9.4.16

I miei incubi notturni (Umberto Eco)

Fino a qualche anno fa non riuscivo a ricordare i sogni che facevo. Suppongo dipendesse dal fatto che avevo sempre il sonno pesantissimo. La mattina successiva non restava che una vaga idea di quello che avevo sognato. Ma non riuscivo a tenere memoria dei miei sogni. Oggi, in età avanzata, mi risulta più facile. Non riesco a darmi altra spiegazione se non che non dormo più il sonno profondo e lungo dei bambini. Nel frattempo riesco a ricordare cosa ho sognato, anche i sogni del passato. E mi piace.
I sogni più importanti e più interessanti sono quelli ricorrenti e gli incubi. Da studente sognavo spesso di non passare l´esame di maturità. A quest'incubo si sostituì in seguito quello in cui ero ancora soldato. I miei superiori mi avevano concesso la libera uscita, ma io semplicemente non ero rientrato in caserma. Ora rischiavo l´arresto. È un sogno che mi ha perseguitato a lungo. Bisogna sapere che nella vita reale ho fatto il servizio militare molto tardi. Ero riuscito a procrastinare la chiamata alla leva fino a ventisei anni adducendo a motivazione i miei ponderosi studi universitari. Ad un certo punto mi ritrovai per la prima volta davanti alla caserma, con gli occhiali e la macchina da scrivere sotto il braccio, entrambi a mo' di scudo. Gli ufficiali più giovani, che in maggioranza non erano andati all´università, nutrivano un grande rispetto nei miei confronti. Ben presto mi venne affidata l'incombenza di tutto il lavoro di scrittura, potevo prendermi molte libertà e mi sentivo più importante di un generale. All'inizio ero di stanza a Como. Grazie ai miei buoni agganci riuscii a rientrare nella lista dei trasferiti al comando generale di Milano, cosa naturalmente a me più gradita, perché avevo ancora il mio appartamento da studente in città. Per lo più lavoravo in caserma fino alle due del pomeriggio, poi andavo in centro, pernottavo senza permesso nella mia stanza e rientravo solo la mattina dopo. Eravamo in tempo di pace e nell'esercito potevi fare in pratica quello che volevi. Ma nonostante il favore di cui godevo queste uscite comportavano un certo rischio. Comunque avevo sempre il timore che una volta o l'altra sarebbe finita male e si sarebbe alzato un gran polverone. Cosa che, per fortuna, non è mai successa. Quest'ansia però mi ha perseguitato fin nel sonno.
I sogni sulla maturità e sul militare sono entrambi legati all'ansia, l'ansia di non riuscire a concludere qualcosa, l'ansia di essere colto in fallo. Oggi, in più tarda età, mi affliggono in sogno altre ansie. Quando ad esempio sono in viaggio in America, sogno di perdere l´aereo. Mi vedo allora affannato nella mia stanza d'albergo a fare in fretta la valigia: ho il volo alle sei, ma sono già le cinque e ancora non ho finito di fare i bagagli. Lo so, di sicuro arriverò in ritardo. Se viaggio in Europa il sogno subisce qualche piccola variazione: sogno allora di perdere il treno. Mi precipito alla stazione, ma non riesco a trovare il binario giusto. Perché? Perché sono di nuovo in ritardo. E alla fine il treno parte senza di me. La cosa strana in tutto questo è che in vita mia non ho mai perso un treno o un aereo. Beh, non esattamente. Solo una volta, una sola, ho perso l'aereo a New Orleans. Ma è successo esclusivamente perché, per paura di far tardi, ero arrivato all'aeroporto con un anticipo eccezionale. Mi ero quindi seduto in sala d'attesa e subito riaddormentato. Così non sentii chiamare il volo. Lo persi per essere arrivato con troppo anticipo.
Nonostante questa sgradevole esperienza continuo a badare scrupolosamente ad essere sempre puntuale. Il motivo? Perché il sogno di arrivare in ritardo continua a terrorizzarmi. Indubbiamente si tratta di un'interessante interazione tra sogno e realtà.
Non ho mai avuto grande interesse ad annotare i miei sogni. Né ho mai preso pillole stimolanti. Ho sempre voluto avere la mente lucida ed efficiente. Per me è una questione di orgoglio. Sono convinto che la mente mi dia storie più entusiasmanti di quanto possano fare i miei sogni. Devo ammettere tuttavia che i sogni hanno talvolta influito sulle mie storie anche se in casi rarissimi. Nel mio romanzo Il pendolo di Foucault faccio vivere al redattore Jacopo Belbo uno dei miei sogni ansiogeni: mi trovo in una città sconosciuta che credo in realtà di conoscere bene. So che se svolto a destra arrivo in un luogo che mi piace molto. Il problema è che non lo ritrovo più.
Un altro sogno ha ispirato un capitolo del mio romanzo La misteriosa fiamma della regina Loana. In quel sogno abito in una villa, cerco una stanza che credo di conoscere. Ma non riesco a trovarla. Era la mia stanza preferita, zeppa di splendidi mobili antichi e di libri interessanti. So che è in fondo a un corridoio. Ma lì c'è un muro impenetrabile. Al protagonista del libro accade una cosa simile, ma sfondando il muro trova la stanza. È la stanza della sua giovinezza, cioè il Paradiso.
Sto per compiere 75 anni. Probabilmente festeggerò nella mia casa di campagna vicino a Rimini. Vi ho trascorso già molti compleanni e alle pareti sono appese fotografie mie e dei miei ospiti scattate in quelle occasioni. Ho ancora ben vivo il ricordo del mio settantesimo compleanno. Allora avevo invitato solo i miei studenti. Non c'era neppure mia moglie. Ormai non insegno più agli studenti dei primi anni, anche se mi è sempre piaciuto molto lavorare con loro. Invecchiando però ti sorge il dubbio di aver torto su molto di ciò che trasmetti agli altri. E non vorrei corrompere i giovani. Per questo tengo solo seminari per dottorandi. In questo caso il docente può permettersi di aver torto e di provocare, aprendo sempre vivaci dibattiti. In ogni caso non ho ancora l'intenzione di ritirarmi e di andare in pensione.
Quando si scrive da anni, come nel mio caso spaziando dai saggi ai romanzi ai trattati scientifici, si diventa ad un certo punto prigionieri di questa situazione autonomamente creata da cui è impossibile evadere. Il che non è così negativo, perché amo scrivere. È una sorta di sogno. Solo che in questo caso ho il pieno controllo della mia fantasia.
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Testo raccolto da Martin Scholz
Traduzione di Emilia Benghi
“la Repubblica” 4 gennaio 2007

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