3.5.16

L'invenzione dei numeri

Una decina di anni fa, nel 2007, i giornali e le tv annunciavano un'importante esposizione e un convegno di archeologi a Bruxelles. A degli ossi incisi, provenienti dall'ex Congo belga, si connetteva un'ipotesi suggestiva, che sembrava confermare le teorie che riconducevano all'Africa l'origine della civilizzazione umana: forse anche le matematiche sono nate nel continente nero e quei bastoncini potrebbero esserne la prova. “La Stampa” dedicò al tema non solo un articolo di informazione, peraltro un po' enfatico, ma anche il commento di un matematico che, in attesa di verifiche e di studi, dava conto del più antico documento “matematico” conosciuto, prima degli ossi africani, un osso di lupo ritrovato in Moravia, non lontano da Brno, a Dolní Věstonice (Repubblica Ceca), insieme ad altri reperti come una famosa Venere paleolitica. (S.L.L.)
I "bastoni di Ishango" 

Due ossa scoperte in Congo 
lanciano l'ipotesi sull'origine della matematica
I numeri? Sono nati nel cuore dell'Africa
Ventimila anni fa
Domenico Quirico
Senza aver mai messo piede in Africa Darwin aveva già capito tutto: era lì che bisognava cercare l'origine dell'umanità. Il nostro albero genealogico da Lucy, con i suoi tre milioni e mezzo di anni, a Roumai, vecchio di sette milioni di stagioni, continua a infrondarsi in quella terra delle meraviglie antropologiche che è l'Africa Orientale.
Adesso si affaccia e si discute di un'altra ipotesi affascinante, sconvolgente: e se oltre che l'uomo anche la sua attività più astratta e insieme più pratica ovvero la matematica, fosse stata inventata da un genio africano? Cinquemila anni fa ci avevano assicurato finora, nella terra dei due fiumi, i sumeri cominciarono a contare. Niente affatto! Ventimila anni fa nel cuore del continente nero pescatori pieni di immaginazione creativa già utilizzavano ossa segnate con sistemi numerici. C'è di che sconbussolare perfino gli estremismi di Martin Bernal e della sua Atena nera.
Raccontiamo questo giallo archeologico africano. Ventimila anni fa dunque, in Africa australe, ancor più di oggi terra coperta di foreste spesse e di laghi grandi come il mare. Gli archeologi vi diranno che era l'età della pietra tarda: la animavano tribù indaffarate di pastori e di allevatori. Qui vicino alle rive del lago Edward si dedicavano alla pesca. Era una vera civiltà, capace di migliorare sistematicamente i propri strumenti di lavoro, come gli arpioni fatti di osso, che disponeva di mole e pietre di quarzo perfettamente tagliate, che aveva corde fatte di fibre vegetali. Tutti oggetti che ha lasciato sulle rive del lago in provvidenziali discariche, insieme alle ossa degli animali e gli scheletri dei pesci. Quanto sarebbero smilzi i nostri libri di storia antica senza questi magazzini di rifiuti! Un giorno un pescatore, forse in attesa che la pesca desse i suoi frutti, prese in mano due piccole ossa, uno di dieci e l'altro di quattordici centimetri. Uno era di un mammifero, forse un leone, forse una grande scimmia, l'altro umano. Ne incise metodicamente la superficie su tutte le facce: i segni ancora oggi hanno una cadenza perfetta simmetrica, sono serie cadenzate separate da uno spazio. Quell'uomo era forse il primo matematico della storia? Ventimila anni dopo, nel 1950, in quella terra si chiama Ishango una cittadina del Congo ancora belga arriva Jean de Heinzelin, ricercatore de l'Institut Royal des Sciences Naturelles. Ha scelto proprio quella terrazza fossile all'imbocco del lago perché qui sono stati ritrovati arpioni in osso e una mandibola di ominide. Intuizione fortunata la sua: dalle due profonde trincee scavate nel suolo escono conchiglie, arpioni, utensili in quarzo bianco. E il primo dei «bastoni di Ishango», l'osso che quell'ignoto antenato aveva cosi' accuratamente inciso nella preistoria. Il suo lavoro è evidente: a una delle estremità ancora c'è un piccolo frammento di quarzo che serviva certo a tagliare. Nove anni dopo il secondo osso arrichisce e ispessisce il mistero. Che spalanca ipotesi così innovative da turbare gli studiosi da piu' di mezzo secolo e da indurli a prudentissime reticenze. A Bruxelles fino a venerdì le due ossa saranno le «vedette» di un convegno internazionale. Eppure i numeri sono lì: tre tratti, otto tratti... come non convertire le colonne in cifre? Il gioco delle combinazioni è inarrestabile, su un lato 10+1, 20+1, i numeri primi nel secondo, la regola del doppio nella terza, insomma un sistema matematico completo a base dieci. Altri hanno speculato sulla presenza prevalente del sei. Ecco la prova definitiva! Ancora oggi molte popolazioni africane usano questa cifra come base di calcolo. Altri sono andati ancora più in là: è un calendario lunare. Oppure un oggetto divinatorio. O uno strumento per dividere la pesca del giorno. Siamo alla fantascienza archeologica? Un regista misterioso si diverte a cancellare gli indizi: perché la mineralizzazione rende impossibile utilizzare la prova del radiocarbonio.
Georges Ifrah
Finora le prime cifre erano ceche
Piero Bianucci
Uno, due, molti. In Oceania esistono ancora tribu' che sanno indicare solo queste tre «quantita'». Ma in tutte le culture prima o poi matura la scoperta del numero. Alla ricerca delle sue origini Georges Ifrah, matematico ebreo di lingua araba, ha dedicato la vita: gli dobbiamo un classico, la Storia universale dei numeri. L'invenzione delle cifre avviene in tempi diversi nelle varie parti del mondo. Con la scoperta appena fatta in Congo può rivaleggiare solo un osso di lupo (un radio) ritrovato a Vestonice, in Cecoslovacchia. Porta incise 55 tacche divise in due serie di gruppi di cinque. La prima macchina calcolatrice, dice Ifrah. Età: anche in questo caso, circa 20 mila anni. L'uomo di Vestonice era forse un cacciatore che così teneva il conto delle sue prede. Corvi e gazze i migliori matematici del regno animale sanno contare fino a quattro. Ma calcolano «a mente». Tacche incise su ossa e legni hanno permesso agli uomini primitivi di registrare i numeri e compiere operazioni. Le cifre romane derivano da queste tacche. Altri popoli usavano sassolini, conchiglie, rametti, gli Incas del Sud America cordicelle. Di solito la numerazione è decimale perché 10 sono le dita delle mani, ma talvolta è su base 20 perché entravano in gioco anche i piedi. I sumeri adottarono la base 60 perché ha molti divisori (2, 3, 4, 5, 6...) e facilita i calcoli. Nelle misure angolari la usiamo ancora. Il sistema su base 2, benché elementare, è il fondamento dell'informatica. Lo zero, inventato anche dai maya oltre che dagli indiani, è un progresso enorme, come il diverso valore di una cifra a seconda della sua posizione. I greci non andavano oltre la miriade, pari a 10 mila. Oggi il numero più grande che abbia un nome è Googol: 10 elevato alla centesima potenza (donde il motore di ricerca Google). Tutte le particelle nucleari dell'universo sono appena 10 all'ottantesima.


Da “La Stampa”, 1° marzo 2007

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