frantumata dal punto di vista sociale possiede meno
anticorpi per difendersi - con le armi della discussione, del
contatto reale fra individui - dalla cosiddetta «opinione pubblica»,
che altro non è se non una «opinione» molto privata fatta
diventare di tutti per il tramite della persuasione di massa.
Un film profetico,
dunque? Sì, in parte lo è. Non dimentichiamo, tuttavia, che dal
tempo della sua uscita in America si scatenò una polemica durissima,
perché furono in molti i critici che vollero riconoscere nel
violento, cinico ed egoista Kane nientemeno che il padrone e
fondatore del giornalismo popolare e di massa di oggi, cioè Hearst.
In altre parole, Welles è
stato certamente il primo a prefigurare un avvenire che oggi è sotto
gli occhi di tutti (tanto è vero che Citizen Kane ha avuto
anche delle imitazioni negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta).
Tuttavia, la sua opera è stata molto più analitica che profetica.
Welles ha tratto ispirazione da una tendenza già in atto da tempo
nella società americana: quella di costituirsi «naturalmente» come
società di massa, fin dalla fine del secolo scorso. Non a caso il
giornalismo moderno, quello delle alte tirature e della lettura
popolare, nasce col genitore del succitato Hearst e con la gloria
statunitense della carta stampata, Pulitzer. Non a caso questo
giornalismo si diffonde col diffondersi dell’industria di massa e
dell’industria culturale di massa (la Ford T, la catena di
montaggio, il cinema di Hollywood). Welles non ha fatto altro che
interpretare questi fenomeni, e portarli al limite facendone intuire
non solo la valenza ottimistica (il progresso, che è indiscutibile),
ma anche quella pessimistica (il dominio dei pochi sui molti,
altrettanto indiscutibile).
In ogni caso, anche un
film depressivo come quello di Welles lascia intatto un principio.
Che alla fine dei conti una possibilità di reagire al dominio dei
media esiste, perché basta pochissimo per far crollare un impero,
come poco è bastato per costruirlo. Come per l’appunto accade al
cittadino Kane. Con i media si vincono delle battaglie, anche molte
battaglie. Ma alla lunga la società trova i suoi antidoti, la
società vince.
“l'Unità”, 10
ottobre 1995
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