16.8.16

Quell'illuminista di Epicuro (Tullio Gregory)

Raffaello Sanzio, Epicuro nella "Scuola d'Atene", Musei Vaticani
Nella storia della fortuna di Epicuro, l’etica è stata sempre al centro delle polemiche e delle condanne per la sua teoria del piacere, fino alla sua riabilitazione nella cultura rinascimentale, anche per la diretta conoscenza delle fonti originali, il poema di Lucrezio e il X libro delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio. Tuttavia, nella più recente storiografia, è stato prevalente l’interesse per la fisica epicurea — con il suo atomismo — all’interno della più complessa formazione della nuova scienza.
Opportunamente dunque Gianni Paganini, in collaborazione con Edoardo Tortarolo, ha promosso una raccolta di studi tutti volti non alla fisica, ma all’influsso dell’epicureismo sull’etica e sulla teoria politica dell’età moderna, dall’Umanesimo all'Illuminismo.
Ne esce un quadro variegato e complesso che, dopo uno studio iniziale sulle fonti antiche (Jean Salem), si impegna a tracciare alcuni momenti esemplari della fortuna di temi epicurei e lucreziani nella riflessione sui problemi dell’utile e del piacere nei rapporti fra individuo e società, sulla natura delle leggi, sul concetto di giustizia e sulle origini della vita associata. Dopo un ampio panorama (Martin Mulsow e Claudia Schmitz) sulla varia presenza di motivi epicurei nella cultura del Quattrocento e del Cinquecento (che si completa con il saggio di Guido Canziani su Cardano e l’epicureismo), un luogo storiografico ineludibile è costituito dalla presenza — tra le più significative nel Seicento europeo — di Gassendi e di Hobbes, cui sono dedicati in particolare gli studi di Gianni Paganini e di Patricia Springborg.
La "rinascita epicurea’ (epicuraea anastasis), promossa e assicurata da Gassendi. è legata sia alla sua Vita di Epicuro, della quale tratta Sylvie Taussig, sia soprattutto al monumentale commento al X libro delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio (la principale fonte per una diretta conoscenza di Epicuro) il cui materiale è rifluito nel grande Syntagma philosophicum. L’etica di Gassendi muove dalla ripresa delle fondamentali tesi epicuree: la felicità cui ogni essere naturalmente tende si realizza nel piacere (voluptas), che è il 'sommo bene'.
La voluptas costituisce il criterio per distinguere il bene dal male, e la ricerca dell’utile — ovvero di ciò che giova al piacere. quindi al bene — si identifica con la virtù e con la pietas, è questo il fondamento del diritto naturale e della vita associata. Nel possesso del piacere si realizza la vita beata nella misura possibile all'uomo. Come è noto, Gassendi distingue un diritto di natura primario, che impone a ciascun essere la ricerca del proprio utile (è il diritto che regna nello stato ferino), cui succede il diritto di natura secondario che è conseguenza del patto con cui gli uomini si sono accordati e hanno costituito la società per l’utile comune. I principali fondamenti del diritto naturale sono il perseguimento di ciò che è bene, l’amare se stesso prima degli altri, il libero uso del corpo per il proprio benessere, il vivere in società.
Parallelamente a questa ripresa della concezione epicurea del diritto di natura si sviluppa la polemica contro un concetto astratto di giustizia come norma metastorica da cui deriverebbe il diritto positivo: la giustizia, afferma Gassendi seguendo Epicuro e Lucrezio, esiste solo nella concretezza dei rapporti quali storicamente si definiscono in relazione al patto che fonda la società nella quale gli uomini trovano meglio garantito il proprio utile.
Questo corpus di dottrine (riassunte nel Sintagma della filosofia di Epicuro) costituisce un punto di riferimento fondamentale per la conoscenza e la fortuna di Epicuro nel Seicento e nel Settecento. In questi due secoli Gassendi svolge la sua influenza anche attraverso il riassunto — amplissimo — che ne fece in francese il suo alunno Bernier, così come attraverso le principali storie settecentesche della filosofia di Brucker e di Stanley (che utilizzano Gassendi come fonte dossografica); a Brucker è dedicato un ampio saggio di Constance Blackwell che compie utili raffronti.
La lezione di Epicuro è ben presente anche a Hobbes — cui andavano tutte le simpatie di Gassendi — che legge Epicuro in Diogene Laerzio e in Lucrezio (la prima edizione del De cive è anteriore alla pubblicazione degli scritti epicurei di Gassendi). Gianni Paganini, in un suo ampio studio, sottolinea affinità e differenze: indubbiamente da Epicuro Hobbes trae alcuni temi della sua filosofia politica: la centralità dell’autoconservazione, il tema della sicurezza, il carattere utilitaristico del patto sociale, la natur convenzionale del giusto ( dell’ingiusto, il riconoscimento dell’aggressività umana e della paura della morte come fondamentali impulsi per trovare tranquillità e pace nella società politica. Peraltro Paganini mette in evidenza i rapporti di Hobbes con alcuni ambienti contemporanei (come il circolo Cavendish e il Great Tew) aperti a letture e interessi epicurei.
Un punto tuttavia è centrale per differenziare la posizione di Hobbes rispetto a quella che si può chiamare la politica epicurea; ed è il concetto di sovranità che differenzia Hobbes da Gassendi, posto che il filosofo inglese, nel suo pessimismo, non si accontenta di ridurre l’origine della sovranità al calcolo dell’utile, ma elabora una teoria della sovranità che va oltre il puro consenso e la convergenza di molte volontà secondo un solo fine. Fra i testi esaminati da Paganini in questa prospettiva, ricorderemo uno del De cive: «Un accordo ossia un’associazione contratta senza un qualche potere comune, che abbia modo di reggere con il timore delle pene i singoli individui, non basta a raggiungere quella sicurezza che si richiede per ottemperare alle leggi naturali. Poiché la convergenza di molte volontà verso un solo scopo non basta per conservare e istituire una stabile difesa, si richiede che la volontà di tutti sia, nella scelta di quel che è necessario per il mantenimento della pace e per la difesa, una sola, il che non può accadere se ciascuno non sottometta la propria volontà a quella di un altro, sia essa un solo uomo o una sola assemblea».
Se Gassendi e Hobbes costituiscono due punti di riferimento fondamentali per la riscoperta e utilizzazione di dottrine epicuree nell’etica e nella politica, molti altri temi dell’etica epicurea si ritrovano nella cultura del Seicento e del Settecento (qui i saggi di Antony Mckenna, Gunter Gawlick, Ann Thomson), stemperandosi spesso in un atteggiamento di tranquillo godimento del piacere, in posizione antistoica e antiascetica, spesso anzi duramente anticristiana. Da questo punto di vista l’approdo del volume a Diderot è naturale (Edoardo Tortarolo): l’epicureismo si afferma come una componente non marginale di quello che è stato detto «il paganesimo moderno» e che più semplicemente si potrebbe dire la modernità laica.


Il Sole 24 ore, Domenica 14 novembre 2004

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