10.10.15

Orson Welles. Capì la forza dei media (Omar Calabrese)

Per il decennale della morte di Orson Welles “l'Unità” pubblicò in prima pagina (con continuazione in terza) questo commento del sociologo Omar Calabrese, che “posto” e ripropongo nel trentennale. (S.L.L.)

Orson Welles era un uomo di spettacolo, è vero. Eppure il contributo che questo grande attore e regista ha dato alla teoria delle comunicazioni di massa è enorme, equivalente a quello degli studiosi più rinomati di questa disciplina. È un contributo, ovviamente, non scritto e non scientifico eppure, certe sue realizzazioni valgono più ai qualche ponderoso manuale. E il caso - notissimo - della famosa trasmissione radiofonica tratta da La guerra dei mondi, mediante la quale Welles dimostrò nei fatti lo straordinario potere dei media, e il funzionamento della credenza in una società di massa. Ed è soprattutto il caso del suo film forse più conosciuto, Quarto potere, che è diventato per l’appunto un modo proverbiale per definire 1 influenza del giornalismo sui meccanismi di manipolazione della collettività (Va detto, però, che questo vale soltanto per il nostro paese il titolo originale del film era più banalmente Citizen Kane, «il cittadino Kane»).
In quella pellicola, si narra sotto forma di «giallo» la ricostruzione della vita del suddetto Mr. Kane. un magnate dell’economia che riesce ad innalzarsi alle massime vette del potere grazie al fatto che è proprietario di una catena di giornali. Opera di mirabile fattura, Quarto potere si regge su un doppio binario la vera e propria indagine sulla controversa biografia pubblica del personaggio, e il mistero «privato» di Kane, che si configura nell’ultima parola da lui pronunciata prima di morire, «Rosebud», di cui il film non dà soluzione definitiva.
Ma rimaniamo alla parte mediologica di Quarto potere. Il film racconta, come si diceva, la scalata ai massimi livelli della società di un individuo con pochi scrupoli e molto denaro, che si serve dei giornali (uno in particolare) per sostenere le posizioni proprie e dei suoi alleati politici (pian piano sempre più fantocci collocati nelle cariche più importanti), per denigrare gli avversari, per organizzare insomma il consenso. Il delirio di onnipotenza di Kane arriva fino al punto di creare, nella propria fidanzata assai poco dotata in materia, una star dello spettacolo. Quarto potere è senza dubbio molto credibile. E lo è soprattutto oggi, nel momento in cui una società estremamente frantumata dal punto di vista sociale possiede meno anticorpi per difendersi - con le armi della discussione, del contatto reale fra individui - dalla cosiddetta «opinione pubblica», che altro non è se non una «opinione» molto privata fatta diventare di tutti per il tramite della persuasione di massa.
Un film profetico, dunque? Sì, in parte lo è. Non dimentichiamo, tuttavia, che dal tempo della sua uscita in America si scatenò una polemica durissima, perché furono in molti i critici che vollero riconoscere nel violento, cinico ed egoista Kane nientemeno che il padrone e fondatore del giornalismo popolare e di massa di oggi, cioè Hearst.
In altre parole, Welles è stato certamente il primo a prefigurare un avvenire che oggi è sotto gli occhi di tutti (tanto è vero che Citizen Kane ha avuto anche delle imitazioni negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta). Tuttavia, la sua opera è stata molto più analitica che profetica. Welles ha tratto ispirazione da una tendenza già in atto da tempo nella società americana: quella di costituirsi «naturalmente» come società di massa, fin dalla fine del secolo scorso. Non a caso il giornalismo moderno, quello delle alte tirature e della lettura popolare, nasce col genitore del succitato Hearst e con la gloria statunitense della carta stampata, Pulitzer. Non a caso questo giornalismo si diffonde col diffondersi dell’industria di massa e dell’industria culturale di massa (la Ford T, la catena di montaggio, il cinema di Hollywood). Welles non ha fatto altro che interpretare questi fenomeni, e portarli al limite facendone intuire non solo la valenza ottimistica (il progresso, che è indiscutibile), ma anche quella pessimistica (il dominio dei pochi sui molti, altrettanto indiscutibile).
In ogni caso, anche un film depressivo come quello di Welles lascia intatto un principio. Che alla fine dei conti una possibilità di reagire al dominio dei media esiste, perché basta pochissimo per far crollare un impero, come poco è bastato per costruirlo. Come per l’appunto accade al cittadino Kane. Con i media si vincono delle battaglie, anche molte battaglie. Ma alla lunga la società trova i suoi antidoti, la società vince.


“l'Unità”, 10 ottobre 1995

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