27.5.16

Cronache giubilari aprile 2016. Monopòli (Salvatore Lo Leggio)

San Sebastiano nel Far West
Sul quotidiano della CEI, l'“Avvenire” dell'8 aprile, Carlo Cardia riferisce preoccupato di un convegno del Centro Calamandrei di Torino su scuola e religione. La proposta di introdurre nelle scuole un'ora di storia delle religioni o di studio del “fatto religioso” non controllato da loro mette in ansia i vescovi e mette in dubbio il monopolio. Il timore è che – una volta introdotta la nuova materia – venga progressivamente liquidato l'insegnamento affidato alla Chiesa cattolica in applicazione del Concordato del 1984. “Avvenire” spiega che già oggi quell'insegnamento è “non confessionale, culturale e pluralista” e che studi e approfondimenti sul fenomeno religioso, se si vorrà, potranno darsi all'interno dei programmi delle materie umanistiche.
Per dimostrare i rischi che si correrebbero se si abbandonasse l'ora di religione il giornalista ricorre al caso della Francia, ove fin dal 1905 per effetto della loi de separation nelle scuole non si insegna più la dottrina cattolica. Già un rapporto del 1989 avrebbe rivelato gli sconcertanti effetti di questa scelta: nel corso delle visite al Louvre delle scolaresche c'erano ragazzi che chiedevano spiegazioni su “tutte quelle bavy-sitter che in tanti quadri tengono in braccio un bambino” o che di fronte al San Sebastiano di Mantegna attribuivano ai pellerossa le frecce disseminate sul suo corpo.
Un fremito di orrore sembra attraversare la scrittura del giornalista di fronte a codesta profanazione. Egli però non sembra avere notizia di analoghe ricerche svolte agli Uffizi o in un altro museo italiano. Chissà che domande rivolgono agli insegnanti i ragazzi italiani che si sono avvalsi dell'insegnamento religioso a scuola.

Miele
Marcello Rossi, in un articolo sul “Ponte” alla fine del 2000, salutava con sollievo il ritorno a un anno “profano”. Quest'anno, visto che non si leggono segni d'eccezionalità, non ci sarà bisogno di un ritorno alla normalità. Il papa argentino in verità non “buca”, non riesce ad essere e neanche a sembrare il mattatore che fu Wojtila, non ce la fa a santificare questo 2016. E il mix postmodernista che caratterizzò la campagna vaticana del 2000 tra citazioni del Medioevo mistico, millenarista e corporativo (il Giubileo per “categorie”), tra ritualità barocche, visioni profetiche (i misteri di Fatima) e dirette televisive sembra oggi irripetibile.
La cosa dipende sia dallo stile dei due pontefici che dal contesto. Il polacco aveva grinta e senso dello spettacolo, e per di più si presentava come principale artefice della fine del comunismo ateo: poteva tranquillamente usare il prestigio conseguito per un appello contro la paura del futuro. Già allora, tuttavia, l'abilità comunicativa malamente nascondeva le difficoltà di una chiesa insidiata nei paesi più ricchi dalla “secolarizzazione”, in quelli più poveri dalla concorrenza islamica e dalle sette. Il papa attuale riuscì a sorprendere con i comportamenti “democratici” e con la dichiarata volontà di rappresentare le ragioni delle vittime, degli ultimi, in un mondo tutt'altro che ordinato e pacificato, ma scosso da crisi economiche, povertà vecchie e nuove, guerre, terrorismi, fanatismi, migrazioni di massa. Prospettava una chiesa riformata e restituita, se non a povertà, almeno a sobrietà, in grado di rappresentare rispetto ai potentati economici e politici le ragioni dei più deboli a tutti i livelli, dai migranti ai disoccupati. Sembrava volere anche una chiesa comprensiva e accogliente nei confronti di omosessuali e divorziati, meno chiusa verso la libertà di scelta sui temi della generazione e della morte. Il Giubileo della Misericordia, nelle intenzioni, avrebbe dovuto sostenere con la partecipazione in massa dei fedeli l'ambizioso progetto di riforma.
La risposta freddina ottenuta finora non deriva tanto dall'insidia del terrorismo quanto dall'ostilità di una parte della Curia e dalle frenate dello stesso Bergoglio. Il sinodo sulla famiglia di ottobre, per esempio, ha in sostanza ribadito le tradizionali chiusure, mentre lo scandalo suscitato dagli sperperi cardinalizi finora di concreto ha prodotto solo il processo ai giornalisti che li hanno denunciati.
Ci sono questioni importanti su cui il papa tiene il punto, in primo luogo il rifiuto di una contrapposizione con l'Islam e l'accoglienza ai profughi delle guerre e delle catastrofi economiche provenienti dal Vicino Oriente e dall'Africa, quale che sia la loro religione; ma anche su questo, soprattutto in Italia, il coinvolgimento nel business dei rifugiati (finanziato da contributi statali) di organizzazioni riconducibili all'organizzazione ecclesiastica, indebolisce la polemica pontificia contro i fautori dei muri e della crociata. Il sospetto è che la solidarietà serva a garantire alla Chiesa cattolica una sorta di monopolio della carità.
Anche per questo, con il passare dei mesi, il vecchio prelato appare sempre più ripetitivo e “gesuitico”. Per esempio la sua “esortazione apostolica” sulla famiglia intitolata Amoris letitiae, diffusa l'8 aprile scorso, raccomanda “premura, attenzione e discernimento” verso i divorziati, senza fare mezzo passo avanti sulle nuove unioni. In compenso sparge miele in larga copia: metafore (la chiesa come “ospedale di campo”) e citazioni poetiche (tra l'altro Borges, “ogni casa è un candelabro”). Nell'omelia domenicale del 17, di ritorno dall'isola di Lesbo, oltre che di "immensa tenerezza", Bergoglio parla di "assoluta sicurezza", dice: "Nelle mani di Gesù e del Padre siamo completamente al sicuro". Un minuto dopo il viso si indurisce: ricorda il terremoto in Ecuador: morti, feriti, orfani e senza tetto. Le mani di Dio.

Gualtiero l'Africano
Anche in periferia le sperimentano tutte per proclamare il Giubileo della Misericordia, a volte con esiti involontariamente comici. L'ufficio di pastorale familiare della archidiocesi Spoleto-Norcia ha intitolato Misericordiando in famiglia la festa che organizza annualmente e per sovrappiù i partecipanti hanno dovuto sorbettarsi un musical su Teresa di Calcutta. Nella diocesi di Perugia-Città della Pieve la Caritas sta aprendo alcuni Empori per famiglie e persone in difficoltà con fondi in prevalenza offerti da Fondazioni bancarie: quello di San Sisto, a Perugia, è dedicato alla “Divina Misericordia”. A Città di Castello ai primi aprile ha tenuto il suo convegno regionale il Centro Volontari della Sofferenza, una associazione cattolica che si occupa dell'evangelizzazione e dell'aiuto verso i malati e i sofferenti. Il vescovo Cancian ha accolto i convegnisti in Cattedrale, li ha invitati a passare attraverso la porta santa e, intervenendo al loro convegno, ha spiegato che la misericordia è la migliore medicina.
Un altro modo di santificare è viaggiare, seguendo l'esempio del papa, che dopo aver aperto l'anno santo in Africa è andato in Messico e a Lesbo. Neanche il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ha voluto mancare l'appuntamento con il continente nero: è stato in Sud Africa, Malawi ed Etiopia insieme alla presidente della Regione Marini. Dal 14 al 19 aprile hanno visitato città, missioni, chiese e il sobborgo di Soweto con il museo dell'apartheid. Non si sa bene se a pagare i conti sia stato uno dei due o se abbiano fatto alla romana. Nella cattedrale di Pretoria il Bassetti ha parlato della “opportunità di questo nostro viaggio missionario durante il Giubileo della Misericordia”. Insieme hanno poi visitato il “Solomeo Rural Hospital”, realizzato in Malawi con il contributo della Fondazione Cucinelli.
Cucinelli dal canto suo, il 17, riceveva il premio Palma d'Oro dall'associazione Assisi Pax fondata nel 1997 da Rocco Polidoro detto Gian Maria, un frate influente che Napolitano nel 2010 ha nominato Commendatore. Con gli imprenditori umbri, notoriamente rozzi, Cucinelli il mese scorso parlò di “cazzi mosci”; qui, di fronte a un pubblico di monachelle, ha parlato di pace e della bontà di papa Francesco. È un gran furbacchione l'uomo, adegua il linguaggio all'uditorio e sa che a determinare il successo dei suoi prodotti e della sua azienda, non è tanto la qualità del cachemire quanto la fama di benefattore e mecenate, come quella, un po' usurpata, di filosofo. La filantropia come investimento pubblicitario. Se nella cosa non ci fosse una dose di paternalismo eccessiva, quasi disgustosa, sarebbe da consigliare. 

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